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L’indicazione delle circostanze

3. Le attività preliminari al dibattimento

3.1. La citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici

3.1.6. L’indicazione delle circostanze

L’omesso o intempestivo deposito delle liste ha come effetto la inammissibilità delle successive richieste di prova.

Secondo l'indirizzo prevalente della giurisprudenza e della dottrina, la sanzione della inammissibilità, prevista dal comma 1 dell'art. 468, riguarda

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Cass., 14 marzo 1997, Giordano, Dir. pen. e proc. 1997, 809.

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non soltanto il tardivo deposito della lista, ma anche la mancata indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l’esame dei testimoni. Tale sanzione serve per rendere effettivo il principio del contraddittorio e per evitare la possibilità di introdurre prove “a sorpresa” suscettibili di spiazzare la controparte87.

Su questa linea, nella giurisprudenza di merito, si è detto che, qualora nella lista depositata ex art. 468 non risultino indicate le circostanze sulle quali deve vertere l’esame dei testi, la richiesta deve essere ritenuta inammissibile, risultando impedito il diritto alla prova contraria (nella specie da parte della difesa) nel rispetto del pieno contraddittorio. Si è aggiunto peraltro che, ove nella lista depositata ex art. 468 sia indicato che si tratta del consulente tecnico del pubblico ministero, ancorché senza specificazione delle circostanze dell’esame, la richiesta è ammissibile perché ciò consente di

comprendere che l’esame verterà sulla consulenza dallo stesso espletata88.

Secondo un indirizzo minoritario, fondato su un’interpretazione strettamente letterale della norma, invece, la sanzione della inammissibilità dovrebbe essere riferita esclusivamente al mancato rispetto del termine di sette giorni antecedenti alla data fissata per il dibattimento89.

Tuttavia si è precisato, peraltro, che l’inammissibilità della richiesta di prove, per tardività della presentazione della lista o per genericità nella indicazione

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Sul punto la suprema Corte ha affermato che la sanzione di inammissibilità è prevista non solo per il tardivo deposito della lista testimoniale, ma anche per la mancata indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l'esame dei testi (Cass., II dicembre 1992, Ferroni, Cass. pen. 1994, 1552; Cass., 17 aprile 1998, Piccardi, ivi 1999, 2877; Cass., 6 luglio 1992, Trottini, ivi 1993, 1153); e che l’inesatta o incompleta capitolazione della prova testimoniale non costituisce motivo di inammissibilità della prova, sempre che dal contesto generale appaia individuato il tema oggetto di essa Cass., 17 giugno 1992, Pani, Cass. pen. 1994, 321).

In linea con questo diverso orientamento, in dottrina, si è detto che dall'interpretazione letterale della norma si evince che l'inammissibilità è riferita indifferentemente sia al tempo del deposito della lista, come all'indicazione delle circostanze su cui dovrà vertere il loro esame (GRANATA, Ancora sulla funzione di

discovery, cit, 595); e che l’esegesi della ratio della norma conferma la correttezza di questa conclusione

(BASSI, L’onere di indicazione, cit., 625; RIVELLO, Liste testimoniali, cit., 178).

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G.i.p. Trib. Milano, 6 ottobre 2003, Foro ambros. 2003, 510.

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delle circostanze, non determina di per sé l’inammissibilità della prova, che

potrà essere, eventualmente, ammessa d’ufficio dal giudice90.

Sul punto riguardante la specificità della indicazione delle circostanze, sia la giurisprudenza che la dottrina si sono ormai decisamente orientate nel senso di interpretare la norma in modo più elastico e meno rigoroso.

Si ritiene, infatti, sufficiente un livello minimo di specificità, che sia sufficiente a rendere manifesta la versione dei fatti sostenuta dalla parte deducente e possibile l’articolazione di una prova contraria. Si considera, pertanto, valida la formulazione per relationem delle circostanze da provare, purché si faccia riferimento ad un atto che contenga un’idonea descrizione dei fatti richiamati, come l’imputazione, e si tratti di un atto noto sia al giudice sia alla altre parti91.

Seguendo questa tendenza, la Suprema Corte ha affermato che l’obbligo della indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l’esame testimoniale, imposto dall’art. 468, è necessario soltanto allorché le circostanze si discostino dal fatto descritto nel capo di imputazione. Da ciò ne deriva che l’obbligo deve ritenersi rispettato allorché sia possibile dedurre per

relationem che il soggetto indicato è in grado di riferire i fatti articolati nel

capo di imputazione e le circostanze sulle quali è chiamato a deporre sono ricomprese nello stesso o in altri atti noti alle parti, stante la finalità del citato art. 468 c.p.p. di impedire la introduzione di prove a sorpresa e consentendo

alle altre parti la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni92.

La violazione dell’obbligo di indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame testimoniale, previsto dal comma I dell’art. 468 c.p.p., comporta l’inutilizzabilità di tale fonte di prova solo quando dal teste si richiede un

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ILLUMINATI, Ammissione e acquisizione della prova nell'istruzione dibattimentale, AA.VV., La prova

nel dibattimento penale, 1999, 66) 91

NAPPI, Guida, 487.

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contributo di conoscenza contenente un quid pluris rispetto a quanto descritto nel capo di imputazione, ma non quando questi è chiamato a confermare la sussistenza del fatto storico ivi enunciato93.

E’ pacifico comunque che non è necessario che l’indicazione delle circostanze avvenga mediante una formulazione di capitoli di prova, così come richiesto dalla normativa processualcivilistica. Si è osservato, infatti, che il fulcro del sistema accusatorio è costituito dalla possibilità di poter esaminare e di controesaminare una persona, rispettando la dialettica e la contrapposizione tra le parti, privilegiando al tempo stesso, come impostazione comunicativa, l’immediatezza, la concentrazione e l’oralità. Pertanto, è stata rifiutata l’analitica capitolazione scritta e la specifica enunciazione dei fatti da provare. Se si fosse voluto ricalcare fedelmente gli schemi processual-civilistici, si sarebbe vanificata l’incalzante e serrata acquisizione della prova orale con domande e risposte improvvisate e spontanee. D’altra parte, lasciando al pubblico ministero e alla difesa dell’imputato ogni iniziativa probatoria (art. 190 c.p.p.), non si è ravvisata la necessità di far conoscere tutto al giudice del dibattimento, dato che la discovery deve intercorrere solo tra i soggetti in conflitto. Non è stato, pertanto, un caso che si sia utilizzata, nelle disposizioni dei commi 1 e 4 dell’art. 468, la locuzione “circostanza” e non quella di “capitolazione” prevista dall'art. 244 c.p.c. Nel rito civile, infatti, l’oggetto della deposizione deve riguardare episodi determinati e non il semplice risultato di una indagine; la “capitolazione” deve, quindi, per forza di cose, consentire al giudice di controllare l’importanza e la rilevanza del mezzo di

prova e permettere all’avversario di produrre una prova contraria94.

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In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto utilizzabile la testimonianza assunta in un procedimento davanti al giudice di pace, nella quale il teste aveva riferito in ordine alla percezione delle frasi ingiuriose indicate nel capo di imputazione) (Cass., sez. V, 5 ottobre 2005, n. 43361/05, Grispo, Cass. pen. 2007, 214; C.E.D. Cass., n. 232978).

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