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Le spinte gentili sono manipolatorie?

Anche il termine ‘manipolazione’ è in realtà ambiguo e solo re- centemente si è articolata nella letteratura filosofica una riflessione sistematica sui suoi significati e usi.

Nel linguaggio comune spesso definire ‘manipolatoria’ un’azione o una pratica significa esprimere tout-court un giudizio di condanna morale. Il significato del termine quindi non ha solo una compo- nente descrittiva, ma anche una direttamente valutativa e si qualifica per questo come un ‘concetto spesso’. Analogamente, definire una persona manipolatoria evoca istantaneamente un giudizio negativo sul carattere di quella persona. Sebbene nel linguaggio comune l’in- treccio tra significato descritto e valutativo è indubbiamente perva- sivo, conviene però scioglierlo nell’analisi12. Come vedremo, infatti,

non tutti sono d’accordo sull’idea che le azioni manipolatorie siano intrinsecamente condannabili dal punto di vista morale, dato che la manipolazione è un elemento ricorrente nel tessuto delle relazioni sociali. È quindi utile affrontare prima la questione dell’identifica- zione (quali sono i criteri per distinguere atti manipolatori da atti non manipolatori) e poi la questione della valutazione (se gli atti manipolatori possono essere considerati sempre moralmente con- dannabili oppure esistono condizioni in cui questo giudizio valuta- tivo non si applica).

11 Cfr. Sunstein, The Ethics of Influence, cit., p. 80.

12 Seguiamo il suggerimento di R. Noggle, The Ethics of Manipulation, in

N. Zalta (ed.), Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2018, https://plato.stan- ford.edu/entries/ethics-manipulation/. Cfr. anche J.S. Blumenthal-Barby, “Be- tween Reason and Coercion: Ethically Permissible Influence in Health Care and Health Policy Contexts”, Kennedy Institute of Ethics Journal, 22, 4, 2012, pp. 348-350.

La portata della questione valutativa potrebbe sembrare limita- ta perché, intuitivamente, la manipolazione si colloca nella gerar- chia degli interventi in una posizione intermedia tra la persuasione razionale, un’influenza sull’agente considerata non problematica o minimamente problematica dal punto di vista morale, e la coercizio- ne, un’influenza che invece viene considerata condannabile in quasi tutti i casi. Diversamente da chi tenta di persuadere una persona con buone ragioni, il manipolatore utilizza metodi non ortodossi per ottenere i suoi scopi ma, a differenza di chi costringe, non ricorre alla forza bruta e alla minaccia esplicita13. Secondo questa schema,

tuttavia, nel momento in cui abbiamo risolto la questione dell’iden- tificazione abbiamo anche risolto la questione della valutazione, perché ogni intervento definibile come manipolatorio sarà ipso facto moralmente illecito (o, in una concezione gradualistica, meno lecito della persuasione ma più tollerabile della coercizione). La decisione di tenere separate le due questioni ha il merito di non precludere in anticipo la possibilità che alcuni interventi, pur essendo manipola-

13 Marcia Baron ad esempio considera la manipolazione una classe in cui

rientrano bugie, inganni, occultamento di opzioni, minacce, offerte che pro- pongono una ragione sbagliata per fare ciò che viene chiesto, vessazione, crea- zione di situazioni di disagio sociale in cui è difficile o impossibile opporre ri- fiuto, pressioni ad accettare (se rifiuti sarò infelice o tu non sarai una bella per- sona). La manipolazione si distingue dalla coercizione soprattutto per il fatto che la prima, per essere efficace, deve essere nascosta, mentre la seconda sfrutta la consapevolezza del soggetto che è costretto a compiere una scelta. In generale inoltre la manipolazione lascia aperta la possibilità di rifiutarsi di aderire alla volontà del manipolatore, mentre la coercizione altera la situazione in modo tale che non viene lasciata alcuna ragionevole opzione se non quella stabilita da chi costringe. Cfr. M. Baron, “Manipulativeness”, Proceedings and Addresses of

the American Philosophical Association, 77, 2, 2003, pp. 39 e 42. Per altre rifles-

sioni sul rapporto tra manipolazione e coercizione, cfr. O. O’Neill, “Which Are the Offers You Can’t Refuse?”, in Ead., Bounds of Justice, Cambridge Univer- sity Press, Cambridge, 2004, pp. 81-96. Non tutti concordano però sulla rigida tricotomia manipolazione-coercizione-persuasione, sia da un punto di vista descrittivo, sia da un punto di vista morale. Ad esempio Patricia Greenspan (“The Problem with Manipulation”, American Philosophical Quarterly, 40, 2, 2003, pp. 155-164) sostiene che alcune manipolazioni si sovrappongono sia alla coercizione sia alla persuasione; George Tsai (“Rational Persuasion as Pa- ternalism”, Philosophy and Public Affairs, 42, 1, 2014, pp. 78-112) argomenta a favore dell’idea che alcune volte anche la persuasione razionale può essere paternalistica e quindi moralmente discutibile.

tori, non siano per questo del tutto illeciti ed è questa una modalità non estranea all’esperienza comune. In alcune relazioni possono es- serci dei momenti in cui la persona manipola l’altra, senza che questi atti assumano un tono morale negativo. Torneremo dopo su questa osservazione, perché sarà importante nel caso delle spinte gentili.

Il problema centrale rispetto alla questione dell’identificazio- ne consiste quindi nel comprendere quale tipo di influenze siano le manipolazioni. Secondo una teoria molto diffusa, chi manipola influenza il comportamento di qualcuno grazie all’interferenza con le sue capacità razionali, dove per ‘interferenza’ si intende l’aggira- mento o l’impedimento di queste capacità. In sostanza, A manipola B quando riesce a ottenere da B un comportamento impedendo a B di esercitare la sua capacità di riflettere sulle ragioni che si hanno per compiere una certa azione14. Amplificare certi stati emotivi nella

persona è un modo efficace di evitare che quella persona rifletta sulle ragioni per evitare un certo tipo di comportamento: ad esempio, si può indurre una popolazione a votare un certo partito che propugna politiche xenofobe instillando e amplificando la paura per lo stranie- ro tramite la diffusione ripetuta di notizie artefatte sul collegamento tra la delinquenza e presenza di immigrati sul suolo nazionale. O, per fare un esempio più prosaico, se voglio tenerti lontana dal mio giardino possono convincerti della presenza di serpenti, animali che tu odi, quando è impossibile che ve ne siano. Sfrutto la tua paura per evitare che tu rifletta adeguatamente sulla situazione e adotti un comportamento razionale. Questa spiegazione della manipolazione sembrerebbe attagliarsi perfettamente alle spinte gentili che sfrut- tano il Sistema 1 perché indurre un comportamento sollecitando le risposte automatiche è un modo per impedire alle persone di utiliz- zare il Sistema 2, ossia le loro capacità razionali.

È proprio questa la definizione di manipolazione che i paternali- sti libertari accettano. Sunstein sostiene che un atto è manipolatorio «se non impegna o fa appello in modo insufficiente alla capacità di

14 Cfr. per varie formulazioni di questa teoria, J. Raz, The Morality of Free- dom, Clarendon Press, Oxford, 1986, pp. 377-378; Blumenthal-Barby, Between Reason and Coercion, cit.; J.S. Blumenthal-Barby, H. Burroughs, “Seeking Bet-

ter Health Care Outcomes: The Ethics of Using the ‘Nudge’”, American Journal

riflessione e deliberazione»15 e che c’è una soglia sotto la quale anche

un parziale interessamento di riflessione e deliberazione non riesce a evitare la manipolazione. Sunstein non specifica quale sia que- sta soglia, la cui determinazione rimane quindi ambigua e aperta a un’ulteriore valutazione. Questa mossa gli consente di accettare una concezione gradualistica della manipolazione, per cui non è neces- sario individuare una proprietà “tutto o nulla” che divida la catego- ria degli atti in due sottogruppi nettamente distinti (atti manipolato- ri contro atti non manipolatori). È d’altronde possibile individuare una casistica nella vita reale che spazia da casi in cui c’è una palese manipolazione (la pubblicità subliminale e l’utilizzo del priming), a casi che non presentano particolari problemi sotto questo aspetto (un avvertimento sul possibile attraversamento di animali selvatici), a casi molto più ambigui (la struttura di un sito web che attrae l’at- tenzione dei clienti sui prodotti più costosi).

L’idea che la manipolazione corrisponda a una distorsione delle capacità razionali va incontro ad alcuni problemi. In primo luogo non sempre l’introduzione di influenze non-razionali coincide con una manipolazione vera e propria. In certi casi è possibile sottoline- are un fatto o attirare l’attenzione su certe ragioni aumentandone la salienza e consentendo così alla persona a cui ci si rivolge di delibe- rare o scegliere meglio. In questi casi i cambiamenti della salienza di opzioni e fatti non sono vere e proprie manipolazioni. Ad esempio, la pubblicazione di immagini esplicite sui pacchetti di sigarette può avere lo scopo di “mobilitare” risorse non razionali per rafforzare la deliberazione, aumentando la salienza di certi fatti rilevanti per il consumatore, piuttosto che a manipolarne la scelta. Inoltre, come si è visto nel secondo capitolo, in certi contesti l’uso di euristiche velo- ci che non coinvolgono il Sistema 2 nell’atto della scelta può essere più benefico dell’uso di processi razionali lenti e dispendiosi. In certi

15 Sunstein, The Ethics of Influence, cit., p. 82. Per una posizione analoga,

cfr. J. Hanna, “Libertarian Paternalism, Manipulation, and the Shaping of Pref- erences”, Social Theory and Practice, 41, 4, 2015, pp. 618-643. Cfr. anche B. Engelen, “Les concepts d’autonomie et de rationalité dans la théorie des ‘nudg- es’”, in Bozzo-Rey, Brunon-Ernst (sous la direction de), Nudges et normativités, cit., pp. 152-156.

casi il discostamento da un ideale di razionalità pura e logica non è controproducente e produce comunque forme di razionalità16.

Ciò non implica che tutte le influenze che aumentano in modo non-razionale la salienza di certe informazioni sono tout-court non manipolative, ma solo che sfruttare il Sistema 1 non è necessaria- mente sinonimo di manipolazione e può essere al contrario un modo efficace di rafforzare l’operatività del Sistema 217. In questa direzio-

ne si muove anche Sunstein quando sostiene l’esigenza di fissare una soglia per valutare il reale coinvolgimento, caso per caso, delle ca- pacità razionali. Gli avvertimenti espliciti di conseguenza possono non essere considerati manipolazioni qualora la risposta viscerale che evocano non pregiudichi un sufficiente coinvolgimento delle ca- pacità delle persone di scegliere in modo riflessivo e deliberativo. Se buona parte delle persone, dopo aver visto una foto di un polmone affetto da tumore, comprende meglio quali sono i rischi del fumo, allora la loro capacità deliberativa risulta migliorata. In questo senso l’immagine esplicita costituisce un input, un dato in ingresso, senza agire direttamente sull’output, cioè sulla scelta finale dell’agente18.

16 Per la connessione tra questo argomento e la manipolazione, cfr. ad

esempio T.M. Wilkinson, “Nudging and Manipulation”, Political Studies, 61, 2, 2013, p. 350.

17 La rigida distinzione tra Sistema 1 e Sistema 2 porta molto spesso anche

i paternalisti libertari a sottostimare l’intreccio tra processi razionali e proces- si non-razionali nella deliberazione. Sul rapporto tra spinte gentili, salienza e manipolazione, cfr. Lemaire, “Nudges, information et manipulation”, cit., pp. 181-185 e R. Noggle, “Manipulation, Salience, and Nudges”, Bioethics, 32, 3, 2018, pp. 164-170. Cfr. anche R. Noggle, “Manipulative Actions: A Concep- tual and Moral Analysis”, American Philosophical Quarterly, 33, 1, pp. 43-55, soprattutto pp. 49-50.

18 Cfr. Sunstein, The Ethics of Influence, cit., pp. 110-111. In realtà Sunstein

ha due ulteriori ragioni per considerare gli avvertimenti espliciti come legitti- mi, anche se fossero manipolatori. Una ragione si riconnette al fatto che pro- ducono conseguenze benefiche, perché possono salvare vite. Anche se sfrutta- no esclusivamente il Sistema 1 (o attivano in modo insufficiente il Sistema 2) hanno effetti benefici sul benessere delle persone. La seconda ragione è più fine: l’avvertimento esplicito in realtà opererebbe come “debiasing”. Il fumatore o l’aspirante fumatore sviluppa il desiderio di fumare anche per l’influenza di messaggi pubblicitari o sociali che manipolano il Sistema 1 e l’avvertimento esplicito non farebbe altro che imbracciare la stessa arma per contrastare que- sta tendenza.

In secondo luogo, come ha sottolineato Moti Gorin, è sempre possibile manipolare qualcuno sfruttando il Sistema 2. L’esempio che Gorin presenta riguarda Jacques che, dopo una lunga medita- zione sul senso della vita, è giunto alla conclusione che la vita non ha senso e non c’è alcuna ragione per continuare a vivere. La decisione di suicidarsi è impedita solo dall’altra convinzione filosofica a cui è giunto Jacques: Dio esiste e la sua esistenza è l’unica fonte di signi- ficato per la vita. James sa che dopo la morte di Jaques lui erediterà tutte le sue ingenti sostanze, per cui presenta a James tutti i più po- tenti argomenti anti-teistici che riesce a costruire per dimostrare che Dio non esiste. Dopo averci riflettuto Jacques è convinto da questi argomenti e ogni ostacolo verso il suicidio razionale è così rimosso. La manipolazione non altera le capacità razionali di Jacques, né gli impedisce di utilizzarle. Gorin presenta un secondo esempio, più vi- cino agli argomenti che stiamo trattando. Un medico ha in cura un paziente depresso, affetto da una patologia per cui esiste un tratta- mento medico efficace. Se il paziente non fosse in preda alla depres- sione acconsentirebbe senza dubbio a ricevere la cura ma adesso, nelle sue condizioni, oppone un dissenso. Poniamo che esista un certo modo di formulare le informazioni sul trattamento che, sfrut- tando l’effetto framing, indurrebbero il paziente ad accettare la cura. Secondo Gorin, se il medico utilizzasse questo metodo per ottenere il consenso manipolerebbe il paziente senza tuttavia contrastare le sue capacità razionali. Anzi, in un certo senso, otterrebbe il risultato di potenziarle o comunque di consentirne l’utilizzo da parte del pa- ziente, rimuovendo un ostacolo che bloccava questa opportunità19.

Il primo esempio di Gorin non sembra in tutto e per tutto una vera e propria manipolazione perché assomiglia più a un caso di per- suasione razionale in cui la presentazione di argomenti cogenti rie- sce a convincere una persona della tesi contraria rispetto a quella fin qui sostenuta, con tutte le implicazioni pratiche che ciò comporta. Ma c’è una caratteristica specifica che inclina invece ad assimilarlo alla manipolazione: lo scopo di James non è quello di convincere

19 M. Gorin, “Do Manipulators Always Threaten Rationality?”, American Philosophical Quarterly, 51, 1, 2014, p. 56. Cfr. anche M. Gorin, “Towards a

Theory of Interpersonal Manipulation”, in C. Coons, M. Weber (eds.), Manip-

Jacques ad accettare una credenza vera sull’inesistenza di Dio. James non ha alcun interesse e può anche darsi che lui stesso non condi- vida gli argomenti che presenta. In breve, come conclude Gorin, a James non sta a cuore la qualità delle ragioni che presenta, né il fatto che Jacques arrivi alle sue conclusioni percorrendo un determinato itinerario razionale. L’unica cosa che sta a cuore a James è l’effica- cia delle sue considerazioni nel realizzare lo scopo che si è prefisso: convincere Jacques della necessità del suicidio razionale per ottenere l’eredità. È questo che rende la sua operazione più simile a una ma- nipolazione che a una persuasione20. Non è invece del tutto chiaro

se il medico del secondo esempio manipola davvero il suo paziente. Sicuramente è interessato a fare in modo che la sua influenza sia efficace nell’ottenere un certo effetto ma il risultato consiste nel fare in modo che il paziente prenda una decisione in linea con quella che avrebbe preso se non fosse affetto da una patologia. Se poi lo stato depressivo è tale da rendere il paziente incapace (o non del tutto capace) di prendere decisioni sulla sua salute, allora il medico è del tutto legittimato, entro certi limiti, ad agire paternalisticamente nei suoi confronti21.

Se immaginiamo casi in cui non è presente la variabile di una patologia che impedisce comunque al Sistema 2 di esercitare le sue funzioni, l’uso di spinte gentili è manipolatorio? In realtà, secondo i paternalisti libertari, è questa la condizione in cui si trova la maggior parte degli agenti umani, a causa della presenza di imperfezioni e distorsioni cognitive, e che giustifica il ricorso alle spinte. In una del- le prime formulazioni del paternalismo libertario, Sunstein e Thaler utilizzano la canonica espressione secondo cui l’influenza sulle scelte avviene per migliorare il benessere degli individui secondo la conce- zione del benessere che essi hanno (e su questa ci soffermeremo nel prossimo capitolo), ma affiancano a essa una specificazione signifi- cativa. Le decisioni che gli esseri umani prendono sono quelle «che non avrebbero preso se avessero prestato piena attenzione e se aves- sero posseduto informazioni complete, capacità cognitive illimitate

20 Gorin, “Do Manipulators Always Threaten Rationality?”, cit., pp. 57-58. 21 Con questa considerazione non si intende estendere a tutti i casi il giu-

dizio secondo cui gli stati depressivi sono incompatibili con la possibilità di esercitare una scelta ponderata.

e totale autocontrollo»22. In questo brano non è chiaro se, in assen-

za dei limiti imposti dai difetti cognitivi, gli esseri umani avrebbero preso decisioni massimamente razionali (come quelle degli econi) oppure decisioni che avrebbero rispecchiato la loro concezione del benessere, anche se non sarebbero state quelle che avrebbero preso in condizioni ideali. L’ambiguità non è da poco: se l’obiettivo è quel- lo di realizzare standard di razionalità ideali, allora si tratta di fare in modo che l’esito sia quello che avrebbe raggiunto una pura e perfetta operazione del Sistema 2, ma utilizzando il lavoro sporco e imper- fetto del Sistema 1 (ma su questa caratterizzazione si veda quando abbiamo già detto nei capitoli precedenti). Inoltre, se niente assicura che gli standard di razionalità ideale coincidano con gli scopi che gli individui realmente hanno, allora le spinte gentili possono essere manipolatorie perché deviano le persone dalla realizzazione dei loro scopi, senza che se essi se ne accorgano. Se assumiamo invece che l’obbiettivo dell’uso delle spinte sia quello di realizzare il benessere delle persone così come loro lo concepiscono, l’obiezione della ma- nipolazione viene meno.

Se si applicano le considerazioni di Gorin, da una parte le spinte gentili potrebbero essere considerate manipolatorie perché i paterna- listi libertari non sono interessati alla qualità del processo attraverso cui si raggiunge l’esito desiderato; dall’altra parte i loro fini non sono equiparabili a quelli di James, né a quelli di qualunque altro mani- polatore che tenta di orientare il comportamento altrui verso i suoi interessi. In molti casi lo scopo è quello di ottenere lo stesso risultato che otterrebbe l’agente se potesse usare in modo completo il Sistema 2. In definitiva, affidarsi alla distinzione tra Sistema 1 e Sistema 2 e distinguere tra influenze non-razionali e influenze razionali sembra una strategia poco promettente sia per individuare in generale quali atti sono genuine manipolazioni, sia per giudicare in particolare se le spinte gentili ricadono tra gli interventi manipolatori.

22 Thaler, Sunstein, Nudge. La spinta gentile, cit., p. 11. Cfr. anche Sunstein,