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La memoria negata: discontinuità rispetto al progetto basagliano di deistituzionalizzazione

Nel documento integrale... (pagine 121-125)

3.6. Fattori ostativi: cosa contribuisce a negare il diritto dei pazienti psichiatrici

3.6.1. La memoria negata: discontinuità rispetto al progetto basagliano di deistituzionalizzazione

La caratterizzazione dell’SPDC che sembra essere emersa da queste pagine, piuttosto che a quella di un vero

reparto ospedaliero, è molto più vicina all’immagine di una istituzione totale, che invece avrebbe dovuto

dissolversi con la legge 180/1978 e la chiusura degli ospedali psichiatrici. È opportuno quindi volgere lo

Capitolo 3 - La dignità negata. Sguardi esperti e multifocali sui nodi della contenzione meccanica

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“Contenere” la contenzione meccanica in Italia

sguardo a ritroso, cercando di comprendere, con il supporto degli esperti intervistati, quali effetti voluti e non

intenzionali abbia avuto nel tempo il progetto di deistituzionalizzazione del paziente psichiatrico, avviato da

Franco Basaglia e dal suo gruppo, e soprattutto cosa sia rimasto nella memoria collettiva e psichiatrica - e come

si sia tradotta nella pratica - l’intenzione di fondo di restituire a chi soffre di disagio psichico la dignità violata.

A questo livello, non ci si può esimere dal chiedersi quale ruolo abbia avuto la rivoluzione culturale in psichiatria,

operata da Franco Basaglia che ha condotto alla chiusura degli ospedali psichiatrici e alla legge 180 del 13

maggio 1978, rispetto alla delegittimazione delle pratiche coercitive nella cura dei pazienti psichiatrici.

A questo livello, le opinioni degli psichiatri intervistati divergono in modo rilevante e questa diversa

interpretazione della riforma psichiatrica varia in funzione del proprio percorso professionale, ma anche di

quale sia la propria posizione nei confronti delle pratiche coercitive. In generale chi non ha una formazione

direttamente collegata all’esperienza di Basaglia, opera in contesti o dirige SPDC in cui della contenzione

meccanica se ne fa uso. In continuità con questo vissuto, nell’esperienza che ha condotto alla chiusura degli

istituiti manicomiali questi stessi soggetti ravvedono una ingenuità di fondo che ha indotto a sopravvalutare

le probabilità di riuscire a restituire ai pazienti psichiatrici la dignità e la libertà che le pratiche coercitive degli

istituti manicomiali aveva fino ad allora sottratto loro. È il caso di Sangiorgio che, essendo uno dei massimi

esperti di ricerca svolta sull’argomento, otre a ricoprire un ruolo di rilievo nei DSM ed essere stato a lungo

Dirigente dell’SPDC di Frascati (Rm), solleva il dubbio che l’istituto del TSO, introdotto proprio dalla legge

180, abbia in qualche modo costituito un espediente per reintrodurre l’esercizio di quelle pratiche coercitive

manicomiali anche nei reparti ospedalieri. Proprio il sentimento collettivo di una riuscita umanitaria della

riforma avviata, seppure non intenzionalmente, avrebbe giustificato la cortina di silenzio che avvolge la

contenzione a livello di opinione pubblica, che si estende nella cerchia di specialisti e che persiste anche

laddove la ricerca scientifica si impegni a documentare precisamente gli effetti e gli abusi ad essa associati:

Sangiorgio: Mah, paradossalmente la cultura psichiatrica riformista, quella di direzione basagliana, ha contribuito ad oscurare il fenomeno (…) perché partendo dall’assunto che la rivoluzione basagliana avesse, come dire, sbaragliato il manicomio, non si è mai posto il problema che quel manicomio potesse rinascere o fosse rinato e si perpetuasse tra le maglie della stessa legislazione più riformata. Per cui per tutti gli anni ’80, gli anni ’90, e parte degli anni più recenti, il fenomeno della contenzione, che pure è presente e diffuso nella maggior parte dei servizi, dove spesso la gestione è affidata a persone di cultura, diciamo, riformista e basagliana, nonostante la loro origine, nonostante la loro provenienza, nonostante la loro condanna, difatti il fenomeno è stato mantenuto. Mantenuto, e non dico nascosto, perché non c’è stata nessuna forma deliberata di voler nascondere il fenomeno, ma non se ne è parlato. Perché, in qualche modo, la contenzione oggi rappresenta il fallimento di una ideologia rivoluzionaria che era quella, appunto, di Basaglia, che pensava che tutto si sarebbe risolto semplicemente chiudendo i manicomi. Difatti, questa ipotesi che la chiusura dei manicomi portasse alla fine della sopraffazione e della repressione nei confronto dei malati di mente, è un’ipotesi che risulta completamente fallita. E lo prova il fatto che non solo in Italia, ma in tutti i paesi d’Europa istituzioni chiuse, coercizione, contenzione sono un problema aperto, di cui si fa difficoltà a parlare. L’esempio più clamoroso è lo studio Eunomia49, che è uno studio del 2010, il quale ha messo in evidenza che in tutti i paesi europei – i più civili: Germania, Francia, Italia, Olanda- l’uso della contenzione è un fenomeno, come dire, diffuso. Con livelli di gravità notevoli, perché si parla del fatto che dal 30 al 50% dei pazienti in TSO, in Trattamento sanitario obbligatorio, nei reparti psichiatrici di tutta Europa, della civilissima Europa, i pazienti possano essere contenuti a letto, o messi nei cosiddetti letti-gabbia, oppure semplicemente messi in una condizione di

seclusion. Questo studio, che apparentemente ha messo in luce un grave fenomeno, lungi dall’essere stato un 49 Si tratta di un progetto europeo, coordinato dalla Germania. Il progetto EUNOMIA ha condotto uno studio analitico usando un approccio naturalistico in 12 regioni di 12 paesi europei. Sono stati raccolti dati sulle pratiche coercitive, sulle loro influenze e sui risultati. È stata attivata una metodologia qualitativa composta da due cicli di feedback con tutti i centri. In questo modo è stato possibile inviare norme cliniche comuni per le misure del trattamento coercitivo. Queste raccomandazioni hanno anche considerato una serie di problemi importanti con lo scopo di migliorare la qualità delle procedure a vantaggio del paziente. Ad esempio, le raccomandazioni per il ricovero ospedaliero coatto includevano le pre-condizioni, i professionisti/le persone coinvolte, i problemi etici e pratici in riferimento alle procedure e alle altre persone. Si spera di raggruppare le migliori pratiche cliniche per il trattamento psichiatrico coercitivo per una vasta distribuzione delle informazioni. Il report può essere visionato al seguente link: http://cordis.europa.eu/result/rcn/43448_en.html

motivo per poter aprire gli occhi alla cultura psichiatrica europea, li ha fatti chiudere. Perché se noi andiamo alla ricerca, su Internet, di quelle che sono, diciamo, le risposte, le reazioni, lo scandalo prodotto da questo studio, vedremo che il numero di studi che parlano di Eunomia e di questi risultati sono vicini allo zero. Cioè, uno studio che doveva in qualche modo mettere in condizione di consapevolezza della gravità del problema, e quindi mettere insieme, anche, gli psichiatri, le forze sociali, le forze diciamo, più disposte a una tutela dei diritti delle persone, di fatto non ha avuto nessun tipo di reazione. Ancora oggi, quando vado alla ricerca, su Internet, di articoli relativi alla ricerca Eunomia, trovo articoli che sono semplicemente ridicoli, perché parlano di tutt’altra cosa piuttosto che della contenzione, della sua diffusione e dei metodi con cui viene esercitata. Come dire: esiste una tendenza fortissima, esisteva ed esiste, a negare l’esistenza di questo fenomeno.

Lorenzo Toresini, che ha invece iniziato a lavorare nel 1971 a Trieste, sotto la direzione e la formazione di

Franco Basaglia, riconosce che la storia che ha fatto da preludio alla legge 180 esprime una forte coscienza

civile e un impegno intenso in difesa dei diritti connessi alla salute mentale. Tuttavia, è interessante notare

come anche dal punto di vista di un basagliano sia maturata la consapevolezza di come l’intervento legislativo

da solo non possa essere sufficiente a garantire al paziente psichiatrico una qualità delle cure che non preveda

la privazione della libertà. Da questo punto di vista e diradando, in modo proattivo, il pessimismo insito

nelle conclusioni di Sangiorgio, occorre puntare sulla creazione di una coscienza collettiva condivisa, in

modo tale che la cultura del no restraint non appaia come un deus ex machina, calato dall’alto, come invece,

almeno in parte, avvenne con la disposizione che imponeva la chiusura degli istituti manicomiali.

I - E dunque perché? Abbiamo già detto in parte … possiamo proseguire anche lungo questo filone …perché secondo te l’abolizione delle pratiche di contenzione meccanica, che avrebbe potuto costituire una prosecuzione naturale della 180, della riforma Basaglia, a tuo avviso non si è realizzata? Cosa è accaduto, che ha fatto sì che non …

Toresini: Eh, questa è un’analisi abbastanza interessante, su cui sarebbe interessante fare un lavoro di gruppo, per capire del perché non si sia realizzato. Mah, un po’ è successo che la legge 180 fu, in fondo, una legge top-down, no? calata dall’alto, in cui lo Stato si prese quest’impegno e lo impose agli psichiatri, che non erano pronti, non erano preparati, molti… la grande maggioranza non condivideva … La legge 180 fu … le corrispose un paradigma che era stato inventato da una minoranza di psichiatri, insomma. Poi è anche un dato di fatto insomma, che sono le minoranze che fanno la storia, no? Io sto in una città che è diventata italiana grazie a un irredentismo che fu una storia di minoranza. La città di Trieste non fu tutta irredentista, anzi. Era austriaca, Trieste, quella volta. E così è stato, insomma, no? Il Risorgimento, eccetera. Quindi, sono le minoranze che fanno la storia. La maggioranza si è adeguata pian pianino. Tutta è stata una cosa così, insomma, no? Mi ricordo subito gli anni dopo il ’78, negli anni ’80, ci furono vari tentativi di controriforma della 180, che poi sono andati avanti nel ventennio berlusconiano eccetera. E ci fu una richiesta da parte del ministro, se ben ricordo, alla SIP, la Società italiana di psichiatria, di cosa ne pensasse sulla legge 180. Quella volta quasi per caso ci fu un professore di Verona, Matteo Balestrieri, che non era uno molto avanzato, che però, siccome albergava nel suo team Michele Tansella, ecc., che era uno con cui ero in contatto, era stato influenzato, e come presidente della Sip rispose al Ministro dicendo che andava bene la legge 180. Però siamo arrivato sul filo del rasoio, insomma, sul filo di lana, quasi quasi…

I - Certo, il tentativo era di …

Toresini: Eh certo … Per cui, un conto è scrivere la legge, come quello che ho detto prima. Si scrivesse una legge sul divieto di contenere... il problema è che un conto è scrivere la legge, un conto è maturare le coscienze, e quindi maturare le pratiche. In maniera diffusa. Per cui è più efficace, io credo, diffondere un provocazione culturale e pratica, come quella del club dei SPDC, che quello di scrivere una legge. Rischia di rimanere un pezzo di carta, tante volte, una legge.

In uno suo scritto pubblicato online, con un tono forse più amaro, lo stesso Toresini, alla luce della situazione

attuale, tratteggia un bilancio dell’esperienza basagliana, per come (non) è stata recepita, decisamente

negativo, enfatizzando in particolar modo la sopravvivenza della contenzione, laddove il gesto primigenio

di Basaglia, che diede avvio alla sua straordinaria esperienza di riforma, fu precisamente quello di rifiutare

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“Contenere” la contenzione meccanica in Italia

categoricamente, una volta approdato nel 1961 all’ospedale di Gorizia, di firmare i registri in cui erano

riportati gli episodi di contenzione di quel fatidico giorno. Nonostante la tenacia di Basaglia e dei medici

che si sono ispirati al suo operato o che sono stati direttamente formati da lui e nonostante l’impegno della

Fondazione Franca e Franco Basaglia a mantenere viva la memoria, la situazione attuale suggerisce che “la

liberazione dei folli” non possa dirsi compiuta e che la contenzione meccanica costituisca uno dei residui

manicomiali più ingombranti lungo questa traiettoria.

“La riforma psichiatrica italiana, nel suo realizzarsi via via in questi 28 anni, dal 13 maggio 1978 ad oggi, ha tuttavia in una quota parte perso il suo significato e il suo valore originario: quello della liberazione dei folli. Ma non liberazione in senso astratto, o simbolico, o ancora di emancipazione vagamente economica, tramite l’inserimento lavorativo, o forme simili che tutti evidentemente oggi condividono. Si tratta della liberazione primigenia, quella dalla contenzione nei letti di ospedale, segnatamente di ospedale civile. Chi scrive non ritiene che la legge 180 – 833 sia stata un fallimento, anzi, né che ne sia fallita tout-court l’applicazione pratica. Il Mondo si sta muovendo oggi verso il superamento, lento e graduale seppure inesorabile, dei manicomi. E tutto questo è nato dal gesto primigenio di Franco Basaglia di non convalidare le contenzioni a tappeto e

per partito preso. Tuttavia, se c’è un aspetto di questa storia che non sta funzionando è proprio il fatto che,

nella stragrande maggioranza dei casi, i SPDC hanno finito per rappresentare il ricettacolo di tutte le vecchie abitudini manicomiali, rappresentandone in Italia la continuità sotto mentite spoglie” (Toresini, 2007).

C’è poi chi, come l’ex dirigente di SPDC nel torinese, Domenico Giacopini, ipotizza che la riforma di

Basaglia sia stata recepita e applicata solo selettivamente e che il progetto possa dirsi compiuto, nella sua

integrità, solo a Trieste, dove di fatto Franco Basaglia operò direttamente, contribuendo alla costruzione di

un clima socio-culturale, piuttosto che limitarsi ad applicare nelle strutture pschiatriche le proprie idee, in

qualche misura rivoluzionarie per la medicina italiana, se non mondiale. Ciò che lo psichiatra intervistato,

ora in pensione, ravvede attraverso le lenti della propria esperienza è una degenerazione della situazione

prospettata dalla legge 180, che sembra configurarsi come un mix di coercizione e violenza e che si riallaccia

al discorso sul forte nesso, esistente nella realtà fattuale, tra ricovero coatto (TSO) e contenzione.

Giacopini: Sì, poi ho visto portare al Mauriziano dei pazienti ammanettati e quella è un’altra forma di contenzione meccanica, e le dirò che dai primi anni della 180 quando erano i vigili urbani a gestire i TSO siamo poi arrivati a una sorta di degenerazione o grave disattenzione, per cui il paziente acuto che si rifiuta di andare in ospedale e che non accetta da subito le direttive che gli vengono impartite viene a volte anche ammanettato e portato a forza con le volanti della polizia. Quindi man mano che la psichiatria è uscita dalla dimensione dell’alternativa all’ospedale psichiatrico o dalle primissime esperienze della gestione di reparto aperto, la psichiatria a Torino come credo in gran parte della aree metropolitane è andata incontro a delle deformazioni e degenerazioni. I fattori che giocano poi sono diversi

I - Sui fattori poi magari ci soffermiamo… ma a proposito di quanto sta dicendo si può dire che c’è una parte della riforma basagliana che, in questo senso, non è compiuta, se ancora ci ritroviamo questa problema della contenzione?

Giacopini: Si sicuramente sì, è così. Io ho visto solo a Trieste l’applicazione della 180 per come Basaglia e i basagliani l’hanno pensata. Non ho trovato altre dimensioni di psichiatria in ambito metropolitano dove fosse applicato quel modello.

Il recupero della memoria negata della rivoluzione psichiatrica operata da Franco Basaglia e dal suo gruppo,

come anche la memoria di cosa avvenisse nei manicomi rappresenta per gli operatori del Terzo Settore

un antidoto efficace per colmare lo iato esistente tra i servizi territoriali istituzionali e il volontariato, che

spesso supplisce alle carenze del pubblico, avendo ben presente la necessità di bandire qualsiasi residuo

neomanicomiale. Il “territorio di mezzo” da co-costruire è uno spazio sociale in cui le famiglie e i pazienti

possano confidare su risorse umane e professionali che consentano di prevenire e evitare i ricoveri e di

scongiurare che lo stato di salute psichica precipiti al punto da dover essere “gestito” con la forza e la violenza:

c’è una infornata di nuovi professionisti che nemmeno sanno cos’era un manicomio, ci sono lacune gravi ed è grave non passare per la storia.

Alberto: Anche l’altra volta avevamo parlato di questa dinamica, da un lato c’è la casa e dall’altro lato

c’è l’ospedale, e in mezzo non c’è quasi più nulla, c’è Arcobaleno, però man mano che questi due poli si allontanano e non c’è nulla in mezzo aumenta la possibilità di TSO e di contenzione, non c’è nessun territorio di mezzo (…).

3.6.2. L’isolamento del no restraint: tra resistenze psichiatriche, accuse di ideologismo e

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