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Gli avvertimenti e gli inviti da dare ai testimoni

6. L’istruzione dibattimentale

6.4. Gli avvertimenti e gli inviti da dare ai testimoni

Il comma 2 dell’art. 497 prevede che il presidente, prima dell’inizio dell’esame, debba dare al testimone due “avvertimenti” e due “inviti”.

Il primo avvertimento riguarda l’obbligo di dire la verità e il secondo le

responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti;

quest’ultimo non deve essere rivolto ai testimoni che non abbiano compiuto i quattordici anni, poiché nei loro confronti non avrebbe alcun senso, trattandosi di persone non imputabili.

Il primo degli inviti che il presidente deve rivolgere al teste (sempre che abbia compiuto i quattordici anni) riguarda la formula con la quale lo stesso si

dichiara consapevole della responsabilità morale e giuridica che assume con la deposizione e si impegna a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza. Il secondo invito ha per oggetto, invece, le

generalità del testimone.

La Suprema Corte ha precisato che l’omessa indicazione nel verbale di dibattimento delle generalità del teste comporta la nullità della deposizione, a norma dell'art. 497 comma 3, il quale stabilisce che è prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni del comma 2, ivi compreso l’invito al teste a fornire le proprie generalità. Poiché la prova del compimento delle formalità richieste dall'art. 497 è data dal verbale di udienza, nel silenzio di quest’ultimo, si può legittimamente ritenere che siano stati omessi gli

adempimenti previsti184. E’, pacifico, peraltro, che si tratta di nullità relative, per la cui eccepibilità e deducibilità valgono le regole dettate dagli artt. 181 e 182; è prevista quindi la deducibilità ex parte, a pena di decadenza, entro il termine di cui al comma 2 dell’art. 182 nonché la conversione in motivo di

impugnazione ex art. 181 comma 4185. Si è affermato, in particolare, che il

mancato invito a rendere la dichiarazione sacramentale di cui all’art. 497 comma 2 configura una nullità relativa che, come prescrive l'art. 182 comma 2, deve essere eccepita, dalla parte che vi assiste, prima che l’esame abbia inizio186.

6.4.1. In particolare sull’obbligo di dire la verità

Sotto il vigore del codice di rito del 1930 il presidente deferiva ai testimoni un giuramento, con la seguente formula: “Consapevole della responsabilità che

col giuramento assumete davanti a Dio e agli uomini, giurate di dire la verità e null'altro che la verità”. Tale formula fece sorgere il problema della

compatibilità del richiamo religioso in essa contenuto con le libertà costituzionalmente garantite e, in particolare, con la libertà di religione prevista dall'art. 19 Cost. La Corte costituzionale riconobbe così l’illegittimità della disciplina del giuramento dinanzi a Dio, per violazione della libertà di coscienza del non credente, attraverso una declaratoria di parziale illegittimità di alcune disposizioni del codice (tra le quali quella dell'art. 449 comma 2

c.p.p. 1930), nella parte in cui non contenevano l’inciso “se credente”187.

184

Cass., 23 marzo 1994, Cerqua, C.E.D. Cass., n. 199211

185

Cass., 23 marzo 1994, Cerqua, C.E.D. Cass., n. 199212.

186

Cass., 11 luglio 1996, Dato, C.E.D. Cass, n. 205961.

187

Il nuovo codice, ha tenuto conto delle indicazioni della Corte costituzionale

ed ha abolito il giuramento, sostituendolo con un impegno di “veridicità”188.

Sia in giurisprudenza che in dottrina è sorto un contrasto interpretativo a

proposito dell'art. 501 comma 1, che stabilisce che nel dibattimento per l’esame dei periti e dei consulenti tecnici si osservano le disposizioni sull’esame dei testimoni, in quanto applicabili e ci si è chiesto, in

particolare, se il consulente tecnico, prima di essere sottoposto ad esame, debba assumere l’impegno previsto dall'art. 497 e se abbia il dovere di dire la verità e di non tacere alcunché di quanto è a sua conoscenza.

Una parte della dottrina ha affermato che, tra le disposizioni sull’esame

dei testimoni, applicabili al consulente tecnico, rientra l’art. 497 con la relativa formula di impegno a dire il vero. Infatti, in essa si parla di

responsabilità morale e giuridica, oltreché di impegno a dire tutta la verità,

che ben può intendersi come intenzione del legislatore nei riguardi del consulente tecnico perché il medesimo si ispiri ai principi di lealtà e sincerità che stanno alla base della formazione della prova nel processo penale. Ciò è tanto più vero ove si consideri che l’apporto conoscitivo del consulente tecnico non si limita all’esposizione di valutazioni, ma contiene il più delle volte anche l’enunciazione di dati oggettivi189.

In senso contrario, si è sostenuto che l'art. 497 comma 2 c.p.p. non si applica

al consulente tecnico, in quanto lo stesso è un ausiliario della parte e tenuto

188

In dottrina, si è sottolineata la ridondanza dell'espressione che determina l'impegno “a dire tutta la verità e a non nascondere nulla”, considerando che, nella realtà, il testimone può dire solo quanto ricorda di avere percepito. Si veda TREVISSON LUPACCHINI, Dal giuramento all'impegno, cit., 367

189

Trib. Torino, 20 marzo 1991, Vanni, Giur. it., 1994, Il, 77. Conformi Ass. Rovigo, 28 dicembre 1992, Pregnolato, Giust. pen., 1993, III, 267; Trib. Torino, 8 giugno 1990, Fumero, Giur. it. 1994, Il, 78. V. anche CORDERO, Codice, 571.

presente che comunque non sarebbero a lui applicabili le norme degli artt. 372 (falsa testimonianza) e 373 c.p. (falsa perizia)190

Un ultimo orientamento ha affermato che, l’art. 497 comma 2 è applicabile

al consulente tecnico del pubblico ministero e non a quello delle parti private. Il primo, infatti, in conseguenza della particolare configurazione e del ruolo svolto dal pubblico ministero nel nostro ordinamento, ha il dovere di impegnarsi ad accertare il vero in analogia alla formula dettata per il perito dall'art. 226 comma 1. Il secondo, invece, non ha un obbligo di veridicità, dovendo essere assimilato al difensore ed essere considerato una sorta di difensore tecnico (essendo per lui previste una serie di garanzie, volte a tutelare i diritti di azione a difesa delle parti) e non potendo (nei limiti segnati dai delitti di favoreggiamento e frode processuale) rendere dichiarazioni

pregiudizievoli al proprio assistito191. In senso analogo, si è detto che i

consulenti tecnici delle parti private hanno un obbligo di verità limitato alle loro generali conoscenze scientifiche o tecniche o artistiche e a quanto di particolare possano percepire nel corso delle operazioni compiute nell’ambito del procedimento e non sono, invece, tenuti a riferire con obbligo di veridicità le conoscenze particolari che abbiano acquisito al di fuori del

procedimento192. Ad avviso dello scrivente questo è l’orientamento più

convincente, anche sulla base di un’interpretazione sistematica delle norme che riguardano i consulenti tecnici.

Con riguardo alla persona offesa e alla possibilità che venga esaminata come testimone, è stata sollevata questione di costituzionalità e la Corte

costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 497 comma 2, nella parte in cui non

190

Trib. Torino, 20 marzo 1991, Roberti, Giur. it. 1994, 11, 78; conforme App. Torino, 14 febbraio 1992, Fumero, ivi 1994, 11, 78). Sulla stessa linea, V. MACCHIA, in Commento-Chiavario, V, 304; PLOTINO, Il dibattimento, cit., 119.

191

MARINI, Obbligo di veridicità, cit., 77

192

prevede il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal reato costituitasi parte civile, con la conseguenza di sottoporla, nonostante sia interessata all’esito del giudizio, all’obbligo di dire la verità e di prestare giuramento, così consentendo di fatto che la prova della colpevolezza

dell’imputato si basi esclusivamente o quasi sulle sue dichiarazioni. La Corte, richiamandosi alle argomentazioni svolte nella decisione n. 115 del 1992, ha ribadito la ragionevolezza di una scelta legislativa fondata sul presupposto che

la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisce un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale; ed ha rilevato che, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la deposizione della persona offesa costituita parte civile deve essere valutata dal giudice con prudente apprezzamento e spirito critico, non potendosi essa equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, immune dal sospetto di interesse all’esito della causa193.