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Manipolazioni e ingann

Come sottolinea Gorin, chi manipola, generalmente, non tiene di conto la qualità del processo attraverso cui raggiunge lo scopo prefisso. Non si cura, cioè, del fatto che l’agente manipolato giunge a prendere una decisione tramite percorsi “adeguati”. Il problema si sposta in questo caso nel definire il criterio di adeguatezza che, quando rispettato, denota in chi influenza un’attenzione non mani- polatoria verso la qualità della scelta di chi viene influenzato.

Robert Noggle usa una terminologia diversa, ma sostanzialmen- te compatibile con questa idea, quando sostiene che la manipolazio- ne introduce stati mentali difettosi (faulty). Se una persona influenza un’altra insinuando credenze false, desideri irrazionali o emozioni inappropriate, allora la sta manipolando: la manipolazione è un fenomeno simile all’inganno23. Chi è manipolato viene indotto a

desiderare, credere o sentire in modo da allontanarsi da ideali che dovrebbero governare questi stati mentali. Chi manipola, come chi inganna, considera gli ideali verso cui dirige il manipolato inadegua- ti o falsi. In realtà non c’è accordo in letteratura sul modo in cui si devono definire gli standard da cui gli agenti sono allontanati. Nog- gle ritiene appunto che debbano essere relativizzati alle prospettive degli individui coinvolti nella relazione di manipolazione, altri so- stengono invece che dovrebbero essere definiti in modo oggettivo: si prenda ad esempio il caso di un santone che manipoli le coscienze degli adepti alla sua setta, facendo loro credere che dopo aver com- piuto un suicidio di massa i loro corpi saranno raccolti da extra- terrestri che li rianimeranno donando loro vita eterna. Se il santone crede davvero in questa teoria, secondo la definizione di Noggle non starebbe manipolando nessuno, perché la credenza instillata è per lui vera. Ma questo sembra assurdo24.

23 Cfr. Noggle, “Manipulative Actions: A Conceptual and Moral Analysis”,

cit.; Noggle, “Ethics of Manipulation”, cit., par. 2.2. Cfr. anche Sunstein, The

Ethics of Influence, cit., pp. 88-89.

24 Hanna, “Libertarian Paternalism, Manipulation, and the Shaping of

Preferences”, cit., pp. 631-633. Cfr. su questo punto Noggle, “Ethics of Manip- ulation”, cit., par. 2.2 e A. Barnhill, “What Is Manipulation?”, in Coons, Weber (eds.), Manipulation. Theory and Practice, cit., pp. 51-72, soprattutto pp. 65-68.

Al di là di queste divergenze, un’analisi più circostanziata è utile per comprendere in quale grado le singole spinte sono manipolato- rie. In alcuni casi il nudge utilizzato fa un uso improprio di mezzi per fare in modo che gli individui scelgano in un certo modo. Noggle fa l’esempio di un medico che sfrutta le paure irrazionali di un paziente per indurlo a smettere di fumare; in questo caso è plausibile pensare che il medico stia manipolando il paziente, ma non sempre i contor- ni dell’intervento sono così netti. Si prenda ad esempio lo sfrutta- mento dell’effetto framing ottenuto comunicando al paziente i rischi relativi del fumo (“la probabilità di avere un infarto raddoppia nei fumatori”) senza informarlo di quale sia il tasso di contrazione della patologia nella popolazione (raddoppia rispetto a quale cifra?). In questo modo chi presenta l’informazione attribuisce una maggiore salienza alla connessione tra stili di vita ed esiti potenzialmente mor- tali, attivando probabilmente alcune reazioni emotive che rendono più probabile una certa scelta, ma raggiunge questo scopo ometten- do un pezzo di informazione. È questo un punto che anche Sunstein riconosce in The Ethics of Influence:

I manipolatori, fuori e dentro i governi, spesso descrivono le scelte in modo da rendere certi risultati vividi e attraenti (come l’acquisto di bi- glietti della lotteria, che può portare a una vita di agi e piaceri) o vividi e poco attraenti (come il mancato acquisto di un’assicurazione vita che può portare a una vita di povertà e disagio per chi sopravvive), anche se una formulazione più neutrale presenterebbe l’intero problema in termini meno tendenziosi, consentendo a chi sceglie di trovarsi in una posizione più oggettiva per soppesare le variabili rilevanti (e, in questo senso, di essere più libero)25.

Prendiamo un altro esempio, in cui un agente tenta di indurre un cambiamento nel comportamento di un altro agente influenzando le sue emozioni:

Jane è una mangiatrice morbosa. La sua coinquilina è preoccupata sulla quantità di cibo spazzatura che mangia e decide di creare un ambiente di scelta che la spinga a fare scelte alimentari più sane. La coinquilina di Jane sostituisce gli specchi normali dell’appartamento con specchi de- formanti che fanno sembrare Jane sovrappeso. La coinquilina di Jane

25 Sunstein, The Ethics of Influence, cit., p. 84. Cfr. anche p. 91 per altre

non si impegna ad argomentare razionalmente con lei, né la minaccia. Invece la manipola, ossia aggira il suo ragionamento sfruttando ele- menti non-razionali del processo psicologico e/o influenzando scelte in un modo che non è ovvio.

Secondo Blumenthal-Barby la coinquilina manipola Jane perché ag- gira le sue capacità razionali, pur non impedendo a Jane di sceglie- re altrimenti o imponendo un costo eccessivo all’alternativa (ossia continuare a mangiare cibo malsano); piuttosto interferisce con «la sua capacità di discernere le opzioni, considerarle e agire in accordo con le sue preferenze» e «la fa agire per ragioni di cui si dispiacereb- be». Se Jane lo venisse a sapere sicuramente obietterebbe, sulla base delle sue preferenze, a quello che ha fatto la coinquilina26. Ma, come

si è visto, il reale problema presentato dall’uso di specchi deformanti consiste nel fatto che Jane è ingannata perché le viene instillata una credenza falsa (è esageratamente grassa) e non nel fatto che vengono sfruttate le sue emozioni per bloccare le capacità deliberative e razio- nali. In questo modo ne risulta peggiorato il processo attraverso cui Jane giunge a scegliere di smettere di mangiare cibo spazzatura. La ragione per farlo non è una sua ragione, perché la credenza su cui si basa è frutto di un uso ingannevole, ambiguo, che ricorrere eccessi- vamente a informazioni o immagini per sollecitare certe emozioni.

In definitiva, una spinta è manipolatoria nel momento in cui chi la subisce è indotto, senza che ne sia consapevole, a scegliere e agire tramite un inganno che instilla credenze, desideri o emozioni “difettosi” o lo induce ad agire per ragioni che non riconosce. Pro- babilmente la domanda iniziale da cui siamo partiti è mal posta: le spinte gentili sono interventi manipolatori? Sono interventi che in- fluenzano il comportamento, come lo influenzano gli atti coercitivi e quelli persuasivi, e possono essere manipolatori nella misura in cui amplificano, causano o attivano nel soggetto processi e stati mentali inappropriati per ottenere un certo scopo.

Alcuni autori, come ad esempio Jason Hanna, preferiscono par- lare di «modellamento delle preferenze» (shaping preferences) e di- stinguono tra le spinte che intervengono direttamente per modifica-

26 Cfr. J.S. Blumenthal-Barby, “Choice Architecture: A Mechanism for

Improving Decisions while Preserving Liberty?”, in Coons, Weber (eds.), Pa-

re le preferenze e quelle che invece si limitano a regolare il compor- tamento. Ad esempio, lo sfruttamento dell’effetto framing, alterando la salienza, rimodella le preferenze del soggetto; diversamente, la re- gola di default agisce in modo diverso. Prendiamo una delle propo- ste più ricorrenti nelle pagine di Sunstein e Thaler, ossia l’uso di re- gole prestabilite nella definizione dei piani pensionistici. Dal punto di vista degli architetti di sistema, la soluzione più ragionevole nella scelta dei fondi pensionistici è quella di prevedere un arruolamento automatico in un piano che prevede opzioni preimpostate per i tassi di risparmio e la distribuzione degli investimenti, da cui i soggetti possono liberamente uscire esercitando in qualunque momento la facoltà di opting out. La forza dell’inerzia e la distorsione dello status quo determinano una maggiore probabilità che gli individui non de- cidano di avvalersi dell’opzione di uscita e continuino ad aderire al piano preimpostato per loro più vantaggioso. In questo caso l’archi- tettura della scelta non muta l’insieme delle preferenze individuali, ma interviene solo sul comportamento, garantendo in realtà una probabile astensione dalla scelta27.

Il problema della manipolazione tocca in egual misura entram- bi i tipi di spinte: anche quando la regola di default non interviene direttamente sugli stati mentali del soggetto, essa crea una maggiore salienza per un’opzione (rimanere fedeli alla scelta preimpostata) rispetto all’altra (esercitare un’opzione di uscita). Per alcuni sogget- ti questa maggiore salienza non sarà problematica, perché possono trovare di per sé approvabile (per svariati motivi) il piano già deci- so dagli architetti del sistema, ma per altri ci sarà una sfasatura tra quello che realmente vogliono e quello che sono indotti a fare dalla maggiore salienza data dalla distorsione dello status quo. Il risultato è che la continua adesione al piano pensionistico potrebbe essere

27 Per la distinzione, si veda Hanna, “Libertarian Paternalism, Manipula-

tion, and the Shaping of Preferences”, cit., pp. 622-623. Per una presentazione dell’esempio scelto per illustrare la regola di default, cfr. C.R. Sunstein, R.H. Thaler, “Preferences, Pateralism, and Liberty”, in S. Olsaretti (ed.), Preferences

and Well-Being, Cambridge University Press, Cambridge, 2006, pp. 240-243.

Nel libro La spinta gentile (cit., p. 136) gli autori presentano un sistema più articolato, in cui a ogni dipendente viene concessa la possibilità di scegliere se aderire al fondo di default oppure avere un maggior grado di coinvolgimento nell’investimento del suo denaro. Cfr. anche ivi, pp. 151-160.

dettata per qualcuno da ragioni che non sono interamente le sue ragioni per scegliere in questo modo, anche se il comportamento dipende da aspetti della sua mente (un bias cognitivo).

La distinzione tra spinte che modellano le preferenze e spinte che modellano il comportamento è però insufficiente per ricom- prendere tutti i casi. Si ripensi all’esempio di Carolyn e del suo risto- rante. In questo caso si può sostenere che la disposizione degli ali- menti crea le preferenze stesse, perché la scelta non dipende da quali desideri avessero i clienti prima di entrare nel ristorante. Può darsi che alcuni o molti di loro preferissero mangiare un piatto di fritto di carne ma, una volta iniziata la trafila per il self-service, influenzati dalla disposizione degli alimenti, abbiano mutato i loro desideri e scelgano alla fine un piatto di insalata. Oppure si può pensare che altri prima di entrare avessero semplicemente fame, senza coltivare alcuna idea su cosa scegliere una volta in fila davanti al bancone. In questi casi il contesto modella le preferenze degli agenti, tanto che Sunstein e Thaler sostengono che «ciò che i [clienti] scelgono di mangiare dipende dalla disposizione degli alimenti»28. Si tratta

d’altronde di un fenomeno ben noto in letteratura, a cui gli psico- logi comportamentali hanno dato ampia attenzione. La formazione delle preferenze individuali è una procedura complessa e prevede una serie di adattamenti nel corso del processo decisionale che con- corrono a creare le preferenze stesse. Come ha sostenuto lo psico- logo Paul Slovic, soprattutto in contesti inusuali e complessi in cui le informazioni a disposizioni sono scarse, «le preferenze non sono semplicemente lette da una lista ma sono costruite sul momento da un decisore adattivo»29. Questa adattabilità rende il contenuto delle

preferenze esposto a molteplici influenze, tra cui anche i bias che caratterizzano il Sistema 1.

Nella nuova organizzazione del ristorante di Carolyn, secondo Noggle, la disposizione dei cibi attribuisce a certi piatti una salienza diversa e il carattere ingannevole di questa operazione è legato alla

28 Thaler, Sunstein, Nudge. La spinta gentile, cit., p. 8.

29 P. Slovic, “The Construction of Preference”, American Psychologist, 50,

1995, p. 369. Cfr. anche S. Lichtenstein, P. Slovic (eds.), The Construction of

rilevanza, per la scelta, degli aspetti dell’ambiente che sono in questo modo evidenziati.

[La spinta gentile] enfatizza una delle opzioni, senza attirare l’attenzio- ne su qualsiasi fatto riguardo a questa opzione che sia vero e rilevante per la decisione del cliente su cosa mangiare. La salienza delle insalate è aumentata ma questo incremento non corrisponde ad alcunché che le renda maggiormente degne di scelta. In effetti, è aumentata la salienza della mera disponibilità dell’insalata. Certo, la diponibilità di un certo piatto può essere rilevante per la scelta, in quanto non ha senso sceglie- re qualcosa di indisponibile. Quindi, la disponibilità di un’opzione non è più rilevante per la scelta in discussione della disponibilità di altre portate. O, per usare parole diverse, la mera disponibilità delle insalate non è una considerazione rilevante per scegliere tra piatti ugualmente disponibili30.

Quello che Noggle omette di dire, ma è ancora più rilevante, è che l’architetto della scelta (Carolyn, in questo caso) sa cos’è che rende maggiormente degna di scelta l’insalata rispetto al fritto di carne o ai dolci e cioè le sue proprietà nutritive maggiormente salutari e bene- fiche per chi sceglie; la spinta gentile utilizzata non contiene però al- cuna trasmissione di informazioni rilevanti, che non possono quindi costituire una ragione genuina per scegliere l’insalata dal punto di vista del cliente. E questo accade sia per coloro che hanno già una motivazione per selezionare un’insalata invece di altri piatti (per gusto, per scelte etiche, salutiste o di dieta, o altre ancora), sia per coloro che non si sono ancora formati una preferenza, sia per coloro che, pur avendone una per altre opzioni, si trovano in qualche modo vinti dalla salienza presentata dalla disposizione degli alimenti.

La spinta gentile di Carolyn è quindi manipolatoria nella misu- ra in cui altera la salienza senza migliorare la comprensione della situazione dei clienti; si tratta di una manipolazione minima, che non chiama in causa aree sensibili dell’esperienza e della vita delle persone e probabilmente esercita sui clienti un’influenza facilmente resistibile. Ma è nondimeno utile come esempio perché consente di

30 Noggle, Manipulation, Salience, and Nudges, cit., p. 169. Per una ris-

posta alle obiezioni della manipolazione su questo punto, cfr. T.R.V. Nys, B. Engelen, “Judging Nudging: Answering the Manipulation Objection”, Political

isolare due proprietà importanti: la trasparenza della spinta gentile e il grado in cui è possibile resistervi. Prima di discutere le condizio- ni associabili a questi due aspetti, cerchiamo di analizzare per quali motivi la manipolazione è considerata moralmente condannabile perché, come vedremo, trasparenza e resistibilità sono due fattori strettamente connessi alla dimensione etica delle spinte gentili.

5. Autonomia

Perché la manipolazione è moralmente sbagliata? La domanda sembra un non-sense, come si è prima accennato, perché nel linguag- gio comune la manipolazione non è un termine neutrale ma evoca immediatamente una condanna morale. In filosofia c’è un ampio dibattito non solo sulla modalità in cui la manipolazione è moral- mente sbagliata (in senso assoluto, prima facie, pro tanto), ma anche sul motivo per cui essa è sbagliata. Partiamo dalle considerazioni su questo problema che i paternalisti libertari stessi offrono. Nel suo ultimo libro Sunstein è sensibile all’obiezione della manipolazione e sostiene che gli architetti del sistema devono riporre grande cura per evitare che le spinte gentili utilizzate manipolino i cittadini. Sunstein riassume così le possibili ragioni per ritenere moralmente sbagliata la manipolazione: «Dal punto di vista dell’autonomia, l’obiezione è che la manipolazione può privare le persone dell’agentività; si basa su un continuum, il cui estremo finale è costituito dalla coercizione. (Se le persone sono manipolate nell’acquisto di un prodotto, potreb- bero persino sentirsi costrette a comprarlo.)»31.

L’autonomia è il valore intuitivamente messo a repentaglio dalle manipolazioni. Poiché la manipolazione manca di rispetto ai citta- dini, non riconoscendoli come agenti capaci di fare scelte e di gover- nare la propria vita, Sunstein ha poi buon gioco a sostenere che non tutte le spinte gentili hanno questa conseguenza. Quelle che chiama “spinte educative”, ad esempio, non violano l’autonomia dei soggetti ma la rafforzano, perché si limitano a richiamare la loro attenzio- ne su particolari importanti, danno loro maggiori informazioni per prendere scelte informate, migliorano la loro comprensione della

situazione o forniscono strategie di autocontrollo che gli individui possono adottare volontariamente per raggiungere alcuni obiettivi.

Altri tipi di spinte, come si è visto, non riescono a garantire la stessa forma di rispetto. In alcuni casi le spinte non-educative pos- sono essere manipolatorie perché (1) non consentono ai soggetti di appropriarsi delle ragioni per fare una certa scelta; (2) sollecitano l’attenzione verso informazioni non rilevanti; (3) amplificano emo- zioni inadeguate rispetto al contesto. Nelle situazioni in cui le spinte agiscono in questo modo, si può sostenere che l’autonomia degli in- dividui sia in qualche modo violata.

L’attenzione verso la qualità del meccanismo rischia di limitare eccessivamente l’analisi morale delle spinte gentili, perché le decon- testualizza rispetto al quadro (moderatamente) paternalistico in cui sono inserite da Sunstein e altri. In che modo la cornice influisce sulla portata etica delle spinte gentili? In primo luogo, si noti che la questione generale più importante riguarda il rapporto tra l’impo- stazione dell’architettura di scelta e gli scopi verso cui si vogliono muovere gli individui: la definizione della natura debole della com- ponente paternalistica è quindi fondamentale per chiarire in qua- li termini le spinte gentili possono avere conseguenze negative per l’autonomia degli individui.

Limitiamoci in questa sede a prendere in considerazione altre due proprietà che dovrebbero escludere, secondo i paternalisti li- bertari, un’azione manipolatoria delle spinte gentili. Si tratterà di un’analisi abbozzata, perché solo una disamina più completa del concetto di “benessere” usato dal paternalismo libertario consente di inquadrare adeguatamente il problema dell’autonomia, ma su que- sto punto rimandiamo al contenuto del prossimo capitolo.

Sunstein assume una concezione “leggera” dell’autonomia, iden- tificata con il desiderio delle persone di scegliere da sé32, e si chiede

se le spinte gentili violino questo legittimo desiderio. Alla domanda, Sunstein dà essenzialmente due risposte. Una è concepita in termini

32 La scelta di Sunstein di qualificare in modo leggero l’autonomia indi-

viduale non tiene conto della possibilità di declinare diversamente il concetto in ambito etico-politico, introducendo la nozione di “autodeterminazione”. Su questo confronta il capitolo 5, paragrafo 2. Il problema è in realtà più com- plesso, perché Sunstein riconosce una gerarchia delle preferenze. Su questo cfr. invece il prossimo capitolo.

di efficienza: in molti casi è preferibile utilizzare una strategia che richiede ai soggetti di fare una scelta (regime di scelta attiva), ma in altri casi spinte del Sistema 1 possono garantire un risparmio no- tevole in termini di tempo. Soprattutto in contesti complessi e non familiari, dover scegliere può essere un peso che un’efficace archi- tettura sistemica può alleviare, consentendo di investire energie e tempo in altre attività e in altre decisioni considerate importanti dai soggetti stessi.

La seconda risposta è però più interessante. Sunstein concede che le persone possano avvertire una perdita quando sono sotto l’ef- fetto delle spinte gentili. Una regola di default può indurre i soggetti a sentirsi espropriati della loro libertà di scelta. Ma, sostiene Sun- stein, questa perdita di valore è bilanciata dal guadagno in termi- ni di benessere. Questo argomento, esplicitamente paternalista, ha due premesse tacite: che si possano dare conflitti tra il benessere e l’autonomia; che risolvere questi conflitti a favore del primo è la so- luzione preferibile in alcuni casi, perché il saldo tra guadagni e per- dite è positivo. Non è chiaro se questo segno positivo debba essere interpretato in senso oggettivo, applicando un calcolo utilitaristico, oppure coinvolge anche la valutazione dei diretti interessati, dato che Sunstein parla di «frustrazione» nel momento in cui la libertà di scelta viene violata, il che potrebbe far propendere per la seconda interpretazione33.

Si intravede in questa risposta una concezione dell’autonomia che Sunstein rende ancora più esplicita in The Ethics of Influence. Il fulcro della tutela dell’autonomia non consiste nel permettere alle persone di fare le loro scelte, quanto nel non imporre costi eccessivi sulle scelte possibili. Il sistema di tassazione usato per scoraggiare