1.12 D EFINIZIONE DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI “ AGGRESSIVE ”
1.12.2 L E PRATICHE AGGRESSIVE COERCITIVE
Le pratiche coercitive consistono in minacce verbali o costrizioni fisiche dirette al consumatore con lo scopo di “estorcergli” una decisione (di tipo contrattuale). Le minacce verbali possono riguardare, ad esempio, la prospettazione di mali ingiusti inflitti dal professionista o derivanti dal non avere acquistato anche altri prodotti rivolti a ridurre o evitare determinati rischi definiti come gravi oppure umiliazioni fronte agli altri consumatori in contesti pubblici di vendita oppure di presentazione dei prodotti. Le minacce rivolte possono riferirsi alla vita privata del consumatore o di altre persone a quest‟ultimo legate, e non solo da vincoli di parentela, nel caso in cui non faccia quanto richiesto. Resta inteso che le minacce devono essere di tale intensità da fare impressione sul consumatore medio, tanto da indurlo a prendere determinate scelte per evitare il verificarsi degli eventi prospettati.
Le costrizioni fisiche, invece, consistono in comportamenti materiali rivolti contro il consumatore e diretti ad ottenere quanto desiderato dal professionista. Alcuni esempi sono elencati nell‟allegato I, che considera pratiche aggressive coercitive il creare l‟impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto (n. 24) oppure l‟effettuare visite presso l‟abitazione del consumatore, ignorando le richieste di quest‟ultimo di lasciare la sua residenza, fino a quando quest‟ultimo (esasperato) non presti il proprio consenso. Da qui la classica scelta tra il male minore, ovvero l‟adozione della scelta o la realizzazione del male minacciato.
76 L‟articolo 13 della Direttiva 2002/58/CE dispone che l‟uso di sistemi automatizzati di chiamata senza
intervento di un operatore, del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei confronti degli abbonati che abbiano preliminarmente espresso il proprio consenso in tal senso (articolo 1). Ciò detto, allorché una persona fisica o giuridica ottiene dai propri clienti l‟indirizzo e- mail nel contesto della vendita di un prodotto o servizio – ai sensi della Direttiva 95/46/CE relativo alla tutela dei dati personali delle persone fisiche – la medesima persona fisica o giuridica potrà utilizzare tale dato a scopi di commercializzazione dei propri prodotti o servizi, similari a quelli già forniti, a condizione, però, che ai clienti sia offerta in modo chiaro e distinto al momento della raccolta dei dati e ad ogni messaggio la possibilità di opporsi, gratuitamente ed in maniera agevole, l‟uso del suddetto indirizzo di posta elettronica (articolo 2).
Naturalmente gli Stati membri devono garantire, adottando le misure ritenute idonee, che le comunicazioni diverse da quelle permesse ai sensi degli articoli 1 e 2, non siano permesse in caso di mancato espresso consenso dei clienti oppure qualora questi ultimi abbiano dichiarato di non essere interessati a ricevere chiamate di questo genere (articolo 3).
In ogni caso, la Direttiva in questione vieta la prassi di inviare messaggi di posta elettronica con lo scopo di commercializzazione diretta camuffando o celando l‟identità del mittente da parte del quale la commercializzazione è effettuata, o senza fornire l‟indirizzo valido cui il destinatario possa inviare la richiesta di cessazione di tali comunicazioni (articolo 4).
Resta inteso che le disposizioni di cui agli articoli 1 e 3 si applicano agli abbonati che siano persone fisiche (articolo 5).
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Non sfuggirà un richiamo ai vizi del consenso (conosciuto sia a livello di ordinamento italiano - che verrà meglio analizzato nel prosieguo - sia a livello comunitario), dal quale discende il diritto di impugnare il contratto a favore del soggetto che lo abbia concluso sotto l‟effetto di una costrizione, provocata da una minaccia, dalla creazione di un timore fondato, dalla violenza, dalla coazione morale, dalla situazione nella quale l‟incolumità fisica, morale, l‟onore o il patrimonio del soggetto minacciato o di persone a questo vicine siano in pericolo.
L‟articolo 1438 del codice civile italiano richiede, ai fini dell‟annullamento del contratto per violenza (morale, mentre in caso di violenza fisica il contratto sarà nullo), che le minacce siano dirette a conseguire vantaggi ingiusti.
Si tenga ben presente che le coercizioni possono consistere anche nella minaccia di promuovere un‟azione legale che non sia giuridicamente ammessa: il problema che qui si pone è di individuare la portata effettiva di “non giuridicamente ammessa”.
Una soluzione potrebbe essere ravvisata nel senso di (a) non esistente nell‟ordinamento interno o comunque non pertinente con riferimento alla situazione concreta (ad esempio, la minaccia di procedere alla richiesta di fallimento di un consumatore, evidentemente in assenza dei requisiti previsti ex lege dall‟articolo 1 della Legge Fallimentare, oppure di farlo condannare per truffa qualora non paghi un determinato bene o servizio) oppure (b) un‟azione sostanzialmente infondata (ad esempio la risoluzione per inadempimento di un contratto non ancora concluso) o, ancora, in assenza della legittimazione ad agire.
Se si sposasse la prima tesi (lettera a), allora si ridurrebbe notevolmente l‟effettiva tutela del consumatore; diversamente avviene alla luce della soluzione prospettata alla lettera (b), che pertanto merita di essere accolta77. Infatti, la minaccia di agire legalmente sembrerebbe indirizzata non tanto a prospettare la facoltà di esercitare un diritto, del quale il professionista potrebbe essere astrattamente titolare, ma ad ottenere illegittimamente una decisione da parte del consumatore a seguito di una pressione psicologica (di doversi difendere in un processo, sopportandone i costi e il rischio di essere condannato).
77 Si veda sul punto Cass, Civ. 23 luglio 1997, n. 6900, in Foro It., 1998, I, c. 1582 e ss., in base alla quale non
può ritenersi conforme a buona fede il comportamento del creditore che, attraverso il frazionamento delle azioni giudiziarie, prolunghi arbitrariamente il vincolo coattivo cui deve sottostare il debitore, sacrificando ingiustamente l‟interesse di quest‟ultimo a liberarsi del vincolo assunto nella sua interezza.
In particolare, la suprema Corte ha stabilito che deve essere considerato contrario a buona fede e, quindi inammissibile in quanto illegittimo per abuso del diritto, il comportamento del creditore il quale, potendo agire per l‟adempimento di tutta l‟obbligazione, frazioni, senza alcuna ragione evidente, la richiesta di adempimento in una serie di giudizi davanti a diversi giudici, ciascuno competente per ogni singola parte. Tale giudizio di sfavore non può essere superato dalla circostanza che il creditore non tragga alcun vantaggio economico. Infatti, quello che conta è l‟esistenza di un qualsivoglia pregiudizio per il debitore, non giustificato da un corrispondente vantaggio - meritevole di tutela - per il creditore.
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In conclusione, caratteristica peculiare delle pratiche coercitive è il creare consapevolmente una situazione di costrizione e il relativo sfruttamento da parte del professionista al fine unico di indurre il consumatore a concludere il dato contratto.