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L’autorizzazione alla citazione e i poteri del presidente

3. Le attività preliminari al dibattimento

3.1. La citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici

3.1.7. L’autorizzazione alla citazione e i poteri del presidente

Ai sensi del comma 2 dell'art. 468, “Il presidente del tribunale o della Corte

di assise, quando ne sia fatta richiesta, autorizza con decreto la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti. Il presidente può stabilire che la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210 sia effettuata per la data fissata per il dibattimento ovvero per altre successive udienze nelle quali ne sia previsto l'esame. In ogni caso, il provvedimento non pregiudica la decisione sull'ammissibilità della prova a norma dell'articolo 495”.

In dottrina, si ritiene che l’esercizio di questo potere95 è reso difficoltoso dal

fatto che il presidente ha una limitata conoscenza degli atti processuali, avendo a disposizione solo il fascicolo per il dibattimento formato (in modo provvisorio) a norma dell’art. 431 c.p.p.96.

E’ comunque ormai consolidata l’opinione che si tratta di un intervento meramente formale che prescinde da ogni valutazione di merito sulla rilevanza del mezzo di prova ed è inteso soltanto a fornire alla parte privata (in modo da attenuare la disparità di poteri con il pubblico ministero) uno strumento di coercizione da utilizzare nei confronti delle persone da citare. Tale circostanza trova conforto nella espressa previsione dell’ultimo periodo del comma 2 dell'art. 468, secondo cui il provvedimento di autorizzazione “non pregiudica la decisione sull’ammissibilità della prova”.

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ossia del fatto che il presidente del tribunale o della corte di assise, su richiesta di parte, autorizza con

decreto la citazione delle persone indicate nella lista ed ha il potere di escludere le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti.

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Si è poi rilevato che il concetto di “sovrabbondanza” è meramente quantitativo (il numero di testimoni indicati su una stessa circostanza) e non

implica valutazioni sulla rilevanza o sulla superfluità della prova97; che

l’operato del giudice, secondo l’intento del legislatore, deve essere ispirato a criteri di estrema cautela, così da giungere ad un provvedimento di esclusione

solo in ipotesi assolutamente incontroverse98. Invero tale norma è volta

principalmente a soddisfare l’esigenza di operare uno sfoltimento rispetto a liste defatigatorie o a sospetto sfondo ostruzionistico per la loro abbondanza quantitativa99.

In un’isolata decisione la S.C. ha affermato che, seppure l’art. 468 comma 2

prevede che il presidente del collegio giudicante possa escludere le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti, tuttavia, la norma va letta congiuntamente agli artt. 187 e 190, che indicano come parametro di ammissibilità anche quello della pertinenza al thema probandum. Ne deriva che il diritto alla prova, riconosciuto alla parte, con il più ampio potere di richiesta, non può significare che solo in sede dibattimentale, ex art. 495, il giudice possa esercitare legittimamente il potere di esclusione della testimonianza. La pertinenza, ossia l’inerenza al tema della prova è limite coessenziale all’ammissibilità della prova stessa, sicché l’esclusione, ove essa difetti, può avvenire anche nella fase degli atti preliminari (e non solo in quella degli atti introduttivi al dibattimento)100.

Tuttavia, le affermazioni contenute in questa sentenza sono state oggetto di critica, in quanto contrarie al sistema delineato dal codice di rito ed allo stesso tenore letterale dell'art. 468 comma 2, che, nel prevedere i casi in cui il presidente deve escludere le testimonianze, ripete solo in parte la formula

97

LATTANZI, La formazione della prova, cit., 2301)

98

CORDERO, Codice, 539.

99

CRISTIANI, Manuale, 348.

100

contenuta nell’art. 190 (che individua i casi di inammissibilità della prova). Infatti, mentre l'art. 190 menziona (oltre a quella della prova vietata dalla legge, comune ad entrambe le norme) le ipotesi delle prove superflue ed irrilevanti, l’altra disposizione prevede solo il caso del numero di testi manifestamente sovrabbondanti. Questa differenza lessicale non può essere ritenuta casuale e manifesta proprio la differenza ontologica tra il controllo intrinseco che va esercitato in sede di ammissione delle prove in dibattimento e quello estrinseco, sulla mera base dell’esame formale dell’articolazione della prova, che viene compiuto dal presidente nella fase introduttiva del giudizio101 102.

Il comma 2 dell’art. 468 è stato modificato dalla L. 16 dicembre 1999, n.

479, nel senso che al presidente del collegio è stato attribuito il potere di

stabilire che la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'art. 210, anziché per la data fissata per la prima udienza dibattimentale, sia effettuata per altre successive udienze nelle quali sia previsto l’effettivo svolgimento dell’esame. In tal modo è stata codificata una prassi già da tempo seguita in molti uffici giudiziari. Si tratta di una disposizione finalizzata ad una migliore organizzazione dei tempi del dibattimento, soprattutto nei processi in cui deve essere sentito un elevato numero di persone, sotto un duplice profilo: pianificare l’attività istruttoria ed

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RIVIEZZO, Il presidente, cit., 1385.

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La giurisprudenza, ha precisato che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del presidente del tribunale che ha respinto l’istanza dell’imputato di autorizzazione alla citazione di testi: ciò in quanto avverso siffatto provvedimento non è contemplato alcun mezzo di impugnazione e l’eventuale nullità è deducibile nei modi e nei tempi previsti (Cass., 28 giugno 1995, Ferretti, in Cass. pen. 1997, 90).

Si è anche detto che il provvedimento con il quale il giudice respinge la richiesta della parte alla autorizzazione alla citazione dei testi per genericità dei capitoli di prova, in quanto formulati per relationem al capo di imputazione, è illegittimo, ma non abnorme, atteso che detto provvedimento non si pone fuori del sistema processuale (essendo specificamente previsto dall'art. 468 cpv.), e non determina la stasi del procedimento, in quanto, da un lato, la parte, conosciuta la ragione del diniego, ben può provvedere alle opportune specificazioni ed integrazioni, reiterando la richiesta, così come può presentare direttamente in dibattimento i testimoni indicati nelle liste; dall’altro, può sollecitare l’esercizio da parte del giudice del potere di assunzione delle prove, ritenute assolutamente necessarie, ai sensi dell'art. 507 c.p.p. (Cass., 18 aprile 2001, Di Clemente, C.E.D. Cass., n. 219637).

eliminare, o almeno contenere, inutili quanto dispendiose perdite di tempo103. La modifica mira quindi a soddisfare due diverse esigenze, l’una, del cittadino chiamato ad esercitare il proprio ruolo (di testimone, perito o consulente) e normalmente esposto a defatiganti attese e a continui rinvii, l’altra, del sistema, attraverso la riduzione del numero di notificazioni da effettuare per ciascuna udienza, contribuendo così a semplificare il lavoro degli uffici giudiziari104.