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L E “ AZIONI INGANNEVOLI ”

Nel documento Le pratiche commerciali scorrette (pagine 44-47)

1.11 D EFINIZIONE DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI “ INGANNEVOLI ”

1.11.1 L E “ AZIONI INGANNEVOLI ”

Ai sensi dell‟articolo 6, comma 1, “è considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua rappresentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l‟informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Ebbene, gli elementi costitutivi della fattispecie possono essere riassunti in: a) la falsità dell‟informazione;

b) la sua capacità recettiva, ossia l‟idoneità a trarre in errore il consumatore di media diligenza.

Si noti che l‟elemento fondamentale dell‟articolo 6 è, senza dubbio, il riferimento al consumatore medio, nel senso che le informazioni non veritiere devono essere idonee ad ingannare una persona di normale avvedutezza: tale riferimento è segno di un‟attenzione del legislatore alla tutela della generalità dei consumatori, tutela attuabile attraverso il ricorso ad azioni inibitorie da parte delle associazioni di categoria, a prescindere dall‟episodio isolato. Si noti, infatti, come la Direttiva in esame non si preoccupi di tutelare individualmente il consumatore, prediligendo, invece, una tutela collettiva della categoria dei consumatori. Non sfuggirà, tuttavia, come il singolo consumatore, ingannato da un‟informazione commerciale, potrà sempre agire alla luce degli articoli 1439 e 1440 c.c. dettati in materia di annullamento del contratto per errore.

Partendo dai principi generali previsti in materia di dolo, al fine di verificare la natura illecita (o sleale) di una pratica commerciale, si deve preliminarmente verificare la sussistenza del cd. nesso causale tra la falsità della notizia e il convincimento del consumatore all‟adozione della decisione di natura commerciale.

A questo punto, ci si domanda se il legislatore comunitario si riferisca al solo dolo-vizio determinante oppure se ricomprenda anche il dolo incidente.

La lettera della norma ritiene ingannevole una pratica quando il consumatore, per effetto dell‟inganno, abbia assunto una decisione che “non avrebbe altrimenti preso”.

Sembrerebbe che il legislatore comunitario abbia voluto escludere il cd. dolo incidente. Ma la dottrina ritiene di non condividere tale ultima lettura, proprio alla luce del significato da attribuire alla “decisione di natura commerciale”. Infatti, qui ravvisa non solo il “se” concludere il contratto, ma anche “il come” ovvero le condizioni alle quali concluderlo (anche se pare a dir poco fantasioso che un singolo consumatore abbia forza e influenza tali

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da poter autonomamente decidere le sorti del proprio contratto, incidendo sulle previsioni contenute in contratti predisposti in serie).

Pare opportuno sottolineare come il destinatario della tutela qui apportata non sia solamente il consumatore, ma anche il professionista concorrente, il quale viene compromesso dal deficit informativo in cui si trovano i consumatori a seguito delle pratiche commerciali disoneste.

L‟esame dell‟articolo 6 fa emergere un altro interrogativo ossia se integri o no un‟azione sleale il cd. dolus bonus, la semplice millanteria o l‟iperbolica esagerazione, inidonea ad ingannare il consumatore di media diligenza (ma che, in concreto, abbia fatto cadere in errore un consumatore sprovveduto e non attento).

Ebbene, la teoria in base alla quale il dolus bonus, per le sue caratteristiche di millanteria ed esagerazione talmente grossolane ed evidentemente esagerate, è tale da non far cadere in errore il consumatore sufficientemente avveduto ed attento e, pertanto, non può essere considerato come elemento idoneo ad invalidare il contratto eventualmente concluso dal consumatore “credulone”, è stata recentemente criticata e superata, sulla base di una serie di ragioni.

In particolare, è stato sostenuto che il dolo rilevi in sé e per sé, in quanto vi sia un nesso eziologico tra il raggiro e l‟effetto dello stesso sul consumatore, a prescindere dal fatto che quest‟ultimo appartenga o meno alla categoria ipotetica del soggetto di ordinaria diligenza. È stato, tuttavia, precisato che non qualsiasi vanteria può essere considerata come integrante il presupposto per l‟annullabilità del contratto per vizio del consenso, ma vengono considerate prive di valore giuridico le affermazioni basate su canoni di valutazione personali, non basate su criteri oggettivi66. Pertanto, il dolo, rilevando in sé e per sé, dovrebbe suscitare la disapprovazione dell‟ordinamento perché nel singolo caso concreto ha tratto in errore la vittima del raggiro. La variabile del grado di vulnerabilità della “vittima” del raggiro diventa irrilevante negli stessi termini in cui non assume significato l‟eventuale inescusabilità dell‟errore provato.

Per quanto attiene alle pratiche sleali, tuttavia, pare evidente come l‟articolo 6 della Direttiva in esame non prenda in considerazione il cd. dolus bonus, dal momento che, tra gli elementi costituivi la fattispecie, vi è l‟idoneità dell‟azione ingannevole di trarre in errore il consumatore mediamente accorto, il quale pertanto non è influenzabile dalle suggestioni esercitate e dalle iperboliche vanterie, prive di ragionevole attendibilità.

66 Esempio chiarificatore è senz‟altro quello fatto da H. Köeler, BGB, Allgemeiner Teil, 23ª Edizione,

München, 1996, pag. 146, in base al quale non può essere considerato viziato da dolo il contratto di acquisto di un capo di abbigliamento, nel caso in cui l‟acquirente sia stata indotta a stipulare il contratto sulla base delle rassicurazioni provenienti dalla commessa, la quale affermò che lo indossava benissimo, se in seguito il marito abbia manifestato il proprio disappunto per la scelta, ritenendola di dubbio gusto.

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Ciò detto, si procede con l‟analisi dell‟articolo 7 della Direttiva, che non prevede espressamente la categoria del dolo, ma la condotta (attiva o omissiva) ingannevole.

Secondo un‟opinione ormai radicata nel diritto europeo, il dolo-vizio ha come presupposto la coscienza e volontà dell‟azione illecita o, quanto meno, la sua rappresentazione (dolo eventuale). Di conseguenza, per integrare l‟illecito precontrattuale, si deve accertare la sussistenza dell‟elemento soggettivo, del cd. animus decipiendi, che altro non è se non la coscienza e volontà di distorcere il vero e simulare il falso per indurre in errore il soggetto passivo della frode67, a prescindere dalla malignità dell‟azione o dei sentimenti che hanno guidato il soggetto agente.

Contro tale teoria è stato obiettato 68che la nozione civilistica di dolo non deve per forza essere ricompressa nella truffa contrattuale (fattispecie che per definizione è caratterizzata dall‟elemento soggettivo dell‟animus decipiendi).

Ebbene, secondo la generale definizione data in diritto civile, per dolo si deve intendere il raggiro, ossia la condotta che ha indotto in errore il soggetto passivo della macchinazione, viziandone così il consenso.

L‟intenzione di manipolare l‟altrui volontà mediante artificiosi espedienti perde peso nell‟integrazione degli elementi costituitivi del dolo-vizio, mentre risalto viene attribuito ad un elemento oggettivo, ossia all‟obiettiva idoneità della condotta ad ingannare i terzi.

Ammettendo che la condotta ingannatrice lede l‟interesse generale alla formazione della volontà negoziale, si deve per forza di cose far ricorso a criteri interpretativi idonei a separare la definizione civilistica di dolo da quella penalistica di truffa. Alla luce di questa ricostruzione, però, per integrare gli elementi strutturali dell‟inganno sembrerebbe sufficiente la semplice colpa, con la conseguenza dell‟annullabilità del contratto a prescindere dall‟effettiva conoscenza delle circostanze di fatto, punendo così la mancanza di cautela del soggetto agente69. Ne consegue che la coscienza e la volontà dell‟azione ingannatrice finalizzata a trarre in errore la vittima perde la qualifica di elemento costitutivo del dolo (nell‟accezione civilistica).

La Direttiva 2005/29/CE semplifica la questione, abbandonando la categoria del dolo per considerare la condotta ingannevole.

67 Cfr. Trabucchi, voce Dolo (diritto civile), in Noviss. Dig. It., Vol. VI, pag. 150, il quale ritiene che, per

potersi parlare di “intenzione di ingannare è necessaria la conoscenza della falsità delle rappresentazioni che si producono nella vittima, e la credenza che sia possibile determinare con quegli artifizi la volontà”.

68 Cfr. Corte di Appello di Milano, 24 marzo 1995, in Gius., 1995, pag. 3986; R. Calvo, cit, pagg. 68 e ss. 69 Parte della dottrina condivide questa chiave di lettura, ammettendo il raggiro colposo: si vedano Gentili,

voce Dolo (diritto civile), in Enc. Giur., Vol. XII, Roma, 1989, pag. 2; Roppo, Il contratto, Milano, Giuffrè, 2001 - XLI, pag. 818; Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, cit., pag. 550 e ss.

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