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Paternalismo: hard e soft

Tuttavia, per Sunstein il nudge è quanto di meglio abbiamo a disposizione. “Premia” l’inerzia dei cittadini, fa addirittura leva su di essa, ma è una forma di paternalismo mite che non intacca l’autono- mia di scelta liberale, semmai la condiziona. Non è un paternalismo “dei fini” (che sarebbe necessariamente hard, cioè coercitivo, oltre che perfezionista), bensì “dei mezzi” (soft). L’ideale sarebbe garan- tire la libertà di scelta a ogni individuo in ogni circostanza, ma la realtà consiglia di procedere in un altro modo: l’autonomia senza vincoli è un lusso che non possiamo permetterci66.

I rapporti complessi tra paternalismo e libertà sono messi in luce da John Stuart Mill per il quale le scelte individuali in quanto azioni other-regarding non possono essere oggetto di interferenza dell’au- torità tranne nel caso in cui si miri a scongiurare un danno ad altri. Nel caso delle azioni self-regarding si può invece dare interferenza ma solo per prevenire i danni che il soggetto causerebbe a se stesso a seguito di decisioni inconsapevoli, cioè non propriamente desidera- te. Pertanto, in primo luogo, in On Liberty, Mill formula il principio a suo dire semplice, secondo il quale:

il solo e unico fine che autorizzi l’umanità, individualmente o colletti- vamente, a interferire sulla libertà di azione di uno qualunque dei suoi membri, è quello di proteggere se stessa. L’unico scopo che autorizzi l’esercizio del potere nei confronti di un qualsiasi membro di una co- munità civile contro la sua volontà, è quello di evitare un danno agli altri. A un’autorizzazione del genere, il bene personale dell’individuo, fisico o morale che sia, non basta.67

66 Sunstein, Thaler, “Libertarian Paternalism”, cit. Cfr. G. Dworkin, “Harm-

less Wrongdoing”, in A. Cadoppi (a cura di), Laicità, valori e diritto penale, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 189-205, in part. p. 193.

67 J.S. Mill, La libertà, in Id., La libertà; L’utilitarismo; L’asservimento delle donne, Rizzoli, Milano, 1999, p. 75.

Il principio del danno esclude la legittimità di ogni forma di inter- ferenza dell’autorità con le scelte self-regarding. In secondo luogo, Mill immagina circostanze in cui è possibile presupporre che la scel- ta dell’individuo non corrisponda a quella che sarebbe stata presa in condizioni di piena maturità e cognizione di causa. In questi casi l’autorità è legittimata a proteggere le persone dai limiti cognitivi e dall’insipienza: «si tratta di favorire le azioni degli individui, piutto- sto che di imporvi restrizioni»68. Non solo:

Se un agente in servizio, o chiunque altro, si accorgesse che una persona sta per attraversare un ponte dichiarato pericolante, e non ci fosse abba- stanza tempo per avvertirla del pericolo, potrebbe agguantarla e tirarla indietro a forza senza ledere realmente la sua libertà, dato che la libertà consiste nel fare ciò che si desidera e quella persona non desidera certo cascare nel fiume69.

In pratica, se una persona è pienamente consapevole del pericolo che sta correndo e mette in atto la sua scelta, la sua libertà la legitti- ma a farlo finché non causa danno a terzi; ma se agisce in modo non consapevole, l’autorità deve tener presente che la maggior parte del- le persone non vorrebbe correre rischi, e quindi che c’è una buona probabilità che anche questa persona voglia o vorrebbe evitarli. Ecco perché un pubblico ufficiale è giustificato a interferire con la sua vo- lontà: non arrecare danno a terzi cessa di essere il solo principio ca- pace di giustificare un intervento del potere pubblico. Nel capitolo quarto torneremo sull’esempio milliano del ponte e discuteremo più approfonditamente l’uso che ne fa Sunstein per giustificare il pater- nalismo libertario.

Esso sembra superato anche in un’altra circostanza, quella in cui l’interferenza dell’autorità non è propriamente coercitiva, limitan- dosi a “pungolare” debolmente l’individuo e lasciandogli la liber- tà della decisione definitiva. Infatti, nell’ultima parte di On Liberty, Mill si domanda «se lo Stato, pur permettendo una condotta che reputa contraria ai più validi interessi di chi agisce, debba tuttavia scoraggiarla indirettamente; se, per esempio, contro l’ubriachezza debba prendere provvedimenti che rendano più costosi gli alcolici

68 Ivi, p. 218. 69 Ivi, p. 200.

o che limitino il numero dei loro punti vendita per far diventare più difficile procurarseli»70. Ciò equivale a riconoscere che esistono

situazioni in cui, come nel caso della tassazione degli alcolici, un’in- terferenza minima con l’autonomia individuale non è illegittima, perché si limita a scoraggiare un comportamento senza proibirlo.

Gerald Dworkin definisce il paternalismo come l’interferen- za con la libertà di una persona in base a ragioni riferibili necessa- riamente a benessere (welfare), bene, felicità, necessità, interessi o valori di chi viene obbligato71. Egli chiarisce che tale interferenza

può assumere due forme: il paternalismo forte e quello debole. Per il primo, indipendentemente dal modo in cui gli individui fanno le proprie scelte, essi sono obbligati a tenere certi comportamenti; per il secondo, possono essere incoraggiati a mettere in atto certe con- dotte quando la loro scelta non è pienamente deliberata e consape- vole. Secondo la formulazione di Dworkin, l’azione paternalistica è tipicamente coercitiva:

Suggerisco le seguenti condizioni come analisi di un’azione paternali- stica X esercitata su Y, facendo (o omettendo di fare) Z: (1.) Z (o la sua omissione) interferisce con la libertà o l’autonomia di Y; (2.) X lo fa sen- za il consenso di Y; (3.) X lo fa perché Z incrementa il benessere di Y

70 Ivi, p. 206. Da buon liberale, Mill riconosce ai consumatori di alcolici

la libertà di mettere in atto questa condotta: «La scelta dei piaceri, il modo di spendere il proprio reddito dopo aver adempiuto agli obblighi legali e morali verso lo Stato e verso i singoli, interessano soltanto l’individuo e devono dipen- dere solo dal suo giudizio. A prima vista può sembrare che queste con sidera- zioni condannino la scelta degli alcolici come oggetto specifico di tassazione a favore dell’erario» (ibidem). Tuttavia, Mill aggiunge che: «Ma dobbiamo tene- re a mente che la tassazione a fini fiscali è assolutamente inevitabile; [...] che quindi lo Stato non può fare a meno di penalizzare l’uso di certi prodotti di consumo che, per alcuni, possono diventare proibitivi. Prima di imporre delle tasse, quindi, lo Stato ha il dovere di considerare a quali prodotti possano più facilmente rinunciare i consumatori e, a fortiori, scegliere di preferenza quelli che ritiene decisamente dannosi se non vengono usati in quantità estremamen- te moderata. Ecco perché non è solo cosa ammissibile, ma anche degna di ap- provazione, tassare gli alcoli [...]» (ivi, pp. 206-207).

(oppure impedisce che diminuisca) o, in qualche modo, promuove gli interessi, i valori o il bene di Y.72

Di tutt’altro segno è il paternalismo debole, che prevede che l’azio- ne dell’istituzione sia persuasiva e non coercitiva: per preservare la libertà, gli individui devono potersi sottrarre all’interferenza facil- mente73.

La dicotomia hard/soft si deve in primo luogo a Joel Feinberg74.

Egli distingue il paternalismo di un’autorità che agisce per il bene dei cittadini senza considerarne volontà e desideri, da un paterna- lismo che difende gli individui da specifici pericoli o nel caso in cui essi siano vulnerabili75. I minori e gli adulti che mancano di alcune

capacità cognitive ed emotive necessarie per prendere decisioni ra- zionali sono i destinatari di questa seconda forma di intervento76.

Infatti, anche le azioni impulsive o prese in balìa dell’emotività na- scono dalla volontà, ma non si può dire che siano il frutto di deci- sioni propriamente dette, cioè “deliberate”, che richiedono tempo di

72 Dworkin, “Paternalism”, in N. Zalta (ed.), Stanford Encyclopedia of Phi- losophy cit., par. 2.

73 Dworkin, “Paternalism”, in R. Sartorius (ed.), Paternalism, University of

Minnesota Press, Minneapolis, 1983; Id., Paternalism, Some Second Thoughts, ivi. Secondo la definizione di Dworkin, inoltre, una legge che obbliga un mo- tociclista a indossare il casco è paternalistica, ma non per Sunstein, o, almeno, non è chiaro se lo sia, perché per lui un provvedimento è paternalistico o non lo è in base a come usa l’informazione presso il soggetto della scelta: Sunstein,

Effetto nudge, cit., pp. 66-69.

74 J. Feinberg, Harm to Self. The Moral Limits of the Criminal Law, Oxford

University Press, New York-Oxford, 1984, p. 12. Abbiamo convenuto, ove il testo lo consenta, e il contesto del discorso non induca equivoci, di riferirci al ‘paternalismo soft’ come al ‘paternalismo mite’, e, per contrapposizione, a quello ‘hard’ come al ‘paternalismo coercitivo’, nel rispetto della distinzione originaria.

75 J. Feinberg, Legal Paternalism, in R. Sartorius (ed.), Paternalism, cit; Id., Harm to Self, cit.

76 Come ricorda Giacomini, per Feinberg assume rilievo la distinzione

aristotelica presente nell’Etica Nicomachea fra azioni che nascono come scelte deliberate e quelle che non lo sono: Giacomini, “Libertà et/aut paternalismo”, cit., p. 9. Cfr. Feinberg, Legal Paternalism, cit. Cfr. G. Giacomini, “Promuovere la felicità? Il paternalismo alla luce delle nuove scienze delle decisioni”, Notizie

riflessione, informazioni adeguate e pieno utilizzo della razionalità. In questo caso, l’azione di una guida esterna volta a evitare conse- guenze inaspettate o spiacevoli è del tutto legittima. Non c’entra, dunque, la qualità morale dell’azione scelta e nemmeno, o almeno così sembrerebbe, quella della persona che la compie, ma soltanto la volontà dell’individuo espressa in modo consapevole.

Per Feinberg sono il “danno a se stessi” (harm to self) e il suo significato politico e sociale a costituire il parametro di valutazione della legittimità di un intervento paternalistico. Infatti, nel terzo vo- lume della sua famosa tetralogia, intitolato Harm to Self, dopo aver sostenuto la correttezza del principio del danno77, Feinberg sostiene

un «anti-paternalismo forte» che si oppone all’ingerenza paternali- stica nelle scelte volontarie e autodirette. Questa posizione, piena- mente coerente con l’accettazione del cosiddetto paternalismo de- bole (soft paternalism), gli consente di affermare che l’autorità stata- le ha il diritto di impedire la condotta di un soggetto su se stesso se l’azione non è volontaria, o se ci vuole tempo per appurare se lo sia. Analogamente, nelle vicende che coinvolgono due soggetti, l’accor- do che abbia a oggetto la condotta di uno a danno dell’altro è valido solo in presenza del consenso di quest’ultimo. Quando non c’è con- senso, il paternalismo soft concede alla legge di impedire la condotta dannosa, ma non perché si possa valutare il contenuto della scelta del soggetto, bensì per verificare che la scelta sia veramente sua. In pratica, la preoccupazione riguarda la reale opzione del soggetto e non il danno che egli può causare a se stesso. Il paternalismo soft, in definitiva, è la negazione stessa del paternalismo giuridico78, ed è

questa la ragione per cui Feinberg parla di «antipaternalismo soft». Solo il paternalismo forte è vero paternalismo, quello che legittima l’interferenza dello stato nelle scelte autoreferenziali delle persone adulte capaci79, mentre quello soft non lo è80. Partendo dalla contrap-

77 Feinberg, Harm to Self, cit., p. 4.

78 Cfr. M. Romano, “Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del di-

ritto penale”, in Cadoppi (a cura di), Laicità, valori e diritto penale, cit., pp. 143-166, in part. p. 147.

79 Feinberg, Harm to Self, cit., p. 15.

80 Va detto, per inciso, che ci sono autori per i quali, anche se le preferenze

posizione hard/soft Feinberg arriva a definire l’autonomia di una persona attraverso la ben nota analogia tra libertà individuale e so- vranità dello stato81. Al termine di penetranti distinzioni concettuali,

egli afferma che l’individuo ha un proprio right of autonomy istitu- zionalmente resistente alle interferenze altrui; e fino a quando il suo atto è esclusivamente self-regarding, senza alcun riflesso su soggetti terzi (non other-regarding), egli gode di una libertà sovrana82.

È facile immaginare che i dubbi più gravi a proposito di questa dottrina sorgano rispetto all’identificazione delle condotte che inte- ressano solo il singolo e nessun altro. Condotte di questo tipo sicura- mente esistono, ma forse non sono così tante, né facilmente isolabili. Thaler e Sunstein insistono ripetutamente sulla dimensione inevi- tabilmente sociale dell’autonomia di scelta dell’individuo quando sostengono che condotte autoreferenziali e dannose finiscono per incidere sull’organizzazione della società e sul suo benessere. Con- dotte aggregate di questo tipo, come sappiamo, sono considerate responsabili della mancanza di prosperità per un’intera collettività e comportano un costo molto alto anche in termini di generalizza- zione e di astrattezza delle previsioni normative.