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G LI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLE PRATICHE SCORRETTE

Nel documento Le pratiche commerciali scorrette (pagine 102-106)

2.2. L‟ ATTUAZIONE DELLA D IRETTIVA 2005/29/CE NELL ‟ ORDINAMENTO ITALIANO

2.2.6 G LI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLE PRATICHE SCORRETTE

Sulla falsariga dell‟analisi effettuata nel primo capitolo in merito alle pratiche sleali, in questa sede si cercherà di ripercorrere gli aspetti essenziali e caratterizzanti delle pratiche scorrette, così come delineate dal legislatore italiano (sempre se vi si possa scorgere un qualche sforzo).

Si precisa che il divieto relativo alle pratiche scorrette è caratterizzato, sin dalla disciplina delineata dal legislatore comunitario nei considerando n. 11 e 13 della Direttiva 29/2005/CE, quale “unico”, “generale” e “comune”. Per quanto riguarda il primo aspetto, ossia l‟unicità, il legislatore ha previsto un divieto unico ma che, tuttavia, assorbe una molteplicità di fattori particolari (le pratiche omissive, le pratiche ingannevoli, ecc.).

Il carattere generale del divieto sorge dalla definizione di pratiche commerciali scorrette idonea a comprendere tutte le azioni, omissioni, condotte o dichiarazioni poste in essere da un professionista “in relazione alla promozione, alla vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”, indipendentemente da natura, tipologia e modalità di realizzazione

Ma non solo.

Il divieto opera altresì su diversi livelli dal momento che copre l‟intero rapporto contrattuale, disciplinando le condotte poste in essere dal professionista “prima, durante e dopo un‟operazione commerciale”, così come previsto dall‟articolo 19 cod. cons.

Infine, la qualifica di “comune” attribuita al divieto dal considerando n. 13 della Direttiva in commento sorge dalla circostanza che il precetto opera ed è finalizzato ad essere rispettato da tutti i professionisti operanti nel territorio di uno Stato membro appartenente all‟Unione Europea.

A questo punto pare doveroso spendere alcune ulteriori parole in merito alla disciplina di recepimento, almeno per quanto attiene al divieto posto dal legislatore italiano (quanto da quello comunitario prima con la Direttiva 29/2005/CE) ossia al divieto di porre in essere “pratiche commerciali scorrette” (cfr. articolo 20, comma 1, cod. cons.).

Ad oggi non è dato comprendere per quale ragione il nostro legislatore abbia deciso di utilizzare l‟aggettivo “scorrette” anziché quello “sleali”, presente nella versione italiana della Direttiva 29/2005/CE.

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È stato ipotizzato145 che il legislatore abbia voluto evidenziare anche a livello lessicale la diversità di ratio, gli obiettivi posti a tutela e l‟ambito di applicazione delle disposizioni attuative della Direttiva in commento rispetto alla disciplina generale della concorrenza sleale contenuta negli articolo 2598 c.c. e ss.

Se veramente questo è stato l‟intento del legislatore non si può di certo dire che abbia sortito il suo effetto: infatti, mentre da un lato la norma di cui all‟articolo 2598 c.c., comma 3, prevede che “compie atti di concorrenza sleale chiunque si avvalga di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale […]”, dall‟altro all‟interno del codice del consumo i termini “lealtà” e “correttezza” vengono utilizzati entrambi a volte individualmente a volte congiuntamente, sempre unitamente alla locuzione “buona fede”, senza che all‟uno possa essere dato un significato ed una operatività ben distinto da quelli dell‟altro. Per di più, pare proprio che non possano essere ricondotte ripercussioni o conseguenze di particolare rilievo al termine “scorretto” piuttosto che “sleale”, sia nell‟ambito dell‟intero corpus normativo sia all‟interno di ogni singola disposizione.

Considerando che la “scorrettezza” di una pratica di cui all‟articolo 20 cod. cons. deve essere valutata e misurata non solo sulla base del principio di “diligenza professionale” di cui allo stesso articolo 20, comma 2, cod. cons., ma anche sulla base dei principi generali di “buona fede, correttezza e lealtà” di cui all‟articolo 39 cod. cons.146 e all‟articolo 2 cod. cons., a questo punto si pongono alcuni problemi di coordinamento tra i vari principi ispiratori.

Ebbene, non pare esservi dubbio che i “principi di buona fede, correttezza e slealtà” di cui all‟articolo 2, comma 2 lett. c bis, cod. cons. siano gli stessi cui si riferisce l‟articolo 39 cod. cons. In particolare, se si considera che, alla luce della Relazione Illustrativa del Codice del Consumo – l‟articolo 39 cod. cons. “introduce regole generali nelle attività commerciali, conformi ai principi generali di diritto comunitario in tema di pratiche commerciali sleali” e che – alla luce della Relazione Illustrativa del D.Lgs. n. 221/07 che l‟ha inserita nell‟articolo 2, comma 2, cod. cons. – la lettera c bis) contiene “una disposizione di richiamo ai principi di correttezza, lealtà e buona fede, conformemente con quanto previsto dalla Direttiva 29/2005/CE in materia di pratiche commerciali sleali recepita con il decreto n. 146 del 2007”, emerge chiaramente lo stretto collegamento fra la disciplina comunitaria delle pratiche commerciali sleali e le due citate disposizioni del Codice del Consumo.

Da quanto sopra pare di poter trarre due conclusioni:

145 Cfr. De Cristofaro, Il divieto di pratiche commerciali “scorrette” dettato dall‟articolo 20, comma 1, e le statuizioni dell‟articolo 2, comma 2, lett. C bis) dell‟articolo 39 cod. cons., in Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e consumatori, op. cit., pag. 1079.

146 L‟articolo 39 cod. cons. (Regole nelle attività commerciali) prevede che “le attività commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, di correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori”.

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a) la locuzione “pratiche commerciali” di cui alla lettera c bis) dell‟articolo 2, comma 2. cod. cons. deve essere interpretata nell‟accezione di cui al successivo articolo 18, lett. d), cod. cons. (così come deve essere intesa anche la locuzione “attività commerciali” di cui all‟articolo 39 cod. cons.147);

b) la qualificazione in termini di “scorrettezza” di una pratica commerciale – alla luce delle norme di cui agli articolo 20 e ss. cod. cons. – esprime la non rispondenza di tale comportamento ai “principi di buona fede, correttezza e lealtà”, di cui agli articoli 2, comma 2, e 39 cod. cons. in questo modo, pertanto, il professionista che dovesse violare il precetto di cui all‟articolo 20, comma 1, cod. cons. violerebbe, con il suo comportamento, anche il precetto previsto dall‟articolo 39 cod. cons. e , a maggior ragione, violerebbe il diritto riconosciuto ai consumatori come “fondamentale” dall‟articolo 2, comma 2, cod. cons. ossia il diritto previsto dal medesimo articolo alla lettera c bis).

Al fine di una maggior comprensione della portata innovativa della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette, pare opportuno soffermarsi – seppur brevemente – su quanto accennato in precedenza sul rapporto che lega/separa la “scorrettezza” di una “pratica commerciale” (ai sensi ed ai fini dell‟articolo 20 e ss. cod. cons.) e la “slealtà” di un “atto di concorrenza” (ai sensi ed ai fini degli articoli 2598 e ss. c.c.).

Orbene, alla luce delle considerazioni tutte svolte nel primo capitolo del presente scritto, si deve precisare che le due classificazioni appena riportate sono da considerarsi assolutamente distinte ed autonome, in quanto, appunto, la disciplina della concorrenza sleale e quella delle pratiche commerciati scorrette hanno ambiti di applicazione ben diversi e, soprattutto, hanno obiettivi, fondamenti giustificativi e apparati rimediali distinti.

Per quanto riguarda le norme sulle pratiche commerciali sleali, si ribadisce che attengono unicamente ai comportamenti tenuti da imprenditori o professionisti in relazione ai rapporti contrattuali tra gli stessi ed i consumatori, non solo anteriormente ma anche contestualmente e posteriormente alla instaurazione di tali rapporti. Di questi ultimi rapporti, invero, sono suscettibili di rientrare nella normativa di cui agli articoli 2598 c.c. e ss. solamente quei comportamenti che il professionista ponga in essere allo scopo di promuovere e favorire

147 In questo senso, G. De Cristofaro, Il divieto di pratiche commerciali “scorrette” dettato dall‟articolo 20, comma 1, e le statuizioni dell‟articolo 2, comma 2, lett. C bis) dell‟articolo 39 cod. cons., in Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e consumatori, op. cit., pag. 1080; e Sandulli, in Aa. Vv., Codice del Consumo. Commentario a cura di Alpa e Rossi Carleo, Napoli 2005, sub. Articolo 39, pagg. 289 e ss.

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l‟instaurazione di rapporti contrattuali tra professionisti e consumatori, ma nei limiti in cui questi siano lesivi degli interessi dei concorrenti148.

Questo perché il nostro ordinamento ha predisposto e tutt‟ora mantiene149una disciplina della concorrenza sleale che è funzionale esclusivamente alla tutela degli interessi dei concorrenti, così che ci troviamo di fronte al cd. “sistema binario” ordinato a tutelare, in maniera ben distinta, da un lato gli interessi dei consumatori e, dall‟altro, quelli dei professionisti.

Di tutta evidenza che i parametri, la ratio e gli obiettivi della valutazione di “slealtà” di un atto di concorrenza ai sensi dell‟articolo 2598 c.c. sono necessariamente diversi da quelli propri della valutazione di “scorrettezza” di una pratica commerciale, che è invece legata all‟idoneità della condotta del professionista (o imprenditore) a “ledere gli interessi economici dei consumatori”(e a turbare la sua libertà di scelta nell‟instaurare o meno rapporti contrattuali).

Questo tuttavia non esclude che le due fattispecie non si possano intersecare tra di loro; ma anche in queste ipotesi, le qualificazioni giuridiche (ossia di “slealtà” ai sensi dell‟articolo 2598 c.c. e di “scorrettezza” ai sensi degli articoli 20 e ss. cod. cons.) devono comunque rimanere debitamente distinte150, in quanto le conseguenze che ne derivano sono diverse e si producono contemporaneamente e cumulativamente. Da un lato, infatti, la possibilità per i singoli concorrenti di agire avanti all‟autorità giudiziaria ordinaria con l‟azione risarcitoria ai sensi dell‟articolo 2600 c.c. (o con l‟azione inibitoria ai sensi degli articoli 2599 e 2601 c.c.); dall‟altro, la possibilità di agire avanti all‟Autorità Garante della Concorrenza e del Mercati con un procedimento ai sensi dell‟articolo 27 cod. cons. (del quale si tratterà infra) ovvero per le associazioni dei consumatori di agire avanti al giudice ordinario ai sensi dell‟articolo 140 cod. cons. (azione inibitoria) o dell‟articolo 140 bis cod. cons. (con un‟azione di gruppo).

148 Pertanto, pur integrando gli estremi di un atto di concorrenza sleale, non costituisce invece una pratica

commerciale scorretta, ai sensi dell‟articolo 18 cod. cons.) il comportamento tenuto dal professionista esclusivamente allo scopo di promuovere l‟instaurazione di rapporti contrattuali fra professionisti.

149 Evidente che il nostro legislatore, ancora una volta, non ha colto l‟occasione di creare un unico

provvedimento in grado di riordinare e rendere unica e ben coordinata la disciplina in materia di pratiche commerciali, sia tutelando i consumatori e gli interessi generali del mercato sia i concorrenti, mediante il recepimento della Direttiva 2005/29/CE e di quella 2006/114/CE.

150 Si precisa che, comunque, in concreto difficilmente un comportamento imprenditoriale che intergi gli

estremi di una “pratica commerciale scorretta” ai sensi degli articoli 20 e ss. cod. cons. potrebbe evitare di essere ritenuto come atto di concorrenza sleale ai sensi dell‟articolo 2598 c.c., laddove, al contrario, potrebbe darsi che un comportamento imprenditoriale costituente atto di concorrenza sleale non integri gli estremi di una pratica commerciale scorretta (i.e. in quanto dannoso per i concorrenti ma inidoneo a ledere gli interessi dei consumatori).

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