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Azioni sinergiche verso la co-costruzione di una rete per slegare i pazienti psichiatrici:

Nel documento integrale... (pagine 130-135)

Nel paragrafo precedente sono stati considerati fattori ostativi, in qualche misura esterni e indipendenti

rispetto alla cerchia degli attori sociali e istituzionali – cui tutti i soggetti intervistati appartengono - che si

stanno impegnando con mezzi e strumenti affinché sia restituita dignità ai pazienti psichiatrici e affinché la

contenzione sia contenuta o addirittura eliminata.

In chiusura del capitolo, giova considerare, d’altra parte, che uno sforzo decisivo potrebbe essere quello

di integrare le strategie di azione adottate nelle diverse sfere di competenza che, altrimenti, rischiano di

essere depotenziate dalla mancanza di un raccordo esplicito. Soprattutto, azioni sinergiche valorizzerebbero

la complementarietà che pur caratterizzerebbe l’insieme degli strumenti utilizzati dai vari agenti e che,

attraverso un approccio multidiscilinare e integrato, assumerebbe la potenza necessaria a prevalere rispetto al

paradigma ideologico e pratico dominante e a svelarne, senza possibilità di repliche convincenti, l’intrinseca

contraddittorietà e debolezza nel trovare soluzione alle tante anomalie che, durante le interviste e in queste

pagine, abbiamo peraltro avuto la possibilità di ripercorrere solo in parte.

Si è già avuto modo di rimarcare l’isolamento del paradigma no restraint che per certi versi, oltre ai fattori

ricostruiti, è imputabile anche a meccanismi di autosegregazione dovuti a un comprensibile atteggiamento

di reattività difensiva rispetto allo scetticismo dominante. L’isolamento per fattori endogeni ed esogeni

coinvolge - a detta di alcuni intervistati – anche il comparto del Terzo Settore.

L’intervista con Di Fiandra ci ha dato modo di cogliere, d’altra parte, che a livello istituzionale alcuni

passaggi nella direzione di favorire un dialogo più stretto tra le diverse cerchie in campo, attraverso Convegni

e documenti programmatici comuni, sono stati intrapresi. Ripetutamente, però, la dirigente ministeriale

invoca il limite che l’ambito di competenza del Ministero della Salute prevede e l’impossibilità di sostituirsi,

ad esempio, ai Dipartimenti di Salute Mentale, nelle funzioni di direzione e controllo dei servizi previste da

ordinamento.

Toresini è precisamente dell’avviso che queste barriere amministrative debbano essere abbattute, pur nella

consapevolezza realistica che questo processo richiederà degli anni. Presupposto preliminare perché ciò

possa avvenire è l’impegno per la creazione di un consenso condiviso delle diverse componenti della società

civile. Questa co-costruzione del consenso, dal suo punto di vista, come già ribadito più volte, deve passare

attraverso la formalizzazione giuridica perché, ad esempio, scrivere contributi di psichiatria democratica –

sempre dal suo punto di vista – non può essere recepito dalle cerchie istituzionali come base evidenziale utile,

o comunque privilegiata, rispetto alla strutturazione di interventi politico-legislativi.

I - Cosa dovrebbe accadere - volgiamo verso la fine - affinché il ricorso alla contenzione meccanica venisse definitivamente eliminato del tutto o comunque ristretto a casi del tutto eccezionali?

Toresini: Ci vorrebbe un intervento del Ministero, della Conferenza Stato-regioni, delle aziende sanitarie e via via di tutti i dirigenti sanitari, dei primari insomma.. l’abbiamo detto anche prima sotto la pressione della giurisdizione, della giurisprudenza, delle sentenze e della politica, credo che in Inghilterra abbiano fatto così.

I - Quindi una concertazione?

Toresini: Sì una concertazione della società civile. Una concertazione, man mano dei vari componenti della società civile.

I - Detto questo, oltre al ruolo del terzo settore – che, come ha detto, si muove in modo ancora troppo frammentario - quale potrebbe essere il ruolo del Club SPDC no restraint in questo?

Toresini: Di promuovere, scuotere le coscienze, di promuovere “Yes, we can do”, insomma.

Senza entrare troppo nel merito di una questione che ci porterebbe troppo lontano da nostro tracciato e

rispetto alla quale possiamo confidare su una letteratura sociologica copiosissima

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, si ritiene opportuno

dare nuovamente la parola agli operatori dell’Associazione Arcobaleno per far emergere la consapevolezza,

detenuta da chi svolge attività nel Terzo settore, delle numerose contraddizioni legate al ruolo di supplenza

antagonistica di questo comparto della società civile, che comunemente consiste nel porsi al di fuori rispetto

al mainstream istituzionale, essendo però obbligati, almeno da un punto di amministrativo, a restarvi dentro.

Questa collocazione ambivalente in una terra di mezzo contribuisce a giustificare in misura importante le

ragioni delle impressioni riportate da Toresini a proposito della frammentarietà delle azioni (pubbliche)

operate dal Terzo settore, messe sul piatto della sinergia auspicabile. Dentro questo quadro, resistere per

preservare uno spazio di riconoscimento dedicato a chi soffre di disturbi psichici significa dunque, come ben

esprime Vittoriano, impegnarsi a costruire una “nicchia esistenziale” che preservi dai rischi interni al sistema

istituzionalizzato:

I - Ecco ma allora, a parte come vi sentite dentro il sistema, ma come vi sentite dentro il terzo settore… del settore?

Enrico: Eh… il terzo settore, anche il terzo settore è quasi impiegatizio. Magari tieni alto livello dialettico, ma nei fatti, nella prassi, è impiegatizio. Ti rendi conto che c’è una necessità, come diceva Enrico, di nuovo di un salto, ma non c’è un riferimento sociale… chi sono i movimenti? chi sono i soggetti di riferimento per

52 Tra gli ultimi contributi più significativi sulle dinamiche del volontariato in Italia, si segnala il numero monografico 96 della rivista Sociologia e

Capitolo 3 - La dignità negata. Sguardi esperti e multifocali sui nodi della contenzione meccanica

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“Contenere” la contenzione meccanica in Italia

questo nuovo salto?Raffaella: se noi dovessimo ipoteticamente sostenere una persona in una battaglia… noi siamo una associazione di operatori utenti e volontari e dovremmo per costituzione difendere i diritti della persona sofferente, ma se noi ci dovessimo materialmente trovare a difendere una battaglia legale contro uno psichiatra che ha contenuto meccanicamente, allora noi mettiamo in crisi tutto il sistema. Rapporto con CSM, convenzione con la ASL…

Alberto: fino a un certo punto. Il caso Mastrogiovanni, tenuto contenuto e poi morto, un caso del genere sarebbe di una gravità immensa se un burocrate cooperativo o istituzionale dicesse che non potremmo dare un appoggio legale ai famigliari, per esempio…

Vittoriano: sì ma questo è un processo che implica comunque la compresenza di una serie di attori che non ci sono più e di una dialettica con l’istituzione che la accetti e con delle rappresentanze che se l’assumono, se no diventa don Chisciotte, che magari ce la fa ma, magari no. Il caso Mastrogiovanni è stato disgustoso, con tanto di riprese delle telecamere, poi sempre in questo Sud… Il problema invece è partire dalle piccole cose, proprio come era partito ai tempi, dal tè, però fuori da una cornice istituzionale, dialogando con l’istituzione ma sostenuti da altri attori, per esempio Legacoop, che in caso accetta di sostenere questo processo di cambiamento. In presenza di componenti così è possibile immaginare di…

I - Sì perché non ci sono solo le azioni legali o i casi eclatanti, ci può essere – e ve lo chiedo – una microfisica di azioni quotidiane in cui tu sei a fianco alla persona e giochi un ruolo di mediatore o facilitatore di alcuni processi…

Alberto: questo io credo di farlo…

Vittoriano: questo si fa, è logico che è una condizione diciamo centripeta, non so se riesco a spiegarmi, nel senso che difendiamo uno spazio in cui sperimentiamo che vivere una condizione di sofferenza in un altro modo è possibile. Quindi noi abbiamo accettato una condizione di nicchia esistenziale, cercando innanzitutto di aiutare la persona a riflettere, e insieme a lui noi, su una condizione che a un certo punto fuoriesce dall’aspetto della sofferenza, e diventa esistenziale e comune ai cittadini tutti. E quindi cerchiamo come strategia anche di sopravvivenza e per il fatto che siamo una associazione, introducendo elementi di ragionamento sempre meno “psichiatrici”, dunque il consumo, il reddito, gli spazi pubblici di azione e così via. E così entri in relazione con le fondazioni, con l’8 x mille della tavola valdese, con la musicoterapia e via elencando… però al contempo è come se avessimo perso – io lo riconosco, è così – quella spinta trasformatrice. Quando noi parliamo di borse lavoro, e non viene più fatto da nessuno, noi parliamo di trasformazione, cioè leggiamo il prima e il dopo, in ottica marxiana, perché altrimenti non hai alcuni tipo di riferimento né filosofico né economico; se arriva una persona qui a fare una borsa lavoro noi dobbiamo essere capaci di leggere l’elemento della trasformazione di questa persona nello stare al mondo, non solo nello stare in un centro diurno. E questo plusvalore che emerge deve essere adottato da qualcuno, perché noi lo leggiamo ma poi nessuno lo adotta. Questo ci ha dato uno sguardo più ampio, più esterno, in cui ci riconosciamo tutti sofferenti. In tutto questo, non tutto è negativo: noi quotidianamente facciamo questo lavoro di ricucitura di doveri e di diritti di cittadinanza, non solo di diritti, sui diritti ti dicono non ci sono più soldi e vai a prendertelo… ma sui doveri deve esserci un interlocutore, e qui ci sentiamo deboli, è debole l’elemento della rappresentanza. Per questo abbiamo difeso con le unghie e con i denti questo spazio, vedendo la dinamica romana della presa di Porta Pia… con altri attori di mediazione, perché la Legacoop, li senti parlare ai convegni, sono solo numeri, addetti, fatturato, prestazioni. Loro son già pronti per la riforma di Renzi, noi non so più quanto. (…) Quindi da un alto noi intuiamo che c’è da fare, dall’altro c’è anche un elemento di paura, dall’altro ancora c’è un elemento di mancanza di memoria, si lavora sempre più nella distruzione del passato e nell’accezione del presente ma il futuro non lo riesci a vedere, se non hai il passato ben chiaro e fai un lavoro di resistenza, come dice Alberto. Noi, io e lei, siamo i reduci silenti…

Alla luce di quanto appena riferito, nonché delle barriere (più o meno) visibili che, nel corso della nostra ricerca,

abbiamo rintracciato anche tra attori sociali schierati dalla stessa parte, la proposta della rete, andrebbe forse

considerata più come metafora che come strategia attuabile nell’immediato. Il richiamo a un lavoro di rete

può, peraltro, rappresentare un monito per i diversi attori sociali a non perdere di vista il fatto che la lotta alla

contenzione, piuttosto che l’assunzione del ruolo di don Chisciotte - per richiamare il personaggio allegorico

appena citato – richiederebbe semmai di muoversi con una consapevolezza realistica dell’interconnessione

tra ruoli socio-istituzionali diversi, degli ostacoli da rimuovere, delle strategie interdisciplinari nel campo

simbolico della difesa dei diritti del malato, nonché del limite socio-antropologico delle proprie azioni e del

proprio potere dialogico con le istituzioni e con le altre componenti sociali.

Con riferimento alle visioni del futuro, occorre precisare che le due referenti istituzionali interpellate (regionale

e nazionale) si sono dichiarate entrambe intenzionate, per quelli che sono i rispettivi ambiti territoriali di

competenza, a (ri)lanciare l’attenzione sulla questione della contenzione a un livello istituzionale.

Prima di concludere, è significativo dare voce alle testimonianze di chi, nel torinese, ha vissuto episodi di

contenzione. Il capitolo successivo, attraverso la narrazione di questi vissuti, contribuirà a inserire l’esperienza

della contenzione dentro traiettorie biografiche che restituiranno a questa pratica un senso più ampio,

inscritto in un percorso di “cura” ben più accidentato di quanto possa essere emerso finora. La contenzione

apparirà così per quello che è: la punta di un iceberg. Come è già stato accennato nel par. 3.5.2., la serie

di disfunzioni che caratterizzano l’espediente del TSO e il complesso dei servizi territoriali, di cui i SPDC

rappresentano l’ultimo anello, conferiscono alla contenzione meccanica la consistenza di un nodo niente

affatto autonomo, che intasa il sistema dei DSM e che, nel contempo, contribuisce a rendere palesi le sue

contraddizioni interne, imponendo così una risposta immediata e non puramente formale, a tutti i livelli.

Cap. 4 - Biografie della contenzione. Una traccia

di lettura tra vissuti, rappresentazioni e ipotesi

interpretative

di Susanna Ronconi

Nel documento integrale... (pagine 130-135)

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