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Preferenze autentiche

Per suffragare quanto detto nel precedente paragrafo vorremmo commentare un ulteriore esempio, tratto dalla vasta letteratura che tenta di applicare la metodica delle spinte gentili in vari ambiti. Si tratta di uno studio piuttosto recente, condotto da David Halpern e colleghi, sull’efficacia dell’uso di regole di default nelle direttive an- ticipate29. Lo scopo dello studio era di valutare quanto un’opzione

preimpostata influenzi scelte importanti come le decisioni sui trat- tamenti alla fine della vita, partendo dalla premessa che molte volte le persone non affrontano certe situazioni con preferenze stabili e strutturate, ma compiono scelte costruendole sul momento:

Social Theory and Practice, 41, 4, 2015, pp. 599-617, soprattutto p. 602. 29 Scott D. Halpern et al., “Default Options in Advance Directives Influ-

ence How Patients Set Goals for End-Of-Life Care”, Health Affairs, 32, 2, 2013, pp. 408-415.

In realtà, le intuizioni dell’economia comportamentale suggeriscono che probabilmente le preferenze per le cure di fine vita sono “costruite” nel momento in cui si chiede alle persone di esprimerle e non riflet- tono preferenze profondamente radicate, perché scelte di questo tipo non sono prese di frequente e spesso non è possibile avere un riscontro riguardo al fatto che le scelte promuovano gli interessi dei pazienti30.

Si tratta di un fenomeno ampiamente studiato dallo psicologo Paul Slovic e che abbiamo già commentato in connessione all’uso di spin- te gentili (cfr. il terzo capitolo, par. 4).

Lo studio prevedeva tre gruppi di pazienti affetti da patologie polmonari incurabili e non candidabili a un trapianto; ciascun grup- po era assegnato casualmente a ricevere e completare tre diverse versioni di testamento biologico. Tutte contenevano una lista di possibili trattamenti tra cui i pazienti dovevano scegliere quali ri- cevere una volta che non sarebbero stati più in grado di esprimere una preferenza. Un gruppo ricevette una dichiarazione anticipata in cui la prima opzione della lista era rappresentata da un piano di cure che prevedeva trattamenti medici di prolungamento della vita (nutrizione artificiale, dialisi, respirazione assistita, ricovero in tera- pia intensiva, rianimazione cardiopolmonare) ed era contrassegna- ta come scelta di default (con il segno di una X riportato a fianco). Un secondo gruppo ricevette una direttiva anticipata in cui la pri- ma opzione della lista impostata come scelta di default era un piano di trattamento che prevedeva principalmente l’alleviamento delle sofferenze senza trattamenti di prolungamento della vita. Infine il terzo gruppo ricevette una dichiarazione anticipata in cui nessuna opzione era stata scelta in precedenza. I pazienti dei primi due grup- pi potevano esercitare la facoltà di cancellare la scelta preimpostata (depennandola) e quindi optare per un’altra soluzione di maggiore gradimento. Tutti ricevettero istruzioni e informazioni su come ri- empire i documenti proposti e, dopo la compilazione, seguiva un debriefing in cui era spiegato loro lo scopo dello studio, le differenze tra le direttive anticipate presentate ai tre gruppi e il funzionamento della regola di default. Infine, era consentito ai soggetti di cambiare le scelte fatte sui trattamenti futuri.

Il 77% dei pazienti che avevano ricevuto una direttiva anticipata con le cure palliative come opzione preimpostata non cambiarono la regola di default; il 43% dei pazienti che avevano ricevuto una diret- tiva anticipata con l’opzione dei trattamenti di prolungamento della vita come default avevano confermato questa scelta preliminare; in- fine, tra i pazienti che avevano ricevuto una direttiva anticipata stan- dard, la decisione di chiedere solo cure palliative era predominante (61%) rispetto alla scelta di trattamenti di prolungamento della vita (12%; il resto dei rispondenti non aveva selezionato alcuna opzione). La conclusione degli autori è che l’effetto di opzioni preimpo- state è particolarmente influente anche, e soprattutto, nel caso di decisioni così sensibili come la scelta dei trattamenti di fine vita e che raramente le persone hanno preferenze stabili, definite e radica- te riguardo a questi temi. È probabile che certe preferenze si strut- turino nel momento in cui il paziente si trova a dover compilare una direttiva anticipata. Un altro dato dello studio sembra suffragare questa tesi: anche dopo il debriefing pochi pazienti (il 2,1%) si sono mostrati allarmati dalla presenza di una regola di default e nessuno di essi ha poi cambiato idea rispetto alla scelta fatta. Gli argomenti degli autori non sono dissimili da quelli dei paternalisti libertari: è spesso difficile evitare di usare regole preimpostate, per cui i clinici dovrebbero assumersi la responsabilità di scegliere l’opzione di de- fault che meglio realizza il bene dei pazienti:

Dato che molti pazienti danno un grande valore al peso che rappre- sentano per i loro cari e dato che molti pazienti dello studio hanno selezionato piani di cura orientati al conforto anche nel gruppo a cui erano assegnate direttive anticipate standard, c’è ragione di credere che la regola di default sistematica attuale che prevede trattamenti di pro- lungamento della vita non promuova in modo ottimale le volontà e i valori dei pazienti31.

Per questo motivo non si può parlare di genuine preferenze autenti- che. Qui ci troviamo di fronte a un concetto potenzialmente distin- to rispetto a quello di preferenza informata e a quello di preferenza vera. La proprietà centrale delle preferenze autentiche è il fatto di

31 Ivi, p. 413. Gli autori fanno riferimento al fatto che molti modelli ame-

ricani di direttive anticipate sono strutturati in modo da dare rilievo o priorità alle scelte che favoriscono trattamenti di prolungamento della vita.

essere radicate nella biografia del soggetto, a prescindere dal loro rapporto con i fatti o dalla loro coerenza32. I soggetti dello studio di

Halpern e colleghi possiedono valori indeterminati rispetto alle op- zioni disponibili e per questo non hanno punti di riferimento stabili che li possano guidare nelle scelte particolari. Da queste premesse, c’è chi ha tratto in modo ancora più netto e chiaro conclusioni di stampo paternalistico. Un paziente senza preferenze autentiche è equiparabile a un paziente incapace di scegliere perché incompeten- te, come accade a persone che si trovano in stato vegetativo perma- nente oppure neonati o bambini molto piccoli. L’unica differenza è che un paziente incompetente non è in grado di fare alcuna scelta, mentre un paziente senza preferenze autentiche prende decisioni non giustificate né motivate da un insieme radicato e stabile di inte- ressi. Seppure per ragioni diverse, in entrambi i casi non è possibile parlare di rispetto per l’autonomia del paziente e pertanto si può prevedere un’applicazione estensiva di strumenti di decisione sur- rogata che utilizzano la nozione di ‘miglior interesse’. Nel caso di assenza di preferenze autentiche non si potrà ovviamente privare i pazienti competenti dall’opportunità di prendere decisioni in modo autonomo, ma sarà lecito ricorrere a strumenti poco invasivi come le spinte gentili, in modo da orientarli verso la scelta che realizza il loro migliore interesse. Gli effetti generali dell’introduzione di regole di default, ad esempio, sono positivi per tutti i pazienti. Un’opzione preimpostata per le cure palliative orienta i pazienti senza preferen- ze autentiche verso la scelta per loro migliore, accontenta coloro che hanno invece un desiderio precedente per questa opzione di cura e consente a chi invece ha una preferenza radicata per trattamenti di prolungamento della vita di annullare la scelta di default ed esprime- re liberamente la loro volontà33.

Ancora una volta, queste proposte non prendono in debita con- siderazione la complessità con cui si possono strutturare gli interessi

32 Questo non significa che non si possano considerare verità, coerenza

e realizzabilità proprietà necessarie di questo tipo di preferenze, ad esempio perché sia particolarmente difficile o impossibile per preferenze incoerenti, ir- realizzabili o basate su credenze false essere particolarmente radicate nella vita mentale del soggetto. Lasciamo però da parte questo punto.

33 M. Gorin, S. Joffe, N. Dickert, S. Halpern, “Justifying Clinical Nudges”, Hastings Center Report, 47, 2, 2017, pp. 32-38.

delle persone. In primo luogo, l’indeterminatezza dei valori potreb- be implicare solo in alcuni casi l’inesistenza di un legame diretto tra preferenze specifiche e opzioni, mentre in altri potrebbe sussistere una connessione indiretta tra le opzioni presentate e preferenze più generali. Ad esempio, può darsi che molti pazienti non abbiano ra- gionato a sufficienza sui loro desideri in merito ai trattamenti clinici quando arrivano per la prima volta a compilare una direttiva antici- pata ed è possibile che quindi non abbiano alcuna preferenza auten- tica per le cure palliative rispetto a interventi aggressivi di prolunga- mento della vita. Questo non significa che, in assenza di preferenze di questo tipo, alcuni pazienti non abbiano convinzioni più generali, ad esempio una concezione della dignità della vita che è incompati- bile con la sopravvivenza per mesi e anni in una condizione di stato vegetativo. In questi casi occorre uno sforzo immaginativo oppure l’aiuto di una persona di fiducia per stabilire un collegamento tra questa concezione generale del significato della vita e le opzioni pre- sentate ma è evidente che una regola di default non può fornire né l’uno né l’altro34.

L’idea che le preferenze autentiche, quando preesistono alla si- tuazione di scelta, hanno il potere di contrastare le regole di default è intuitivamente plausibile ma non è del tutto chiara se si conside- rano le preferenze secondo dimensioni non esclusivamente quan- titative. Il riferimento alla “forza” è suggestivo ma corre il rischio di assegnare alle preferenze una consistenza esclusivamente fisica. In un certo senso, le preferenze possono avere una maggiore forza rispetto alle spinte perché si tratta di fenomeni psicologici così radi- cati nella mente del soggetto da risultare immuni dall’influenza di difetti cognitivi e volizionali e quindi capaci di respingere qualsiasi pressione che spinga il soggetto verso obiettivi diversi da quelli che sono realmente suoi. In un altro senso le preferenze sono forti per- ché rispecchiano valori e interessi che stanno a cuore del soggetto, perché sono significativi e centrali per strutturare la propria vita e identità. Le preferenze possono essere assiologicamente forti, ma psicologicamente incapaci di resistere alle azioni delle spinte, dati i limiti cognitivi degli agenti umani, ossia possono essere quantitati-

34 Cfr. per osservazioni analoghe, S. Holm, “Authenticity, Best Interest,

vamente più deboli dei difetti cognitivi o delle pressioni esterne, ma qualitativamente più forti perché più centrali per la biografia della persona. In questo secondo caso, una spinta gentile potrebbe silen- ziare la preferenza che sarebbe comunque autentica in virtù del fatto che rispecchia valori importanti e significativi. Come ha sottolineato Griffin un «desiderio globale» (desidero quella forma di vita piut- tosto che un’altra) può essere concepito come una sommatoria di desideri “locali” ma la preferenza espressa è qualcosa che prescin- de da questa aggregazione quantitativa perché esprime non la forza motivazionale, ma il suo apprezzamento della natura degli oggetti considerati35.

Con l’introduzione del concetto di ‘preferenze autentiche’ si profila un’esigenza indifferibile. Un limite più volte ribadito del pa- ternalismo libertario è la distanza che si frappone tra l’intenzione di orientare il comportamento degli individui secondo il benessere così come loro stessi lo giudicano e la possibilità di accertare quali sono le preferenze autentiche, gli impegni, i desideri, gli interessi in senso lato che gli individui hanno per compiere certe scelte. Alcune volte le ragioni sono semplicemente inesistenti e si tratta di decisioni pre- se per influenza di distorsioni e limiti cognitivi e volitivi. In altri casi, le persone hanno ragioni ben specifiche per scegliere come scelgono e i paternalisti libertari hanno il problema di individuare un metodo per capire quali siano queste ragioni (se vogliono davvero rispettar- le). Inoltre sembra che anche loro condividano l’idea che gli interessi nel senso ampio che si è introdotto siano rilevanti e significativi per il benessere delle persone. È su questo punto che ora converrà dire qualcosa di più.

5. Benessere

In certe situazioni le scelte, anche quelle apparentemente più ir- ragionevoli, potrebbero essere motivate da interessi che una conce- zione angusta delle preferenze non riesce a cogliere. Il paternalista potrebbe sostenere, però, che questo non basta a mostrare l’ingiu- stificabilità dell’intervento che propone. Il fatto di avere interessi ben precisi che portano l’agente ad agire in un certo modo non è

sufficiente per bloccare l’iniziativa paternalista, nella misura in cui si può giudicare che quel comportamento diminuisce il benessere dell’individuo. Un difensore del paternalismo debole come Trout, ad esempio, è molto esplicito: una regolamentazione che sfrutta i bias è del tutto lecita quando la persona non sceglie secondo uno standard controfattuale, simile a quello già individuato nelle prime formulazioni del paternalismo libertario. Le preferenze informa- te sono quelle preferenze che l’agente avrebbe preso se fosse stato pienamente informato secondo uno standard imparziale. Secondo Trout sono queste le uniche preferenze che promuovono gli inte- ressi degli agenti sul lungo periodo; anche se le pone in contrasto unicamente con «i desideri spontanei», si può estendere la sua consi- derazione a quelle preferenze stabili e radicate che tuttavia non sono pienamente informate36. L’ipotesi è che certi desideri o attitudini

del soggetto, pur rivestendo un ruolo centrale all’interno della sua identità pratica, non realizzino i suoi interessi sul lungo periodo e quindi non costituiscano elementi rilevanti per determinare il suo benessere.

Il problema consiste quindi nella definizione della nozione di benessere, una questione di notevole importanza nella filosofia mo- rale e politica contemporanea. Volendo schematizzare un dibattito ampio, si possono individuare per lo meno tre concezioni del be- nessere.

Concezione soggettivistica. Il benessere consiste fondamental- mente nella soddisfazione dei desideri e delle preferenze individuali, a prescindere dalla loro natura.

Concezione soggettivistica qualificata. Non tutti i desideri e le preferenze sono così rilevanti da costituire elementi del benessere quando soddisfatti. Ad esempio, solo quelli che superano un certo test (ad esempio di coerenza) o coincidono con i desideri che la per- sona avrebbe se fosse totalmente informata sono rilevanti37.

Concezione oggettivistica. Il benessere non è definito secondo criteri soggettivi, ma in base a parametri che prescindono dagli at- teggiamenti personali. Nel momento in cui una preferenza contrasta

36 Cfr. J.D. Trout, “Paternalism and Cognitive Bias”, cit., soprattutto pp.

394, 413-414. Su Trout cfr. White, The Manipulation of Choice, cit., p. 66.

con questi parametri è la prima a essere difettosa e, poiché non rea- lizza pienamente il benessere individuale, può essere contrastata con misure paternalistiche (più o meno dure)38.

Il paternalismo libertario si professa anti-perfezionista e rifiuta una concezione oggettivistica: sono i desideri e le preferenze delle persone a governare l’impostazione delle architetture della scelta, perché solo questi concorrono a definire in modo compiuto il be- nessere dei cittadini. Si è visto che, talvolta, i paternalisti libertari oscillano tra una concezione idealizzata delle preferenze e una con- cezione meno rigida delle ragioni per agire. In alcuni punti però, Sustein sembra concedere molto all’idea di varietà che pervade le ragioni per agire degli agenti. Scrive ad esempio:

È vero, le persone imparano, ed è pure vero che il piacere non è affatto l’unica cosa di cui la gente si preoccupa o dovrebbe preoccuparsi. Sce- gliamo certe attività non perché divertenti o danno gioia, ma perché è giusto sceglierle, forse per la loro significatività. Le persone vogliono che le loro vite abbiano uno scopo; non vogliono che le loro vite siano semplicemente felici. Sensatamente, e persino virtuosamente, le persone non scelgono le cose soltanto in base a una semplicistico “mi piace”. Per esempio, possono voler aiutare gli altri anche quando non c’è niente di divertente nel farlo. Possono voler fare ciò che si sentono moralmen- te obbligati a fare, anche se non ricavano alcun piacere. Un’importante indagine indica che le scelte programmate degli individui sono general-

mente basate su ciò che essi credono promuova il loro benessere sogget-

tivo, ma che talvolta sono disposti a compiere scelte che sacrificherebbe- ro la loro felicità a favore di un assortimento di altri obiettivi che com- prendono: 1) promuovere la felicità della propria famiglia; 2) accrescere il controllo sulla propria vita; 3) elevare la propria condizione sociale, o 4) rafforzare la sensazione di avere uno scopo nella vita39.

Sunstein costruisce una tendenza oppositiva tra le scelte che si fanno per convinzione morale e il piacere individuale all’inizio e il benes- sere soggettivo nelle ultime righe. Una concezione del benessere che aspira a non essere semplicisticamente edonistica, pur rimanendo soggettiva, non dovrebbe però incorrere nell’errore di considerare come sfere separate il benessere individuale e certe scelte motivate

38 Cfr. ad esempio, R.J. Arneson, “Nudge and Shove”, Social Theory and Practice, 41, 4, 2015, pp. 668-691.

da impegni morali, atteggiamenti di cura, propositi di miglioramen- to personale. In molti casi riuscire a realizzare questi scopi è una par- te importante (seppure non esaustiva) del proprio benessere proprio perché quegli scopi hanno per l’agente un significato particolare alla luce della sua concezione della vita riuscita.

In teoria questi casi non dovrebbero interessare il paternalismo libertario. L’interesse degli architetti della scelta è rivolto a quelle situazioni in cui lo scarto tra utilità attesa e reale è particolarmente pronunciato per i difetti cognitivi e volizionale da cui gli agenti sono afflitti. Se però quelle che abbiamo chiamato ‘preferenze autentiche’ sono aspetti integranti del benessere, nel caso in cui una spinta gen- tile orienti il soggetto verso scelte diverse si pone un problema non indifferente e abbiamo già visto nel paragrafo precedente l’impatto dell’architettura della scelta in situazioni in cui sono in gioco valori importanti per l’esistenza individuale.

Se gli interessi in senso ampio contribuiscono a definire il be- nessere individuale, la formula ‘secondo il loro giudizio’ deve copri- re un’estensione molto maggiore rispetto al dominio ristretto delle preferenze. Ma come possono i paternalisti libertari sapere quali sono le ragioni per agire degli individui, in modo da tenere fede alla condizione ‘secondo il loro giudizio’? Molti critici hanno sostenuto che su questo punto il paternalismo libertario mostra un limite epi- stemico difficilmente superabile.

Lo sforzo del paternalismo libertario per ricostruire le preferen- ze delle persone è infatti contraddistinto dall’idea che sia possibile ricostruirle utilizzando metodi statistici, come traspare anche dal riferimento all’indagine di Daniel Benjamin sulle concezioni della felicità delle persone e su cosa ritengono meritevole di scelta pre- sente nella citazione precedente del brano di Sunstein40. Potremmo

definire ‘doxastica’ questa concezione del benessere, perché basata principalmente su un elenco di beni (principalmente: salute e ric- chezza) a cui «la vasta maggioranza delle persone dà priorità»41. La

40 D.J. Benjamin et al., “What Do You Think Would Make you Happier?

What Do You Think You Would Choose?”, American Economic Review, 102, 5, 2012, pp. 2083-2110.

41 Blumenthal-Barby, “Choice Architecture: A Mechanism for Improving

clausola ‘secondo il loro giudizio’ non è però rispettata a fondo se la meta verso cui vengono spinti gli agenti è questa. In realtà i pa- ternalisti libertari «non stanno dirigendo l’“individuo x” verso ciò che l’“individuo x” sceglie indipendentemente, stanno dirigendo l’“individuo x” verso i beni che tendono a rendere le persone più felici o migliori come giudicato dalle persone che li possiedono»42.

Si potrebbe sospettare che questo criterio quantitativo non as- sicura che la ricerca di questi beni da parte dei più non sia afflitta da bias e falle razionali; se però i paternalisti libertari sostenessero che questi dati riguardano in realtà preferenze dettate dal Sistema 2, allora un’architettura incentrata sui boost è quella più coerente con questi presupposti (a prescindere dalla sua efficacia a lungo termine). Ma anche mettendo da parte queste preoccupazioni, rimane il fatto che una concezione del benessere di questo tipo non prende ade- guatamente in considerazione la varietà degli interessi umani e del significato che quei beni possono assumere in condizioni particolari. Si prenda l’esempio del bene ‘salute’. Sarebbe un’ingenuità negare che la salute sia qualcosa che le persone generalmente perseguono e che costituisce realmente un bene per le nostre vite; c’è qualcosa di