La Direttiva, sempre al fine di raggiungere quell‟armonizzazione completa nel campo delle pratiche commerciali sleali, dà una definizione che vorrebbe essere univoca, alla quale per altro possiamo dire di essere già abituati, di “professionista”. In particolare, l‟articolo 2, lett. b) identifica il professionista come “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente Direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista”.
Di tutta evidenza la netta contrapposizione tra la figura del professionista e quella di consumatore, contrapposizione resa particolarmente manifesta a seguito di una lettura sistematica del Codice del Consumo, nonché, a fini di rigore scientifico, della normativa precedente in materia (ora ricompresa nel Codice del Consumo stesso).
L‟ormai abrogato articolo 1469 bis c.c. definiva il professionista come “la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale”.
Ebbene, come noto e rilevato da molti, la sopraccitata nozione faceva sorgere da subito una questione in merito alle soggettività non personificate. In particolare, l'interrogativo si poneva, essenzialmente, per le associazioni non riconosciute che esercitano attività d'impresa34. Sul punto è stato rilevato che “premesso che la soluzione negativa,
privilegiando un'interpretazione formalistica del dato normativo, sottrarrebbe un gran numero di contratti alla tutela del consumatore, si può ritenere che anche tali organizzazioni siano ricomprese nella nozione di professionista. Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, gli enti non personificati possono svolgere attività d'impresa; e se la esercitano in via principale o esclusiva, si applica loro lo statuto dell'imprenditore commerciale, comprensivo della disciplina fallimentare35. Se invece la conducono in via
accessoria, si applica loro lo statuto dell'imprenditore in generale, ossia la normativa dei contratti formulata in riferimento a questa figura, come, ad esempio, gli articoli 1330; 1341
34 F. Di Marzio, Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore: Prime riflessioni sulla previsione generale di vessatorietà, in Gius. Civ. 1996, 11, 513.
35 Si vedano Corte Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, in Giust. Civ. 1994, I, 65, con nota di Lo Cascio; Cass. 9
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e 1342; 1368, comma 2; 1400; 1510, comma 1; 1824, comma 2, c.c.36. Gli articoli 1469-bis
e ss. rientrano nella categoria dei contratti dell'imprenditore, quindi possono ritenersi applicabili agli enti, anche non personificati, che esercitano, anche solo in via accessoria, attività imprenditoriale. La stessa conclusione vale, a maggior ragione, per le altre imprese collettive non personificate: società di persone e consorzi con attività esterna”.
Per quanto attiene alla natura privatistica o pubblicistica del soggetto ritenuto professionista, il Tribunale di Palermo37 ha sottolineato la precisa scelta operata in tal senso dal legislatore
comunitario ovvero di ricomprendere nella nozione di professionista tanto il soggetto privato quanto quello pubblico, richiedendo come requisito necessario e sufficiente lo svolgimento di una prestazione economica o intellettuale in forma stabile e durevole, in netta contrapposizione con il concetto di occasionalità ovvero escludendo espressamente quei soggetti che svolgono l‟attività di prestazione di servizi e cessione di beni senza un apparato organizzativo durevole.
La giurisprudenza38 ha inoltre affermato che “nella figura del professionista il legislatore ha
quindi ricompreso espressamente sia colui che esercita un‟attività imprenditoriale, caratterizzata dal fine primario di produrre reddito, sia colui che svolge un‟attività professionale, cioè un‟attività di prestazione di servizi e cessione di beni non necessariamente finalizzata alla produzione di utili ma che in ogni caso si avvale di un‟organizzazione stabile e duratura”.
Altro aspetto centrale può essere raffigurato nell‟antitesi “esigenze di consumo privato” e “attività professionale” o comunque “uso per scopi professionali/non di consumo”: pertanto, di importanza fondamentale sarà definire – per quanto possibile – la natura degli scopi perseguiti dal contraente, alla luce di una propria eventuale attività professionale o imprenditoriale.
In tale quadro si pone, quindi, la questione (che ci limiteremo solamente ad accennare) attinente alla definizione dei cd. “atti a scopi professionali” (ovvero gli atti che il professionista utilizza nel quadro della propria attività professionale)39.Ebbene questi sono
stati individuati esclusivamente negli atti della professione, cioè gli atti che rientrano nel genere di quelli compiuti dal soggetto nell'esercizio della professione che gli è propria.
36 In questo senso, Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1967, sub articoli 36-38, 100 ss. Altro orientamento dottrinale contesta la differenziazione prospettata sostenendo l'applicabilità in ogni caso dello statuto dell'imprenditore commerciale. Fra gli altri, Campobasso, Associazioni e attività di impresa, in Riv. dir. civ. 1994, II, 589 e ss.
37 Trib. Palermo, ord. 4 luglio 2000, in Danno e resp., 2000, 181. 38 Trib. Palermo 3 febbraio 1999, in Foro It. 1999, 2085.
39 Criteri di logica ermeneutica inducono a credere che l'espressione “atto a scopo non professionale” non
possa che considerarsi equivalente a quella di atto utilizzato nel quadro della propria attività professionale e che, perciò entrambe le espressioni si riferiscano al professionista.
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Infatti, non ogni atto compiuto dal soggetto è in grado di soddisfare scopi (in senso oggettivo) professionali, ma tecnicamente solo l'atto con cui il soggetto esplica la propria professione di qualunque genere essa sia, perché soltanto ponendo in essere tale atto il soggetto realizza i propri interessi professionali40.
Secondo la dottrina maggioritaria41, conforme anche alla giurisprudenza della Corte di
Giustizia, l‟indagine sulla natura degli scopi del contraente in relazione all‟attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, deve essere eseguita alla luce di parametri oggettivi, non dell‟intenzione soggettiva (ovvero dei motivi) che lo ha indotto a contrarre.
Tuttavia, sorgono problematiche di non poco momento in merito alla applicabilità della tutela prevista per il consumatore nei casi di “uso promiscuo” (professionale e non) dei beni di consumo. Più specificamente, la questione di particolare interesse è se l‟acquisto di un
40 Si vedano L. Gatt in “L'ambito soggettivo di applicazione della normativa sulle clausole” vessatorie, in Giust. civ. 1998, 9, 2341, nota a Giudice di pace, 3 novembre 1997; “contrae come professionista l'imprenditore quando vende i prodotti della sua azienda; l'avvocato quando stipula il contratto d'opera intellettuale con il proprio cliente; l'artigiano quando vende l'opera da lui prodotta, ecc”. Parte della dottrina italiana che ha affrontato il problema dell'individuazione del soggetto consumatore in relazione ad altri provvedimenti normativi appare mossa dalla medesima concezione sostenuta nel testo. Cfr. Biscontini, sub. articolo 5, in Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma 19 giugno 1980), Commentario, a cura di C.M. Bianca e Giardina, in Le nuove leggi civile commentate 1995, 972: “se consumatore è chi acquista il prodotto finito, anche il produttore intermedio è "consumatore" allorché reperisce gli elementi da utilizzare nel proprio ciclo produttivo. Non esistono prodotti finiti per definizione in quanto essi possono essere finiti e allo stesso tempo beni strumentali per la produzione di un altro bene di differente natura. Si pensi ad un pneumatico che è certamente un prodotto finito per l'automobilista ma non lo è altrettanto per l'industria automobilistica”. Cfr. anche Carriero, Trasparenza bancaria credito al consumo e tutela del contraente debole, in Foro it. 1992, II, c. 361; Nappi, Bürgschaft (e fideiussione) "a prima richiesta" tra diritto comune e disciplina delle condizioni generali di contratto, in Banca, borsa, 1993, 538: "allo scopo di escludere l'applicabilità della Direttiva occorre verificare se rientri nel quadro dell'attività professionale non l'utilizzazione del bene acquistato, se il contratto riguarda l'acquisto di beni, ovvero le ragioni dell'assunzione dell'obbligazione, quando dal contratto derivi un effetto, ma la stessa attività di stipula di contratti del genere di quelli in cui sia contenuta la clausola onerosa o abusiva. Del resto è evidente che il soggetto da tutelare debba essere considerato come contraente e non come utilizzatore di beni o servizi. Quindi, procedendo ad una esemplificazione, dovrà ritenersi rientrante nell'area di competenza della Direttiva l'acquisto di un'automobile da parte di un rappresentante di commercio anche se l'auto sarà utilizzata (almeno prevalentemente) per l'esercizio dell'attività professionale, senza che possano sorgere dubbi circa l'applicazione della Direttiva in considerazione di un eventuale uso promiscuo". Tra i commentatori delle nuove norme codicistiche sembrano andare verso la direzione indicata: Astone, sub. articolo1469- bis, comma 2°, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di Alpa e S. Patti, cit, I, 106, 111, 116-121. Favorevole ad un ampliamento della sfera soggettiva di applicazione è anche Ruffolo, Le "clausole vessatorie", "abusive", "inique" e la ricodificazione negli articoli 1469-bis - 1469-sexies c.c., in Clausole "vessatorie" e "abusive", a cura di Ruffolo, cit. 27. V., “occorre accertare lo scopo per cui è stato concluso il contratto, onde valutarne il collegamento con l'attività professionale (..)".
41 Cian, Il nuovo capo XIV bis (Titolo II, Libro IV) del Codice Civile sulla disciplina dei contratti dei consumatori, in Studium iuris 1996, 414; Alpa e Chiné, Consumatore (protezione del) nel diritto civile, in Digesto disc. Priv. Sez. Civ., XV, Appendice, Torino 1997, 541. Per un‟analisi approfondita in merito ai contratti a scopi professionali, si veda Corea, Sulla nozione di “consumatore”: il problema dei contratti stipulati a scopi professionali, in Giust. Civ. 1999, 1, 13; dello stesso autore, Ancora in tema di nozione di “consumatore” e contratti a scopi professionali: un intervento chiarificatore, in Giust. Civ., 2000, 7-8, 2117;
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bene o un servizio strumentale debba essere ricompreso tra gli atti rientranti nella propria attività professionale ovvero stipulati per scopi ad essa non estranei.
La questione è stata analizzata dalla dottrina maggioritaria e da parte della giurisprudenza, alla quale si rimanda42.
Adesso, con il Codice del Consumo, all‟articolo 3 lett. c), per professionista43 intende “il
soggetto che utilizza il contratto con il consumatore nel quadro della sua attività imprenditoriale44 o professionale45 ovvero un suo intermediario”.
Non sfuggirà che la definizione di professionista, oggi contenuta nel Codice del Consumo, non si discosta da quella prevista precedentemente nella normativa in materia di clausole vessatorie, ma ne rappresenta unicamente una modifica formale e non sostanziale: il professionista è e rimane la controparte del consumatore.
Unica novità pare essere il riferimento all‟intermediario, anche se già in precedenza la giurisprudenza aveva ritenuto che dovessero essere considerati professionisti quei soggetti che svolgano un‟attività economica o intellettuale in forma stabile e durevole (in netta contrapposizione con il concetto di “occasionalità46”) e che agiscano, piuttosto che
direttamente, tramite loro intermediari.