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Il controesame dell’esperto

Nel documento Disciplina e tecnica dell'esame incrociato (pagine 166-173)

3. La tecnica del controesame

3.4. Il controesame dell’esperto

Il testimone esperto può e deve essere attaccato nel controesame come ogni altro testimone. L’attacco può essere sferrato alla sua personale veridicità

attraverso la dimostrazione che sta mentendo deliberatamente o esagerando; può essere messa in discussione la sua credibilità dando la prova che è caduto in errore; si può attaccare il suo livello di competenza, evidenziare elementi che rendono la sua versione non attendibile rispetto a quella del consulente di parte; si può fargli ammettere che la sua disciplina non consente dichiarazioni di certezza.

La testimonianza dell’esperto segue una struttura sillogistica: descrive la

teoria di riferimento generale (premessa maggiore), indica le specificità del caso in oggetto (premessa minore) e deriva un’opinione (conclusione) applicando la premessa maggiore a quella minore. È uno schema da tenere presente perché gli attacchi all’esperto, per essere efficaci devono ricadere in una di queste dimensioni.

La testimonianza dell’esperto copre almeno tre aree principali: a) la qualificazione professionale; b) la teoria generale di riferimento; c) le conclusioni.

Sono questi i punti essenziali che occorre sondare nel controesame per far emergere eventuali lacune, errori di percorso, mancanza di scientificità delle teorie di riferimento, che possono mettere in dubbio la competenza generale e specifica dell’esperto.

Questi tre elementi sono strettamente correlati e vanno indagati tenendo presente che presentano livelli diversi di “pericolosità”. In particolare, non è mai rischioso fare domande sulla preparazione, titoli, competenza specifica del consulente.

a) Il fondamento della qualificazione professionale

La qualificazione professionale si basa sui seguenti requisiti: titolo di studio, specializzazione, durata della pratica, eventuali incarichi di docenza, pubblicazioni, appartenenza ad albi professionali, precedenti esperienze come consulente in quel campo specifico.

Questi sono i punti che vanno accertati o contestati nel controesame. Pertanto chi controesamina è autorizzato ad approfondire l’indagine su questi specifici elementi. La qualificazione professionale deve attagliarsi allo specifico

caso in discussione.

È bene ricordare che il peso della opinione esternata dall’esperto riflette l’autorevolezza della sua posizione professionale, soprattutto se il suo parere è in disaccordo con quello di altri esperti. Le domande andranno poste con molto garbo e cautela per evitare l’effetto boomerang di una sottolineatura delle capacità del consulente e non la sua inadeguatezza (come si spera) ad esprimere un dato parere. Se le risposte confermano la professionalità, la

posizione di chi interroga non ne viene pregiudicata: si è trattato di una

doverosa verifica della sua attendibilità.

Se le risposte evidenziano lacune allora si segna di certo un punto a favore.

Quanto all’esperienza, se c'è ed è riconosciuta, si tratta di un punto che certamente è stato valorizzato nel corso dell’esame diretto; in questo caso, vale la pena di riaprire l’argomento in controesame solo se è possibile contestarne la scientificità (l’esperto ha trattato un certo numero di casi, ma in modo empirico e senza le corrette basi scientifiche) o l’effettiva consistenza (se i casi sono insufficienti o di natura diversa) o l’essere incorso in errori di valutazione accertati in modo inconfutabile.

È importante approfondire questo aspetto che, in molti casi, rappresenta

l’ancora di salvezza del controesaminatore perché questo tipo di considerazioni giungono inattese o sono ignorate dall’esperto, medico

legale, psicologo, psichiatra che sia e possono quindi essere utilmente sfruttate per affievolire se non demolire la credibilità del teste esperto.

Nel caso in cui l’esame diretto abbia trascurato l’aspetto della preparazione, allora si dovrà aprire l’argomento nel controesame sempre che, per la

conoscenza che l’interrogante può avere dell’esperto personalmente o per l’ottima reputazione di cui gode, non sorga il sospetto che l’omissione in realtà nasconda una trappola: far emergere la grande esperienza dell’esperto proprio attraverso le domande della controparte, moltiplicandone l’effetto. Premessa necessaria è che il controesaminatore sappia bene come muoversi e a tal fine deve consultarsi il proprio consulente che è l’unico in grado di aiutarlo a capire come una certa deposizione possa essere utilmente attaccata. In genere, l’obiettivo che ci si pone, realisticamente, è quello di indebolire

l’effetto del parere (la speranza di smantellarlo dovrà essere affidata alle

prove positive che lo contraddicono). Ma ove la consulenza tecnica fosse decisiva per la tesi avversaria, si avrà la possibilità di renderla inoffensiva già nel controesame perché riuscire a sollevare dubbi consistenti e rilevanti su punti essenziali potrebbe bastare al raggiungimento dello scopo.

In pratica, però, è molto pericoloso attaccare e cercare di contrastare gli aspetti tecnici della materia specifica oggetto della consulenza: specie se si

tratta di un esperto con buona esperienza di procedimenti penali il tentativo di batterlo sul suo stesso campo potrebbe risolversi in un danno per la difesa.

Come osserva Wellman322, in linea generale, per chi fa il controesame, non è

una buona idea quella di tentare di mettersi alla pari con uno specialista nel suo proprio campo. Lunghi controesami nella prospettiva delle teorie dell’esperto, di solito sono disastrosi. In ogni caso, permettono all’esperto di allargare la testimonianza già resa e di spiegare bene aspetti che il giudice potrebbe aver frainteso o non valutato appieno nella loro rilevanza.

Le “credenziali” del consulente (titoli di studio, pubblicazioni ecc.) possono

essere chieste sia all’inizio che alla fine. La scelta del tempo può dipendere da molti fattori (reputazione e notorietà del teste, ricerca di sorpresa e così via).

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Se chiesti alla fine e confermano l’attendibilità, danno un sigillo di autorità alla sua relazione.

b) L’enunciazione della teoria generale di riferimento

Questa indagine impone di indagare i seguenti punti: quale teoria particolare è stata utilizzata per la valutazione del caso specifico; se tale teoria sia stata verificata con la sperimentazione; se la teoria riscuota l’approvazione della

maggioranza degli esperti in quella specifica materia323.

In questi casi, l’interrogante non sfida l’avversario sul suo terreno, cioè sulla specificità del caso, ma lo affronta a monte, sui principi generali, sugli effetti di certi modi di ragionare che forse sono più familiari a un giurista che a un testimone esperto, qualunque sia la sua disciplina di riferimento. Alla fine del controesame, l’autorevolezza e l’attendibilità delle conclusioni raggiunte dall’esperto possono essere state fortemente indebolite senza che l’interrogante abbia avuto bisogno di entrare nel merito della questione.

c) Contestazione delle conclusioni

Può accadere che ci sia la possibilità di contestare le conclusioni del testimone esperto anche se non errate. In questo caso, la contestazione riguarderà l’adozione di elementi di giudizio erronei, di scelte metodologiche inadeguate, di deduzioni di certe opinioni da conclusioni sbagliate, di vizi di obiettività.

In linea di massima, quand’anche il parere fosse errato, il controesame potrà al massimo indebolirlo perché la possibilità di smantellarlo dipende dalla possibilità di presentare le prove che lo contraddicono. Ma se le prove non ci sono e il parere è decisivo per la tesi dell’accusa, allora l’unica possibilità di

323

Alcuni esempi di come procedere per quanto concerne il controllo di teorie e principi, sono tratti da un famoso manuale ZISKIN J., Coping with Psychiatric and Psychological Testimony, Law and Psychology

Press, Ca, 1970 - in materia di controesame di testimoni esperti e sono un buon esempio di quanto sia utile

neutralizzarlo è rimessa al controesame che sarà finalizzato a far emergere

ragionevoli dubbi sui punti essenziali.

Prima però di imbarcarsi in qualsiasi forma distruttiva di controesame, in ogni caso, converrà tentare la strada della tattica costruttiva intesa a sottolineare gli elementi che più convengono alla propria tesi, a introdurre fatti nuovi. Ma occorre farlo subito, quando il testimone, non ancora contestato, può essere disposto a collaborare. Peraltro, poiché è difficile scindere la tecnica costruttiva della ricerca di significati nuovi da quella distruttiva che si realizza attraverso la demolizione dei significati attribuiti dall’esperto ai dati oggettivi a sua disposizione, le due tattiche dovranno sovrapporsi e intrecciarsi. Un possibile schema di contestazione potrebbe passare per i seguenti punti:

• far precisare meglio, quando non sia stato fatto in modo esauriente

nell’esame diretto, i contorni dell’argomento specifico;

• procedere al controllo di tutti i possibili elementi controversi che

possano dipendere dalla capacità di osservazione e di interpretazione (e di tutti gli altri possibili elementi del ricordo) sia del perito che di altri testi o persone che ha utilizzato per formare il suo giudizio;

• chiedere all’esperto di dare atto che il suo parere è fondato su

argomenti controvertibili e che non è in grado di escludere la possibilità di un’interpretazione diversa;

formulare la domanda risolutiva, chiedere cioè all’esperto se non

convenga che in base agli elementi alternativi propostigli, le sue conclusioni potrebbero essere diverse e quali;

• se il teste esperto oppone resistenza a questa ragionevole impostazione

del controesame, è possibile concludere che la sua testimonianza prende le mosse da un’ipotesi preconcetta.

Questo punto di attacco può offrire spiragli interessanti specialmente con certi esperti (psicologi, psichiatri, assistenti sociali ecc.) che, a differenza degli

esperti puri devono svolgere un doppio compito: trattare il caso a livello obiettivo e soggettivo. In altri termini, non possono avvalersi solo di dati fattuali per arrivare a esprimere un parere, ma devono avvicinare le parti, i bambini, il nucleo familiare anche esteso, insegnanti, altri esperti di salute mentale che sono intervenuti nel caso. Questa deve essere la prima area da prendere in considerazione ai fini del controesame. La sequenza delle domande dovrà mettere in evidenza le eventuali omissioni, la soggettività delle valutazioni, la non dimostrabilità di situazioni date per certe ecc.

3.5. (segue) La scelta se controesaminare o meno il teste esperto

In riferimento alla scelta se controesaminare o meno il teste esperto di controparte è necessario valutare se questi sia credibile e non risulti che questi sia in possesso di elementi utili, allora la decisione saggia è quella di non

controesaminare. In ogni caso, non si deve mai effettuare un controesame

tanto per farlo. La ragione è evidente: a meno che l’esperto di controparte non sia attaccabile sul piano dell’onestà personale o della competenza, un controesame non riuscirebbe a minarne la credibilità; anzi, potrebbe avere l’effetto opposto di rendere più solida la sua posizione.

D’altro canto, non controesaminare potrebbe essere visto come un

implicito riconoscimento della sua autorevolezza. La soluzione al dilemma

potrebbe essere quella di condurre un controesame apparente nel senso di restare ai margini della testimonianza senza entrare nel merito. Ad esempio, si può chiedere al teste esperto di riconoscere la validità di una sequenza di principi scientifici generali che o potranno essere usati dal proprio esperto al momento di concludere o faciliteranno l’adozione di una prospettiva diversa ove dovessero emergere fatti che la supportano; oppure, rivolgere una serie di domande sui dettagli di principi complessi nel campo della competenza del

teste se si ha la ragionevole speranza che non sia in grado di rispondere così su due piedi.

È senz’altro consigliabile passare al controesame con l’esperto che si sia mostrato possibilista, che non abbia escluso ipotesi diverse da quella da lui

adottata, che abbia fatto ammissioni su punti di fatto importanti per la tesi che si sostiene. In questo caso, il modo, il tono, l’atteggiamento deve essere tranquillo, disteso, rilassato per cercare di ottenere nuovi elementi utili o per consolidare quelli già ottenuti nel corso dell’esame. In ogni caso, ove si concluda per l’opportunità di procedere, chi controinterroga deve concordare con i propri consulenti di parte un elenco articolato di domande che solo il tecnico può suggerire.

La strategia migliore ad avviso di chi scrive è quella di procedere ad un

controesame costruttivo a condizione che venga tentato subito, quando cioè

il consulente tecnico, non ancora contestato, potrebbe concordare su fatti o considerazioni che la difesa gli propone. Comunque, in nessun caso come in questo, la tecnica di controesame si sviluppa attraverso l’uso congiunto dei due tipi di tecniche: prima quella costruttiva consistente nella ricerca di significati nuovi e poi quella distruttiva che si realizza mediante la demolizione dei significati attribuiti dall’esperto ai dati a sua disposizione. Il controesame “distruttivo” in teoria dovrebbe essere usato con un esperto deciso, magari supponente, oltranzista, chiuso a ogni alternativa. In questo caso, converrebbe tempestarlo di domande chiuse, di contestargli errori di fatto ed errori logici (contraddizioni, incongruenze ecc.).

Nel documento Disciplina e tecnica dell'esame incrociato (pagine 166-173)