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Conclusioni: una mappa concettuale per “spiegare” la contenzione e alcune questioni

Nel documento integrale... (pagine 68-73)

Il fenomeno della contenzione rimane un argomento d’indagine complesso. Ancora poco approfondite sono

le dinamiche sociali che presuppongono la diffusione delle azioni coercitive nei servizi di cura e, in questo

scenario così opaco, il ripensamento delle politiche di assistenza e cura della salute mentale costituisce per molti

un percorso azzardato. Non giova all’analisi il dibattito che molto spesso accompagna il confronto sull’utilizzo

della contenzione: una disamina scientificamente orientata viene di solito oscurata da contrapposizioni

ideologiche all’interno della comunità degli esperti o a una riduzione della complessità del fenomeno al solo

paradigma legale-normativo. Posizioni, del resto, assolutamente legittime, ma che molto spesso gravitano

attorno al cuore del problema, senza raggiungere una piena consapevolezza della prassi assistenziale e delle

determinanti che ne indirizzano il corso. Tuttavia, ripensare la contenzione in un’ottica multidisciplinare

non significa aprire il “vaso di Pandora” della gestione della cura, evidenziarne le carenze o i comportamenti

in malafede, bensì ricostruire una fenomenologia dei servizi deputati all’assistenza, sottolineando come le

professionalità in gioco si inscrivano in pratiche routinarie seguendo dinamiche sociali trasversali ad ogni

contesto d’indagine. La ricerca empirica sul tema diventa quindi l’impegno necessario per perseguire tale

traiettoria; una ricerca che, in un’ottica comparata, iscriva il fenomeno in un contesto d’indagine più ampio,

superando il solo riferimento alla patologia e all’impegno strettamente psichiatrico.

In questo senso, le indagini e le argomentazioni ricostruite in queste pagine, sebbene non esaustive,

permettono di rappresentare il fenomeno della contenzione entro una mappa concettuale, capace non solo

di sintetizzare i risultati raggiunti in ambito nazionale e internazionale, ma anche di proporre una possibile

rappresentazione esplicativa del fenomeno (Fig. 2).

Secondo quanto emerso in precedenza, l’utilizzo dello strumento coercitivo sembra legarsi direttamente

all’emergere di ambienti assistenziali di natura conflittuale. In altre parole, la contenzione rappresenta uno

strumento diffuso per ricostituire l’equilibrio in un contesto essenzialmente anomico, in cui la cura e il

sostegno della salute mentale vengono ridotti alla gestione della pericolosità del paziente e al mantenimento

dello status quo del servizio. Se nella gestione dell’emergenza vengono oscurati i riferimenti ad un esplicito

perseguimento della pratica assistenziale, la relazione staff – paziente tende infatti a costruirsi secondo processi

abitudinari di natura informale, in cui le predisposizioni e le categorie stereotipiche d’analisi detenute dal

personale orientano l’azione verso soggetti che, tendenzialmente, non riconoscono e non accettano l’attività

contenitiva del servizio di cura.

Fig.2 – Mappa concettuale delle determinanti relative alla contenzione

Contensto socio-territoriale Ideologia restrain vs. no restrain Cultura/organizzazione di reparto Contenzione

Caratteristiche del servizio di cura

Conflitto staff-paziente

In questo senso è possibile leggere la sovrarappresentazione degli episodi di contenzione tra pazienti classificabili

secondo precise caratteristiche: età, genere, tipo di patologia, provenienza etnica e nazionale, ecc.

La conflittualità emerge, tuttavia, lungo determinanti che si pongono, in maniera più generale, al di là

dello specifico inserimento del paziente all’interno del servizio di cura. Particolarmente importante è, a

questo proposito, il contesto socio-territoriale dei bacini d’utenza. Sebbene scarsamente indagato all’interno

delle indagini sulla contenzione, alcune analisi empiriche evidenziano come la marginalità sociale degli

utenti dei servizi di cura amplifichi le situazioni di rischio legate all’emergenza psichiatrica, contribuendo,

spesso, a demandare alla pratica assistenziale un compito di controllo e contenimento della devianza. In

contesti caratterizzati da un’elevata deprivazione socio-economica, la marginalità patologica si interseca con

la marginalità sociale seguendo direttrici plurime: si moltiplicano, al di là degli stati acuti della sofferenza

mentale, fonti di malessere e disagio psicologico intercettate dai servizi istituzionali deputati all’assistenza,

si riducono le possibilità di mettere in gioco strategie di coping e più diffuso è il pericolo che il percorso

all’interno dei servizi di cura coincida con la stigmatizzazione del soggetto. Situazioni di rischio accentuate

da una mancanza di capitale sociale e reti d’assistenza informali – la cui importanza, benché non indagata

nello specifico, è da più parti evidenziata –, particolarmente incidente nei contesti di deprivazione.

Accanto alla caratterizzazione dei bacini d’utenza, sussiste la problematicità legata alle caratteristiche del

servizio di cura. Rientrano in questo ambito i fattori strutturali, le componenti ergonomiche e l’organizzazione

Capitolo 2 - L’analisi della contenzione meccanica in una prospettiva multidisciplinare

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“Contenere” la contenzione meccanica in Italia

sovraffollate, con ambienti fatiscenti o sostanzialmente inadeguati rispetto allo svolgimento del servizio

concorrano nel costruire una situazione d’intervento che accentua i rischi del conflitto, sollecitando

l’escalation dell’aggressività. A ciò si aggiunge la criticità legata più propriamente alla gestione dello staff:

situazioni disfunzionali rispetto alla pratica assistenziale sono maggiormente evidenti allorché non è possibile

avvalersi di un personale numericamente adeguato al sostegno del servizio o laddove le politiche aziendali non

permettano di perseguire un percorso professionalizzante per il personale infermieristico (precarizzazione,

elevati turn over, mancanza di training specifico, ecc.).

Sebbene gli elementi evidenziati rappresentino il retroscena entro cui l’emergenza tende ad essere affrontata

attraverso pratiche di coercizione, la relazione fra situazioni di conflitto e strumenti contenitivi non ha di

per sé connotati deterministici. La catena della contenzione, come suggerito dalla ricerca empirica, può

essere spezzata grazie all’intervento di due elementi particolarmente importanti all’interno della gestione

dei servizi di cura. In primo luogo, è necessario l’affermarsi di un’ideologia no restraint, capace di espellere, a

livello deontologico, la contenzione dal panorama delle pratiche terapeutiche della professione psichiatrica.

Un’ideologia che, dall’altra parte, deve radicarsi all’interno del contesto d’azione, attraverso linee guida

e normative determinanti per la responsabilizzazione del personale e per costruire una traiettoria chiara

dell’intervento. All’interno di questa logica, la direzione no restraint deve accompagnarsi a un’organizzazione

della prassi assistenziale capace di supportare un intervento tendenzialmente estraneo alle pratiche coercitive

(cultura/organizzazione di reparto). Nonostante non vi siano ricerche empiriche capaci di evidenziare

modelli organizzativi maggiormente funzionali all’obiettivo preposto, alcune argomentazioni suggeriscono

un necessario abbandono di logiche corporative tra i vari attori deputati all’assistenza, coadiuvato da una

direzione capace sia di indirizzare la pratica, sia di rappresentare una leadership espressiva utile alla delineazione

di una cultura di reparto no restraint. La professionalizzazione e il training del personale costituiscono, in

queste condizioni organizzative, il grimaldello necessario per scardinare il fenomeno contenitivo all’interno

dei servizi di cura.

A latere di quanto riportato in questa sezione conclusiva, è opportuno delineare alcune linee di possibile

approfondimento in relazione ad aspetti scarsamente trattati in letteratura, ma che costituiscono elementi

importanti per la comprensione del fenomeno anche se non pienamente inquadrabili nella mappa concettuale

poco sopra delineata:

Relazione fra contenzione meccanica e le altre forme di contenzione. Non sempre la contenzione meccanica

viene analizzata all’interno di tutto il panorama delle misure di coercizione utilizzate per la gestione

dell’emergenza. In alcuni contesti territoriali, infatti, viene applicata in condizioni di isolamento del paziente

ed è molto comune l’associazione con la contenzione di tipo farmacologico. Riguardo a quest’ultimo punto,

non sono sempre chiare le implicazioni di tali pratica sul percorso terapeutico ed è opinabile ipotizzare che il

trattamento farmacologico coatto possa essere una seria alternativa alla contenzione meccanica;

Implicazioni relative alle privatizzazioni dei servizi di cura nel territorio italiano. Non esistono materiali

empirici capaci di evidenziare le problematiche, gli aspetti positivi e le procedure di intervento sviluppate

dai servizi di cura privati (CdC) rispetti al contesto pubblico (SPDC). Tale tematica assume ancor più

rilevanza se consideriamo come l’incisività sul territorio dell’assistenza privata assuma una distribuzione

particolarmente legata al territorio di pertinenza e alle politiche sanitarie sviluppate a livello regionale. Le

recenti indagini sulla realtà dei servizi di cura nel nostro paese (Progres e Progres-acuti – Dell’Acqua et al.

2007) sottolineano, ad esempio, come le tre regioni con il più alto numero di posti letto privati (Lazio,

Campania e Calabria) abbiano il più basso numero di posti letto pubblici. La distribuzione è simile per le

strutture pubbliche e le CdC delle macro aree del Nord (Nord-Est e Nord-Ovest), mentre nel Centro e nel

Sud l’incisività del privato è molto più elevata. A tale riguardo, «la riforma legislativa del 1978 (e i successivi

DL) non ha mai specificato il ruolo delle CdC nell’economia generale dei servizi di salute mentale; non è

infatti chiaro se il ruolo di tali strutture nei confronti delle strutture pubbliche è da considerare in un’ottica

competitiva (regolata principalmente dalle leggi di mercato della domanda-offerta), integrativa (che sottostà

nelle aree in cui vi è carenza di posti-letto pubblici» (ibidem, p. 35). Il problema assume maggiore rilevanza

laddove alle CdC sia demandata anche la gestione degli stati acuti della patologia mentale;

Delineare la “via italiana” all’intervento no restraint. È decisivo, in ultima istanza, valutare i risultati odierni

promossi dall’esperienza antipsichiatrica basagliana, gli elementi da superare (o già superati) e quelli che

ancora oggi devono essere valorizzati. È opportuno ricostruire i tipi d’intervento delle esperienze dei 21

SPDC no restrain italiani ed evidenziare come tali modalità di cura si inseriscano in programmi di gestione

della malattia mentale giuridicamente, politicamente e territorialmente orientati.

Cap. 3 - La dignità negata. Sguardi esperti e multifocali

sui nodi della contenzione meccanica

di Sergio Mauceri

Il significato di una comunità psichiatrica dovrebbe consistere nel rendere più esplicite le contraddizioni inerenti il background sociale su cui la malattia si sviluppa, in modo che il paziente riesca ad individuarle, dialettizzarle, e affrontarle. Ma come è possibile se egli è stato negato in quanto contraddizione rispetto alla norma, attraverso l’ideologia psichiatrica che lo ha definito e fissato entro limiti invalicabili? (Franco e Franca Basaglia, 1969, Introduzione alla prima edizione italiana di Asylums).

3.1. Le coordinate del lavoro empirico svolto sulle testimonianze

Nel documento integrale... (pagine 68-73)

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