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La contenzione e il TSO dentro l’SPDC e l’SPDC dentro il DSM: una matrioska con

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3.4. Strumenti di (non) garanzia: dall’occultamento delle prove alla subalternità del

3.4.2. La contenzione e il TSO dentro l’SPDC e l’SPDC dentro il DSM: una matrioska con

Enrico: (…) in un certo senso sta avvenendo un grande taylorismo medico e legale, che introduce termini come quelli del minutaggio, del…

I - In che senso minutaggio?

Enrico: È un termine introdotto nelle gare d’appalto, fondamentalmente, dove il numero di operatori definiti necessari per un certo tipo di prestazione è calcolato a seconda di quanto tempo l’amministrazione pubblica pensa sia necessario dedicare a ogni utente. Ti parlo di minutaggio perché sono andato a vedermi delle gare d’appalto e ci sono proprio scritti i minuti, e ogni minuto implica un costo, capisci che… quando parlavate dell’esperienze del ‘77, io per carità avevo due anni, ma vorrei marcare la differenze che c’era tra l’unità sanitaria locale che ha un certo tipo di significato e l’azienda sanitaria locale, che è un’azienda e guarda a costo e benefici e non dico ricavo ma certo non può andar sotto. L’unità ha una dimensione più politica, l’azienda è un’azienda…

Provate a chiedere a uno psichiatra che opera in un Centro di Salute Mentale (CSM) perché al proprio

interno un colloquio con un paziente, cui fa generalmente seguito la prescrizione di psicofarmaci, duri

mediamente poco più o poco meno di 10 minuti, mentre un colloquio psichiatrico privato, a parità di

scopo, duri almeno 50 minuti. La risposta più comune sarà che nelle ASL c’è carenza del personale, che

ormai da tempo sussiste il blocco del turnover e che quindi i medici sono sottoposti a un carico di lavoro

che sarebbe incompatibile con un processo diagnostico più lungo. Nello stralcio riportato dell’intervista di

Enrico, operatore del Terzo Settore, si centra con una sola parola, minutaggio, il centro del problema. La ASL

è un’azienda che lavora al risparmio per “produrre” al minuto più diagnosi e prescrizioni farmacologiche,

senza voler o poter incidere sui centri di costo – primi tra tutti quelli deputati al personale. Quello che

non si considera è che, come nelle fabbriche, aumentare i ritmi di lavoro (numero di visite nell’unità di

tempo) diminuisce la qualità del lavoro perché contribuisce ad aumentare lo stress lavoro correlato del

personale e a diminuire esponenzialmente l’efficacia del processo (diagnostico e di guarigione dei pazienti).

Ma, soprattutto, si trascura il fatto che il processo dovrebbe essere indirizzato non a produrre merci, ma a

curare persone. Anche volendo adottare una logica utilitaristica, una diagnosi poco accurata e la conseguente

somministrazione errata di uno psicofarmaco hanno delle inevitabile retroazioni negative sull’interno sistema

del DSM, aumentando il bisogno di nuove visite nei CSM, il numero di TSO e, più in generale dei ricoveri

nei SPDC, il che volente o nolente – pur chiudendo forzosamente gli occhi di fronte ai danni per la salute

privata e pubblica - incide di rimando sui costi complessivi. Se una fabbrica taylorista-fordista, che operasse

per produrre pezzi da incastrare perfettamente con i pezzi prodotti da un’altra fabbrica, ignorasse questa

logica di interdipendenza sarebbe certamente costretta a chiudere per fallimento nel giro di poco tempo.

Le eccessive imperfezioni nell’incastro tra l’organizzazione del lavoro nei CSM e nei SPDC, soprattutto

nelle regioni che operano più contenzioni, sono dovute, nell’opinione di Toresini, a una “cultura troppo

ospedalocentrica”, che ancora lavora poco per la prevenzione degli stati acuti, fatta eccezione per alcune

Regioni in cui il CSM non lavora solo a livello ambulatoriale:

I - Quali sono gli elementi che all’interno dei DSM che in Italia non funzionano secondo gli standard che sarebbero necessari alla salute mentale? E quanto secondo lei le eventuali disfunzioni possono incidere sul ricorso nei SPDC alle pratiche di contenzione meccanica?

Toresini: Mah, insomma è abbastanza chiaro, c’è ancora una visione troppo ospedalocentrica, o troppo ospedalista, per cui, anche se l’Italia è il paese più avanzato, non è sufficiente perché è un percorso che non si sa quando inizia e non si sa quando finisce (non dovrebbe finire mai). Questa concezione è una concezione che porta al rafforzamento del potere e quindi della concezione della contenzione insomma. Più si riesce a spostare l’intervento in una fase preventiva e a ridurre il bisogno di ricorso alla riparazione del danno e meno si deve ricorrere alla contenzione, più perde senso il discorso della contenzione, anche se in mancanza di coscienza c’è

Capitolo 3 - La dignità negata. Sguardi esperti e multifocali sui nodi della contenzione meccanica

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sempre qualcuno che troverà qualcuno da contenere.

I - Come si porrebbe rispetto a quelli che considerano i SPDC come l’ultimo approdo di pazienti, dovuto cioè al mal funzionamento dei CSM, degli altri servizi territoriali che…

Toresini: È logico, se voi aveste tempo un giorno di fare un giro per i SPDC di Trieste e i CSM di Trieste, di Gorizia e di Udine, vedreste che in Friuli Venezia Giulia i CSM sono aperti 24 ore su 24, hanno posti letto e che quindi i ricorsi al’SPDC sta diventando sempre più una quota minimale perché diminuiscono i casi di acuzie.

I- Quindi…

Toresini: Nei SPDC stanno anche meno di ventiquattro ore, nei CSM ci stanno di più, la vera degenza sta nei CSM, Centri di salute mentale. Non è chiaro?

I - No no, è che mi è estranea per quella che è l’esperienza romana, che conosco di più…

Toresini: … è vero a Roma e in altri posti di Italia, ed esempio Merano, i CSM hanno funzione di ambulatorio, aperti 6/7 giorni 12h. Invece qua in Friuli sono aperti sempre 24h/24.

Di questa difformità nel funzionamento dei servizi territoriali nelle varie ragioni, che si traduce poi nella

possibilità o meno di contenere la contenzione fino al punto di rinunciarvi nei territori più virtuosi, dà

precisamente conto il documento prodotto dal Comitato Nazionale di Bioetica già citato:

“I SPDC che usano la contenzione hanno alle spalle servizi territoriali e reti sociosanitarie ‘deboli’: intendendo con ciò servizi territoriali aperti per un numero limitato di ore, che non offrono sufficienti varietà di personale, con scarsi collegamenti con altri centri e servizi della rete sociosanitaria territoriale. Inoltre, la contenzione si accompagna a una serie di altre pratiche limitative della libertà di scelta del paziente, come il sequestro di oggetti personali, l’obbligo di indossare il pigiama, la limitazione delle visite dei familiari e delle telefonate, il razionamento delle sigarette etc.

Invece, i SPDC no-restraint hanno alle spalle servizi aperti tutto il giorno o anche 24 su 24, dunque con una buona capacità di filtro delle emergenze; resa ancora più efficace dal fatto che gli operatori territoriali conoscono già la persona che arriva in crisi, e il paziente è a sua volta meno spaventato se ad accoglierlo sono operatori a loro familiari” (CNB, 2015, p. 10).

L’SPDC – almeno per quella che è la situazione ricostruita in Regione Piemonte – sembrerebbe costituire il

tipo di servizio con maggiori criticità e al suo interno la contenzione è proprio uno di quegli elementi che

contribuisce a squalificare ulteriormente la qualità delle prestazioni erogate. Continuità con gli altri servizi

territoriali e reperibilità permanente di personale specializzato risultano, dal punto di vista di Corbascio, le

richieste più diffuse tra i pazienti psichiatrici piemontesi:

I - Ecco invece sui servizi territoriali? E soprattutto sull’interfaccia tra questi e i SPDC?

Corbascio: (…) il giudizio chi più chi meno sui servizi del territorio è positivo, vengono chieste cose in più come borse lavoro e inserimenti sociali, però non male, 70% di giudizi positivi, anche su rapporto con la realtà locale. Con i SPDC arriva il disastro. I pazienti chiedono che ci siano le visite degli operatori di riferimento del CSM, per esempio, che non ci sono, non vanno in SPDC, cioè chiedono la continuità, che c’è poco. Chiedono che quando vengono ricoverati e passano dal pronto soccorso ci sia una cartella clinica informatizzata, in modo che avvenga la trasmissione dell’informazione e loro non debbano tutte le volte ricominciare… quindi continuità assistenziale, che non c’è, e quello che si decide in SPDC lo subiscono. Lo scontento principale anche dei pazienti astigiani è l’SPDC. Sulla contenzione oltre all’analisi qualitativa delle interviste abbiamo fatto anche quella quantitativa e mi sembra che venisse fuori un dato del 17% delle interviste che riportavano

episodi, non erano centrate su quello, erano centrate sui CSM, ma veniva fuori comunque, la contenzione. Quindi, i pazienti chiedono dentro il reparto la continuità con il territorio e ovviamente la contenzione è sempre vissuta negativamente, solo un caso diceva beh, tutto sommato non… e poi questa cosa della cartella informatizzata, da cui si può leggere la storia, le terapie, capire. E non c’è in gran parte d’Italia.

I - Appare quindi che l’SPDC sarebbe la sola situazione critica del sistema, ma sui servizi del territorio cosa emerge o si può dire in termini di maggior possibilità di gestire/prevenire le crisi?

Corbascio: Quei servizi che adottano un modello di intervento che prevede una presa in carico diciamo forte, con un intervento a casa, con la famiglia, un intervento su tutti quegli assi della vita delle persone, riesce in genere a prevenire i ricoveri, il modello di Giacopini, il modello che adottavamo nel programma di riabilitazione, si andava sempre a casa, e c’era una reperibilità notturna, sia durante la chiusura dell’ospedale psichiatrico sia dopo. Ecco anche questo chiedono i pazienti, la reperibilità notturna degli operatori che ti conoscono, non potrà essere sempre lo stesso ma come pool lo puoi fare, e quello lo facevamo e credo che quello abbia scongiurato una serie di accessi al pronto soccorso. Una volta il Mauriziano ce l’aveva un infermiere reperibile la notte, adesso non più. Ma se io vado adesso a dire questo ai programmatori regionali si mettono tutti a ridere!

I - Si mettono a ridere per questioni di risorse?

Corbascio: Ma perché adesso è tutto così spersonalizzato, che se vado dal grande programmatore regionale a dire che il paziente psichiatrico gioverebbe di questa cosa… che tra l’altro a Napoli (a Napoli!) c’è... sembrerei così naif… che non mi ascolterebbero nemmeno per quattro minuti! Per cui evito anche, non posso dire sempre le stese cose per 35 anni!

Rispetto al funzionamento interno dei SPDC, almeno due elementi estremamente interconnessi con

la contenzione meccanica necessitano di un approfondimento mirato: il TSO (Trattamento sanitario

obbligatorio) e la contenzione farmacologica.

Come risulta dal confronto tra i dati pubblicati negli ultimi anni dal Ministero della Salute sul numero

dei ricoveri in SPDC (Ministero della Salute 2009), il quadro del funzionamento dei servizi del DSM si

caratterizza per diversi elementi di criticità, legati all’aumento dei seguenti indicatori:

• i ricoveri in SPDC (questo dato, preso da solo, potrebbe anche dipendere dalle peggiorate condizioni

socio-economico-ambientali nella penisola italiana);

• i ricoveri ripetuti (oltre un terzo dei ricoverati);

• il numero dei trattamenti sanitari obbligatori, calcolato sul numero dei pazienti dimessi, si è attestato

negli anni considerati intorno al 4,5%.

Il TSO può essere disposto in ingresso o nei casi in cui i degenti, pur essendo entrati nell’SPDC

volontariamente, oppongano resistenza alle cure mediche che si intendono prestare e che il personale reputa

necessarie. Attraverso questa precisazione, risulta immediatamente intuibile il connubio che si viene a creare

tra TSO e contenzione farmacologica.

D’altra parte, il connubio tra pratiche coercitive di cui si fa uso nei SPDC è molto più complesso. Immobilizzare

il paziente richiede l’uso della forza e l’uso di massicce dosi di farmaci, così come il paziente, che si contorce

e urla dopo essere stato contenuto, necessita di essere calmato e sedato, di modo che contenzione fisica,

meccanica e farmacologica diventano facce della stessa medaglia. Questo connubio di violenza e coercizione

ha la funzione, nella personale rappresentazione dello staff sanitario, di far transitare progressivamente il

paziente da una sensazione di estrema potenza, anche indotta dal proprio stato alterato di coscienza, ad una

Capitolo 3 - La dignità negata. Sguardi esperti e multifocali sui nodi della contenzione meccanica

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di prostrazione e impotenza assoluta. Tra tutti gli intervistati è Sangiorgio a descrivere con maggiore efficacia

la violenza della dinamica cui fa capo l’insieme degli atti costrittivi che consentono di legare con la forza il

paziente:

I - Senta, qual è il legame esistente tra la contenzione meccanica e gli altri tipi di contenzione, soprattutto farmacologica e fisica? Cioè, è qualcosa di tutto unito, un unicum della contenzione o …?

Sangiorgio: Allora, le forme della coercizione sono diverse, spesso tutte quante cooperanti. Nel senso che un paziente che viene legato, non è che il paziente viene legato e basta. Un paziente che subisce in primo luogo una contenzione fisica, cioè una colluttazione violenta, perché per arrivare al fatto che il paziente venga legato deve essere messo nella condizione di impotenza assoluta, per cui le sue braccia, la sua testa, il suo corpo, le sue caviglie possono essere legate al letto e sia immobilizzato. E prima che una persona si lasci condurre a tutto questo, puoi ben capire che gli altri devono fare una lotta feroce, per cui c’è uno scontro, e spesso quattro, cinque, sei a uno, che devono portare… c’è una lotta fisica, una contenzione fisica. Contemporaneamente, per ridurre le resistenze del paziente, questo deve subire anche un trattamento farmacologico. Perché non è facile ridurre all’impotenza una persona agitata, soprattutto quando è convinta dalla sua forza, dalla sua storia e dalle sue esperienze di essere di fronte all’ennesimo sopruso, all’ennesima violenza, all’ennesimo trauma, all’abuso. E quindi quel paziente viene coartato fisicamente, viene trattato farmacologicamente, viene legato e poi continua a subire un trattamento farmacologico perché nel momento in cui è legato continuerà a gridare, a urlare la sua libertà, la sua volontà di essere libero, di poter andare a pisciare, di poter mangiare, di potersi togliere il sudore, di poter girarsi sul letto e… non lo potrà fare. Le varie forme di coercizione, tutte cooperano tendenzialmente a portare il soggetto agitato o violento ad una situazione di totale impotenza.

Di nuovo, si palesa in modo inequivocabile la sottrazione della dignità che si cela dietro questo esercizio

di forza e coercizione. Diventa altresì intuitivo che nel momento in cui l’intenzionalità del degente nel

decidere se entrare e se rimanere nel reparto sia negata, pressoché automaticamente aumenta la probabilità di

incorrere nel rischio di contenzione meccanica. Lo stesso Sangiorgio, sulla base della sua esperienza, traccia

in modo forte un legame, a livello pragmatico ma non normativo, tra TSO e contenzione, seppure occorra

precisare che la contenzione è operata anche in regime di ricovero volontario:

I - Senta, quindi, tornando anche al TSO, può dire che a livello informale il TSO costituisca una autorizzazione a sottoporre il paziente a pratiche coercitive?

Sangiorgio: La legge questo lo proibisce. Di fatto la pratica è diversa, nel senso che come ho avuto modo di dire, il Trattamento sanitario obbligatorio oggi non è sottoposto ad alcun vincolo di tutela effettiva da parte dell’autorità giudiziaria. Che, se deve - come dire - imporre che un detenuto venga ristretto, deve fare una serie di cose, deve valutare la situazione, nel caso del paziente di psichiatria non deve fare un bel nulla, perché l’autorità giudiziaria riceve una semplice comunicazione, la mette nel tiretto ed è finito tutto lì. Nella mia esperienza di vent’anni, ho avuto due o tre confronti piuttosto aspri con il giudice, ma mai su fatti di questo genere. Quasi sempre su balordaggini burocratiche, che riguardavano l’aver frainteso un comma piuttosto che un altro, ma mai un giudice che anche di fronte alle proteste più aspre dei paziente e dei familiari sia mai intervenuto a tutela dei loro interessi. Cioè, non gliene importa un fico secco. Cioè i pazienti psichiatrici sono considerati difatti nella legislazione italiana come persone senza diritti, nonostante la legge sul Trattamento sanitario obbligatorio faccia espresso divieto di usare il TSO come mezzo per esercitare violenza sul paziente. Questo lo dice anche in modo chiaro. Però, nonostante la legge dice sul TSO, nei fatti il TSO è semplicemente la strada maestra per poter poi sviluppare qualsiasi forma di coercizione sul paziente.

Che il legame che si istituisce tra TSO e contenzione sia un errore interpretativo, situato nella pragmatica

ospedaliera psichiatrica, piuttosto che nel piano formalizzato della norma, è confermato anche da Lorenzo

Toresini, che invita a riflettere sul fatto che il ricovero coatto non autorizzi il personale medico-infermieristico

a sottoporre il degente a forme di “tortura”.

una sorta di autorizzazione, almeno per come è vissuta dal personale ospedaliero, a sottoporre il paziente a pratiche coercitive come quelle di contenzione meccanica?

Toresini: Secondo me, questo è il frutto di cattiva interpretazione e c’è ancora, ci sono ancora pratiche coercitive… son sicuro che molti siano convinti che il TSO autorizzi la contenzione, anche se molti altri hanno contenuto e contengono persone volontarie, però appunto… e credo che anche molta magistratura e molte autorità sanitarie caschino in questo equivoco, il TSO è una brutta cosa è un po’ inevitabile, boh, insomma.. ma questo non ha niente a che vedere con la contenzione! Il TSO non autorizza la tortura, in due parole insomma.

La contenzione meccanica, come anche d’altra parte il TSO – laddove disposto durante il ricovero inizialmente

volontario - per come emerge da diverse testimonianze, è utilizzata avvalendosi di una logica perversa in cui

il rifiuto di sottoporsi alle cure farmacologiche prescritte in reparto e le successive rimostranze da parte del

paziente nei confronti delle insistenze del personale vengono gestite coercitivamente. Legare, in questo senso,

significa imporre, attraverso una atto antiterapeutico e lesivo per la dignità della persona, la volontà di curare.

E qui il volto della contenzione si fa ancora più contorto e contraddittorio.

Corbascio: Io non so quanto sia legale, la 180 è stata applicata, certo con difficoltà pensiamo alla Lombardia o al Sud, in Piemonte gli ultimi 15 anni sono stati un disastro… i giovani psichiatri in Piemonte hanno una cultura che è il farmaco, e allora non vuoi la medicina? E io ti lego. Subito dopo, non vuoi accettare il farmaco e magari metti a repentaglio la sicurezza – altro slogan pazzesco – allora io sono giustificato e ti lego.

Come emerso nel corso della trattazione, il rifiuto da parte del paziente delle cure farmacologiche prescritte,

come anche le carenze di organico o strutturali, sembrerebbero di sovente elementi invocati dal personale

sanitario a sostegno dello “stato di necessità”. Nel far ciò, si finisce con il trascurare che, come giuristi illustri

hanno sottolineato, l’art. 54 del codice penale non autorizza affatto che lo “stato di necessità” sia invocato

con una tale disinvoltura. Tutt’altro.

“Le cause di giustificazione della legittima difesa e dello stato di necessità non attribuiscono al personale sanitario alcun potere sul paziente. Si limitano a rendere eccezionalmente lecito a date condizioni un comportamento che per legge è ordinariamente illecito, sul presupposto che nel caso concreto tale comportamento sia proporzionato all’offesa da scongiurare (offesa che nel caso dello stato di necessità deve peraltro consistere in un pericolo di danno grave alla persona) e costituisca l’unico modo per mettere urgentemente in sicurezza interessi meritevoli di tutela esposti a un pericolo attuale di danno; il che, nel caso della contenzione meccanica, può verificarsi a rigore solamente quando costituisca il punto di arrivo di un percorso clinico graduale caratterizzato da una serie di interventi preliminari dissuasivi o impeditivi di risk assessment, di carattere ambientale, relazionale e farmacologico, finalizzati all’autodeterminazione del paziente, tutti messi in atto senza alcun successo” (Dodaro, 2015, pp. 328-9; corsivi nel testo).

Come traspare da questo insieme di testimonianze, il quadro della condizione del paziente psichiatrico

assume una figurazione per certi versi distinguibile da quella di altri portatori di alterità, depauperati di diritti

che la legge non prevede. Nel caso specifico, rispetto a portatori di alterità come i migranti, si tratta piuttosto

di un territorio in cui i diritti sono previsti dalla legge ma sono rispettati solo in modo parziale e discontinuo,

è uno spazio sociale in cui il paziente psichiatrico si affida, insieme ai familiari, al personale addetto alle cure,

senza però poter confidare (sempre) sul fatto che per cura non si intenda violenza, coercizione e negazione

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