Il fenomeno della contenzione rimane un argomento d’indagine complesso. Ancora poco approfondite sono
le dinamiche sociali che presuppongono la diffusione delle azioni coercitive nei servizi di cura e, in questo
scenario così opaco, il ripensamento delle politiche di assistenza e cura della salute mentale costituisce per molti
un percorso azzardato. Non giova all’analisi il dibattito che molto spesso accompagna il confronto sull’utilizzo
della contenzione: una disamina scientificamente orientata viene di solito oscurata da contrapposizioni
ideologiche all’interno della comunità degli esperti o a una riduzione della complessità del fenomeno al solo
paradigma legale-normativo. Posizioni, del resto, assolutamente legittime, ma che molto spesso gravitano
attorno al cuore del problema, senza raggiungere una piena consapevolezza della prassi assistenziale e delle
determinanti che ne indirizzano il corso. Tuttavia, ripensare la contenzione in un’ottica multidisciplinare
non significa aprire il “vaso di Pandora” della gestione della cura, evidenziarne le carenze o i comportamenti
in malafede, bensì ricostruire una fenomenologia dei servizi deputati all’assistenza, sottolineando come le
professionalità in gioco si inscrivano in pratiche routinarie seguendo dinamiche sociali trasversali ad ogni
contesto d’indagine. La ricerca empirica sul tema diventa quindi l’impegno necessario per perseguire tale
traiettoria; una ricerca che, in un’ottica comparata, iscriva il fenomeno in un contesto d’indagine più ampio,
superando il solo riferimento alla patologia e all’impegno strettamente psichiatrico.
In questo senso, le indagini e le argomentazioni ricostruite in queste pagine, sebbene non esaustive,
permettono di rappresentare il fenomeno della contenzione entro una mappa concettuale, capace non solo
di sintetizzare i risultati raggiunti in ambito nazionale e internazionale, ma anche di proporre una possibile
rappresentazione esplicativa del fenomeno (Fig. 2).
Secondo quanto emerso in precedenza, l’utilizzo dello strumento coercitivo sembra legarsi direttamente
all’emergere di ambienti assistenziali di natura conflittuale. In altre parole, la contenzione rappresenta uno
strumento diffuso per ricostituire l’equilibrio in un contesto essenzialmente anomico, in cui la cura e il
sostegno della salute mentale vengono ridotti alla gestione della pericolosità del paziente e al mantenimento
dello status quo del servizio. Se nella gestione dell’emergenza vengono oscurati i riferimenti ad un esplicito
perseguimento della pratica assistenziale, la relazione staff – paziente tende infatti a costruirsi secondo processi
abitudinari di natura informale, in cui le predisposizioni e le categorie stereotipiche d’analisi detenute dal
personale orientano l’azione verso soggetti che, tendenzialmente, non riconoscono e non accettano l’attività
contenitiva del servizio di cura.
Fig.2 – Mappa concettuale delle determinanti relative alla contenzione
Contensto socio-territoriale Ideologia restrain vs. no restrain Cultura/organizzazione di reparto Contenzione
Caratteristiche del servizio di cura
Conflitto staff-paziente
In questo senso è possibile leggere la sovrarappresentazione degli episodi di contenzione tra pazienti classificabili
secondo precise caratteristiche: età, genere, tipo di patologia, provenienza etnica e nazionale, ecc.
La conflittualità emerge, tuttavia, lungo determinanti che si pongono, in maniera più generale, al di là
dello specifico inserimento del paziente all’interno del servizio di cura. Particolarmente importante è, a
questo proposito, il contesto socio-territoriale dei bacini d’utenza. Sebbene scarsamente indagato all’interno
delle indagini sulla contenzione, alcune analisi empiriche evidenziano come la marginalità sociale degli
utenti dei servizi di cura amplifichi le situazioni di rischio legate all’emergenza psichiatrica, contribuendo,
spesso, a demandare alla pratica assistenziale un compito di controllo e contenimento della devianza. In
contesti caratterizzati da un’elevata deprivazione socio-economica, la marginalità patologica si interseca con
la marginalità sociale seguendo direttrici plurime: si moltiplicano, al di là degli stati acuti della sofferenza
mentale, fonti di malessere e disagio psicologico intercettate dai servizi istituzionali deputati all’assistenza,
si riducono le possibilità di mettere in gioco strategie di coping e più diffuso è il pericolo che il percorso
all’interno dei servizi di cura coincida con la stigmatizzazione del soggetto. Situazioni di rischio accentuate
da una mancanza di capitale sociale e reti d’assistenza informali – la cui importanza, benché non indagata
nello specifico, è da più parti evidenziata –, particolarmente incidente nei contesti di deprivazione.
Accanto alla caratterizzazione dei bacini d’utenza, sussiste la problematicità legata alle caratteristiche del
servizio di cura. Rientrano in questo ambito i fattori strutturali, le componenti ergonomiche e l’organizzazione
Capitolo 2 - L’analisi della contenzione meccanica in una prospettiva multidisciplinare
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“Contenere” la contenzione meccanica in Italiasovraffollate, con ambienti fatiscenti o sostanzialmente inadeguati rispetto allo svolgimento del servizio
concorrano nel costruire una situazione d’intervento che accentua i rischi del conflitto, sollecitando
l’escalation dell’aggressività. A ciò si aggiunge la criticità legata più propriamente alla gestione dello staff:
situazioni disfunzionali rispetto alla pratica assistenziale sono maggiormente evidenti allorché non è possibile
avvalersi di un personale numericamente adeguato al sostegno del servizio o laddove le politiche aziendali non
permettano di perseguire un percorso professionalizzante per il personale infermieristico (precarizzazione,
elevati turn over, mancanza di training specifico, ecc.).
Sebbene gli elementi evidenziati rappresentino il retroscena entro cui l’emergenza tende ad essere affrontata
attraverso pratiche di coercizione, la relazione fra situazioni di conflitto e strumenti contenitivi non ha di
per sé connotati deterministici. La catena della contenzione, come suggerito dalla ricerca empirica, può
essere spezzata grazie all’intervento di due elementi particolarmente importanti all’interno della gestione
dei servizi di cura. In primo luogo, è necessario l’affermarsi di un’ideologia no restraint, capace di espellere, a
livello deontologico, la contenzione dal panorama delle pratiche terapeutiche della professione psichiatrica.
Un’ideologia che, dall’altra parte, deve radicarsi all’interno del contesto d’azione, attraverso linee guida
e normative determinanti per la responsabilizzazione del personale e per costruire una traiettoria chiara
dell’intervento. All’interno di questa logica, la direzione no restraint deve accompagnarsi a un’organizzazione
della prassi assistenziale capace di supportare un intervento tendenzialmente estraneo alle pratiche coercitive
(cultura/organizzazione di reparto). Nonostante non vi siano ricerche empiriche capaci di evidenziare
modelli organizzativi maggiormente funzionali all’obiettivo preposto, alcune argomentazioni suggeriscono
un necessario abbandono di logiche corporative tra i vari attori deputati all’assistenza, coadiuvato da una
direzione capace sia di indirizzare la pratica, sia di rappresentare una leadership espressiva utile alla delineazione
di una cultura di reparto no restraint. La professionalizzazione e il training del personale costituiscono, in
queste condizioni organizzative, il grimaldello necessario per scardinare il fenomeno contenitivo all’interno
dei servizi di cura.
A latere di quanto riportato in questa sezione conclusiva, è opportuno delineare alcune linee di possibile
approfondimento in relazione ad aspetti scarsamente trattati in letteratura, ma che costituiscono elementi
importanti per la comprensione del fenomeno anche se non pienamente inquadrabili nella mappa concettuale
poco sopra delineata:
Relazione fra contenzione meccanica e le altre forme di contenzione. Non sempre la contenzione meccanica
viene analizzata all’interno di tutto il panorama delle misure di coercizione utilizzate per la gestione
dell’emergenza. In alcuni contesti territoriali, infatti, viene applicata in condizioni di isolamento del paziente
ed è molto comune l’associazione con la contenzione di tipo farmacologico. Riguardo a quest’ultimo punto,
non sono sempre chiare le implicazioni di tali pratica sul percorso terapeutico ed è opinabile ipotizzare che il
trattamento farmacologico coatto possa essere una seria alternativa alla contenzione meccanica;
Implicazioni relative alle privatizzazioni dei servizi di cura nel territorio italiano. Non esistono materiali
empirici capaci di evidenziare le problematiche, gli aspetti positivi e le procedure di intervento sviluppate
dai servizi di cura privati (CdC) rispetti al contesto pubblico (SPDC). Tale tematica assume ancor più
rilevanza se consideriamo come l’incisività sul territorio dell’assistenza privata assuma una distribuzione
particolarmente legata al territorio di pertinenza e alle politiche sanitarie sviluppate a livello regionale. Le
recenti indagini sulla realtà dei servizi di cura nel nostro paese (Progres e Progres-acuti – Dell’Acqua et al.
2007) sottolineano, ad esempio, come le tre regioni con il più alto numero di posti letto privati (Lazio,
Campania e Calabria) abbiano il più basso numero di posti letto pubblici. La distribuzione è simile per le
strutture pubbliche e le CdC delle macro aree del Nord (Nord-Est e Nord-Ovest), mentre nel Centro e nel
Sud l’incisività del privato è molto più elevata. A tale riguardo, «la riforma legislativa del 1978 (e i successivi
DL) non ha mai specificato il ruolo delle CdC nell’economia generale dei servizi di salute mentale; non è
infatti chiaro se il ruolo di tali strutture nei confronti delle strutture pubbliche è da considerare in un’ottica
competitiva (regolata principalmente dalle leggi di mercato della domanda-offerta), integrativa (che sottostà
nelle aree in cui vi è carenza di posti-letto pubblici» (ibidem, p. 35). Il problema assume maggiore rilevanza
laddove alle CdC sia demandata anche la gestione degli stati acuti della patologia mentale;
Delineare la “via italiana” all’intervento no restraint. È decisivo, in ultima istanza, valutare i risultati odierni
promossi dall’esperienza antipsichiatrica basagliana, gli elementi da superare (o già superati) e quelli che
ancora oggi devono essere valorizzati. È opportuno ricostruire i tipi d’intervento delle esperienze dei 21
SPDC no restrain italiani ed evidenziare come tali modalità di cura si inseriscano in programmi di gestione
della malattia mentale giuridicamente, politicamente e territorialmente orientati.
Cap. 3 - La dignità negata. Sguardi esperti e multifocali
sui nodi della contenzione meccanica
di Sergio Mauceri
Il significato di una comunità psichiatrica dovrebbe consistere nel rendere più esplicite le contraddizioni inerenti il background sociale su cui la malattia si sviluppa, in modo che il paziente riesca ad individuarle, dialettizzarle, e affrontarle. Ma come è possibile se egli è stato negato in quanto contraddizione rispetto alla norma, attraverso l’ideologia psichiatrica che lo ha definito e fissato entro limiti invalicabili? (Franco e Franca Basaglia, 1969, Introduzione alla prima edizione italiana di Asylums).