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Basi neurologiche delle emozioni e teorie eziologiche della musica

Musica ed emozion

3.1 Basi neurologiche delle emozioni e teorie eziologiche della musica

Le emozioni sono una serie di vissuti soggettivi causati dall’azione del sistema endocrino e di quello nervoso in risposta a determinate stimolazioni sensoriali e cognitive. Le emozioni, da una prospettiva evoluzionistica, hanno funzione adattiva poiché consentono di focalizzare l’attenzione su taluni input che siano particolarmente significativi, quali minacce o vantaggi del contesto sociale o ambientale, onde innescare reazioni adeguate – sia cognitive, sia fisiologiche (Ciaramelli & Di Pellegrino, 2019). Emozioni differenti dipendono da aree cerebrali differenti: osservazioni cliniche hanno dimostrato che, in linea di massima, i due emisferi cerebrali tendono ad elaborare diversamente le emozioni. Infatti, mediante la procedura di Wada, è stato rilevato che l’anestesia dell’emisfero sinistro provochi depressione e tristezza – analogamente a quanto avviene in alcune vittime di infarto cerebrale –, mentre l’anestesia all’emisfero destro provochi euforia e risa (Grimshaw & Carmel, 2014). Nello specifico:

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• l’ipotalamo e il tronco encefalico regolano i correlativi involontari e somatici delle risposte emotive, quali le modificazioni ormonali;

• il nucleus accumbens82, più in particolare, ed il corpo striato83 determinano l’allontanamento o l’avvicinamento alla sorgente sollecitazione emotiva, nonché la relativa motivazione;

• l’amigdala è profondamente implicata nell’apprendimento emotivo e nella memoria emotiva, così come è implicata nel processamento della paura e nel riconoscimento delle espressioni facciali;

• la corteccia prefrontale ventromediale84 è responsabile della valutazione affettiva, nella coordinazione della risposta emotiva e nei processi decisionali sociali o personali;

• la corteccia insulare è coinvolta nell’introcezione, ovvero nella percezione cosciente della condizione fisiologica dello stato del proprio corpo (Craig, 2002), nell’elaborazione di sensazioni viscerali e nella regolazione autonomica.

Le risposte fisiologiche alle emozioni possono variare notevolmente in forma ed intensità: in talune situazioni, ad esempio, il cuore accelera, i palmi delle mani sudano, il viso arrossisce e così via; d’altronde molti individui riescono facilmente a nascondere ciò che provano, tenendo sotto controllo tali reazioni. Le emozioni alacri – quali sorpresa, paura e rabbia – attivano il sistema nervoso simpatico, coinvolto nella pianificazione di attacco e fuga, mentre le emozioni più complesse, quali gioia e tristezza, attivano il sistema nervoso parasimpatico, coinvolto nel rilassamento del corpo e nel recupero delle energie (Watson & Breedlove, 2018). In effetti, lo stato emotivo delle persone dipende parzialmente anche dalla loro percezione del contesto sociale o ecologico, così come da taluni ricordi e vissuti emozionali di diversa natura; cionondimeno, particolari condizioni fisiche – come l’accelerazione del battito cardiaco – benché dovute a cause non legate a stimoli emozionali, possono influire sulle intensità e sulla qualità delle emozioni (Schachter

82 Area del prosencefalo basale atta al funzionamento dei meccanismi di rinforzo, ricompensa, avversione, motivazione, dipendenza, piacere, paura, effetto placebo e risata (Alvarez, 2016).

83 Denso ammasso di nuclei ubicato nel telencefalo, coinvolto nella pianificazione dei movimenti, nei funzionamenti di rinforzo e di ricompensa, nonché nella elaborazione di stimoli inattesi, nuovi o particolarmente intensi (Delgado, Li, Schiller, & Phelps, 2008).

84 Regione della corteccia prefrontale, implicata nella computazione di rischio e paura, nonché nell’inibizione delle risposte emotive e nella progettazione decisionale (Blair, 2008).

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& Singer, 1962). Secondo una nota indagine compiuta agli inizi del XXI secolo da parte dello psicologo statunitense Robert Plutchik, esistono otto emozioni fondamentali – affetto, contentezza, sorpresa, attesa, collera, disgusto, tristezza e paura – che possono sfumare verso correlativi più intensi – rispettivamente devozione, estasi, stupore, vigilanza, ira, ripugnanza, afflizione, terrore – o più deboli – rispettivamente stima appagamento, disattenzione, attenzione, fastidio, noia, pensierosità e apprensione – oppure intersecarsi fra loro, proprio come dei colori, per originare gradazioni emozionali intermedie (Plutchik, 2001). In verità, non esiste una prova definitiva che determini il numero di emozioni di base, tuttavia è stato riscontrato che almeno sette espressioni facciali – di imbarazzo, di disgusto, di preoccupazione, di tristezza, di collera, di contentezza e di sorpresa – siano riconosciute spontaneamente a livello globale (Keltner & Ekman, 2000), con qualche piccola differenza per quanto concerne la sorpresa e il disgusto, nella fattispecie, nel caso di piccole tribù non alfabetizzate (Russell, 1994).

Nella Politica, Aristotele – come molti altri filosofi antichi prima di lui, basti pensare alla Repubblica di Platone – raccomanda vigorosamente che i giovani, fra le altre attività, si dedichino allo studio della musica – in qualità sia di fruitori, sia di esecutori – poiché ritiene che quest’ultima sia mezzo indispensabile per il raggiungimento della virtù. In verità, Aristotele opera una distinzione fra modi musicali educativi e modi musicali travianti – così come la opera per gli strumenti musicali – in rapporto agli effetti emotivi che essi tendono a generare nei fruitori e, difatti, all’interno di questa disamina non si discosta molto da ben più recenti studi. Nel 2008, un gruppo di ricerca capeggiato dallo psicologo statunitense Marcel Zentner ha raccolto numerosi dati intorno alle emozioni suscitate dalla musica grazie ad una serie di test a cui sono state sottoposte migliaia di persone – alcuni studenti universitari, intere platee di concerti e simili. In linea di massima, ai partecipanti è stato domandato di seguire determinate indicazioni per fornire un giudizio circa alcune composizioni musicali. L’equipe, dunque, ha rilevato che la gamma di emozioni raccolte potesse essere suddivisa in tre categorie estetiche: una relativa al piacere, una relativa all’avversione e una relativa alla cadenza. Più specificamente, sono state delineate nove emozioni fondamentali inerenti all’ascolto della musica, corrispondenti a: stupore, ineffabilità, dolcezza, nostalgia, calma, vigore, gioia, tensione e tristezza. Peraltro, i ricercatori in questione hanno

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compiuto una rilevante disambiguazione fra emozioni utilitaristiche ed emozioni estetiche, sostenendo che queste ultime, diversamente dalle altre, non occorrano in situazioni partecipi di precisi interessi biologici o sociali, oppure di obiettivi intenzionali (Zentner, Grandjean, & Scherer, 2008); si tratta di un tema che sarà affrontato con maggiore precisione successivamente. Sul piano neurologico, plurime ricerche avanzano l’ipotesi che l’elaborazione del piacere artistico – e dunque anche musicale – avvenga mediante la coordinazione di dinamiche cognitive ed affettive a livello sensoriale primario, a livello corticale e a livello dopaminergico. Più in particolare, pare che la musica familiare ad una persona possa implementare le relative connessioni fra area tegmentale ventrale85 e nucleus accumbens, nonché fra nucleus accumbens e ipotalamo: i brividi che taluni individui avvertono durante la fruizione di uno specifico componimento verosimilmente corrispondono al rilascio di dopamina nello striato ventrale (Brattico & Pearce, 2013). In altre parole, la musica è in grado di stimolare una serie di regioni cerebrali la cui funzione primitiva è comunemente associata a bisogni biologici basilari nonostante il fatto che essa, almeno in apparenza, non rientri fra questi ultimi: si può morire di inedia, di sete, per privazione del sonno, tuttavia, plausibilmente, non si può morire di amusia. Invece, nel caso in cui un essere umano percepisca – in relazione alle proprie disposizioni, che verranno trattate nelle prossime pagine – brani partecipi di qualità avulse dalla mera piacevolezza, quali brani “tristi” o “malinconici”, oppure brani “atipici” o “nostalgici”, vengono stimolate molteplici regioni cerebrali, alcune comuni fra loro, altre differenti. Per esempio (Vuilleumier & Trost, 2015):

• le sensazioni di gioia o di forza provocate dalla musica stimolano lo striato ventrale, la corteccia motoria e i gangli della base, ovvero delle aree coinvolte nei meccanismi di ricompensa e nel movimento;

• le sensazioni nostalgiche o malinconiche provocate dalla musica stimolano l’ippocampo e le aree che interessano la vista, similmente ad un processo di ricordo; • le sensazioni di tristezza o di tensione provocate dalla musica stimolano l’amigdala, le aree sensoriali primarie e la corteccia motoria, alla stregua dell’elaborazione della paura;

85 Gruppo di neuroni dopaminergici collocato in prossimità della linea mediana sul pavimento del mesencefalo; esso è profondamente coinvolto nei sistemi di ricompensa e rafforzamento del cervello.

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• le sensazioni di stupore e novità stimolano sia le aree motorie, sia l’ippocampo, analogamente alle dinamiche della sorpresa.

A partire dalle considerazioni di Charles Darwin intorno alla musica, l’eziologia della medesima e delle emozioni da essa provocate è stata oggetto di dibattito e cagione di divergenti ipotesi. Nell’Origine dell’uomo, infatti, Darwin scrisse: «Giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità [di produrle] sono facoltà che abbiano il benché minimo utile per l’essere umano […] devono essere esse collocate fra le più misteriose di cui è dotato» (Darwin, 1871). Essenzialmente, esistono tre diverse macro-teorie che spiegano l’esistenza della musica quale fenomeno emozionale e, effettivamente, nessuna delle tre è priva di significative problematiche.

La teoria adattazionista – in fin dei conti, proposta primariamente da Darwin stesso, il quale affermò che la seconda arte86 derivasse dai richiami sessuali degli ominidi più antichi (Darwin, 1871) – sostiene che la musica esista e che coinvolga emotivamente poiché necessaria ad una serie di attività vitali umane fra cui: lo sviluppo delle abilità motorie e cognitive (Cross, 2001), lo sviluppo delle abilità sociali (Trehub, 2003), nonché l’ottimizzazione dei rituali di corteggiamento ed accoppiamento (Miller, 2000). Indubitabilmente, come riportato nel secondo capitolo, la musica potenzia notevolmente talune abilità motorie e cognitive, tuttavia ciò vale più che altro per i musicisti, mentre non vale nella stessa misura per gli individui naïve, quantunque melomani e, nondimeno, essi ovviamente non presentano significativi problemi motori o cognitivi come conseguenza della carenza di educazione musicale, specialmente in ambiti slegati dalla musica. Sul piano sociale, parimenti, la musica può rivelarsi determinante: de facto, diverse ricerche hanno raccolto prove abbastanza convincenti di ciò, si pensi alle osservazioni dell’antropologa statunitense Ellen Dissanayake, la quale ha messo in evidenza alcuni degli aspetti comuni – tonalità discendente, scansione ritmica cadenzata, melodia lineare – delle ninnenanne in svariate culture assai dissimili fra loro (Dissanayake, 2012), oppure agli esperimenti del neuroscienziato giapponese Takayuki Nakata et al., tramite i quali è stata riscontrata una considerevole

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diminuzione del cortisolo87 nella saliva dei neonati a seguito dell’ascolto del canto materno (Nakata & Trehub, 2004). Ciononostante, la musica non è comunque necessaria a fini di socialità, bensì solamente sufficiente ai medesimi, così come la socialità non può esser posta a fondamento dell’esistenza della musica tutta: esistono, certamente, un’infinità di maniere per stringere legami interpersonali che non prevedono un contributo musicale, come la conversazione, giochi di varia natura o anche le interazioni attraverso i social network. Analogamente, la composizione musicale è un atto che non presuppone obbligatoriamente che il relativo autore intenda condividere con gli altri il frutto del proprio lavoro, dacché è del tutto plausibile che certi brani vengano ideati per l’esclusivo piacere del loro ideatore. In aggiunta, non esistono ricerche che abbiano comprovato legami di alcun tipo fra deficit sociali di natura biologica e amusia, che, qualora la musica avesse davvero funzione sociale, dovrebbero – teoricamente – emergere. Infine, benché esistano innumerevoli componimenti i cui testi narrano di storie romantiche, di dichiarazioni d’amore e simili, ne esistono molti altri i cui testi trattano argomenti differenti o che, addirittura, sono privi di testo. È evidente che la musica non sia uno strumento essenziale per il corteggiamento, sebbene in alcune circostanze possa aiutare a farsi notare, così come è evidente che essa non possa essere spiegata attraverso la sfera sessuale: innanzitutto serve un notevole impiego di tempo e di energie per acquisire competenze bastevoli ad eseguire perfettamente un brano o a comporne uno e, ragionando in termini evoluzionistici, la correlazione fra musica e riproduzione sessuale non pare un adattamento biologico poi tanto conveniente; in secondo luogo, la musica da sé non può comunicare semanticamente nemmeno afferenze elementari, dunque essa viene, via via, correlata di un testo, ossia una sorta di poesia che comunichi semanticamente ciò che l’autore intende esprimere ma che, effettivamente, sciolta dalla sua collocazione ritmica-tonale, non è definibile musica. In sostanza, un brano musicale che sembri tenero ed avvolgente per l’autore potrebbe apparire freddo e banale all’ascoltatore, disattendendo il suo stesso scopo. Nel suo articolo, lo psicologo statunitense Geoffrey Miller afferma che Jimi Hendrix, ancorché sia morto a ventisette anni, abbia avuto una vita sessuale estremamente attiva e variegata, la quale in termini evoluzionistici dovrebbe essere un vantaggio

87 Ormone di tipo steroideo prodotto dalle ghiandole surrenali comunemente associato allo stress (Aglioti & Moro, 2019).

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(Miller, 2000), tuttavia risulta evidente che, nel caso del famoso chitarrista rock, come nel caso di tantissimi altri musicisti – o artisti in genere – di successo, entrano in gioco innumerevoli altri fattori significativi: un musicista famoso, quantomeno secondo un’opinione comune, ha facile accesso a ricchezza, ammirazione, leadership, rispetto e così via, che sono aspetti – da una prospettiva evoluzionistica – indubbiamente cruciali nella ricerca di un partner, molto più di quanto lo sia la musica stessa. Se Jimi Hendrix avesse suonato la sua musica per le strade di Seattle solamente e privo di notorietà, quasi certamente non avrebbe avuto ammiratrici disposte a tutto per lui. Si potrebbe contestare questa affermazione, sostenendo che la musica di Hendrix, all’epoca estremamente innovativa e ribelle, non potesse che condurlo alla ribalta, adempiendo alla sua funzione biologico-adattiva. Anche se così fosse, la musica resterebbe ugualmente uno dei tanti mezzi – e comunque estremamente contorto – per raggiungere i succitati fattori determinanti, senza considerare il fatto che l’ottenimento di fama a livello globale richiede non soltanto un bel prodotto sonoro – e nemmeno sempre – ma soprattutto tutta una serie di altri elementi essenziali che non possono essere ricondotti direttamente alla volontà dell’artista, bensì a quella dei produttori, degli imprenditori, degli editori e degli organi di mercato in genere. In altre parole, la celebrità di un autore o di un’autrice è soggetta molto più a logiche di mercato che a logiche puramente estetiche. Pure i geni che potrebbero favorire l’attitudine musicale – argomento trattato nel secondo capitolo – sono finalizzati, invero, allo sviluppo dell’udito o di simili correlativi, prima di essere utili per attività musicali, pertanto avrebbero uno scopo anche qualora non esistesse la musica. Tutto questo determina che la musica può svolgere un ruolo – ancora una volta – sufficiente ma non necessario sul piano dell’adattamento evolutivo e, allo stesso modo, che la musica non possa essere spiegata sulla base di questi stessi vantaggi.

La teoria edonistica – di cui lo scienziato cognitivo canadese Steven Pinker è convinto sostenitore – trova le proprie origini nell’idea che la musica evochi particolari stati emotivi, alla stregua di una pura tecnologia del piacere, un cocktail di droghe ricreative che ingeriamo attraverso l’orecchio per stimolare tutti insieme una massa di circuiti del piacere (Pinker, 2019). Tale concezione, suffragata dalla discrepanza netta fra – apparente – immediatezza della fruizione musicale e complessità della formazione musicale, reputa la musica una creazione

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squisitamente umana, anziché un adattamento specie-specifico. Pinker, nel 2020, ha intavolato un simpatico dibattito con il batterista statunitense Stewart Copeland, noto per essere un membro del trio rock anglo-statunitense The Police, durante il quale ha paragonato la musica alla cheesecake, in quanto entrambe sarebbero deliziose invenzioni umane atte al piacere. In tale occasione, Copeland, mostrando un video di suo nipote, ancora incapace di parlare ma perfettamente in grado di cantare Alphabet Song, rispettando scansione ritmica, tonalità e singole note, ha domandato allo scienziato come fosse possibile che il fanciullo avesse appreso spontaneamente complesse strutture musicali prima ancora di apprendere il linguaggio semantico, se la musica è davvero uno strumento finalizzato al divertissement solamente. I problemi legati alla concezione edonistica, infatti, nascono dalle stesse prove poste a favore della teoria adattazionista. In sostanza, è indubbiamente sconcertante che un “semplice” piacere del tutto fine a sé stesso – se non altro, la cheesecake è partecipe almeno di qualche sostanza nutritiva – stimoli così ampiamente il cervello, comporti così tanti benefici, venga compreso del tutto spontaneamente a livello universale88 e così via. Se si ammette che la musica sia una forma di tecnologia di fattura umana atta al puro piacere, partecipe, tuttavia, di innumerevoli caratteristiche tipiche di una disposizione biologico-evolutiva, allora si ammette pure che il cervello dei neonati sia più interessato al piacere artificiale – dacché, come comprovato da numerosi esperimenti descritti nel secondo capitolo, già dopo qualche giorno di vita, gli esseri umani possono distinguere cambiamenti di frequenza e ritmo – che all’acquisizione di elementi utili per la sopravvivenza, quali il linguaggio semantico, la piena funzionalità motoria e simili. Questa deduzione però entra in conflitto con l’esperienza sensorio-emotiva stessa del dolore poiché, se il cervello davvero desse priorità al piacere piuttosto che alla sopravvivenza, allora non si sarebbe sviluppato un così articolato – quanto gravoso – sistema di allarme in caso di danno anche solo potenziale, come l’acuto pizzicore che precede un’ustione. Si potrebbe contestare questa affermazione sostenendo che il riconoscimento di tono e ritmo abbiano una valenza adattiva dacché, per il neonato, potrebbero essere funzionali all’apprendimento dei suoni materni e familiari, onde acquisire significative informazioni intorno ad ambienti sicuri o a

88 In effetti, ciò non vale pienamente per la musica dodecafonica, argomento che verrà approfondito nell’ultimo capitolo.

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possibili minacce, però, oltre che a recuperare così – in una certa misura – la teoria adattazionista, verrebbe esclusivamente spiegato il riconoscimento tonale ma non quello ritmico – dato che il linguaggio semantico non si appoggia necessariamente ad una ciclicità regolare, parimenti agli altri rumori ecologici – e poi dovrebbero essere pure spiegate le ragioni per cui tali adattamenti interesserebbero l’udito anziché la vista, dal momento che il cervello umano impiega un terzo circa delle proprie risorse solo per elaborare gli input visivi (Watson & Breedlove, 2018) e, in generale, mediante questi ultimi calibra gran parte della percezione del mondo esterno e delle relazioni con il medesimo. Perciò, reputare la musica essere puro artificio, in ultima battuta, equivale a sostenere che il cervello umano sia partecipe di notevoli imperfezioni nell’ottimizzazione delle risorse e nella coerenza evolutiva stessa, quando invece migliaia di studi portano alla luce puntualmente le incredibili proprietà di cui è partecipe. Forse esiste un’altra strada.

La teoria della tecnologia di trasformazione è stata enunciata dal neuroscienziato statunitense Aniruddh Patel. Secondo questa teoria, la musica non è un accessorio edonistico, bensì una tecnologia con radici antiche che, avendo trasformato indelebilmente la vita umana, si è resa indispensabile, proprio come la ruota o la scrittura. In altre parole, la musica è un artificio universalmente apprezzato per le numerose proprietà e per i numerosi impieghi che può ricoprire89, dalla quale non si può tornare indietro, similmente al fuoco che, se padroneggiato, può scaldare, illuminare, cuocere e così via (Patel, 2014). Questa concezione della musica risulta certamente appassionata e più duttile della teoria edonistica, nondimeno non risolve alcuni dei problemi succitati. Altri due paragoni con la musica, proposti da Patel, difatti, riguardano l’invenzione dell’aeroplano e l’invenzione di internet: lo scienziato scrive che da quando esistono le due tecnologie in questione, l’esistenza stessa dell’umanità è stata rivoluzionata, proprio come è accaduto con la creazione della musica. Tutte queste analogie, però, sembrano essere partecipi di una difficoltà cruciale poiché nessuna di esse ha implicazioni cerebrali tanto profonde quante ne ha la musica. Effettivamente, risulta notevolmente più cogente paragonare la musica al linguaggio o alla matematica,

89 Il musicologo tedesco Marius Schneider, nel 1960, ha composto un affascinante compendio dal titolo

La musica primitiva, nel quale descrive i molteplici utilizzi della musica in diverse civiltà antiche. Stando

allo scritto in questione, la musica ha avuto un ruolo in quasi tutti i miti della creazione, nei riti funebri, nei rituali di nascita e circoncisione, nei riti stagionali, nei riti nuziali e nei riti di guarigione (Schneider M. , 1960).

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piuttosto che alle macchine, date le aree cerebrali ampiamente coinvolte per tali attività. Tutte le prove raccolte in tal senso lasciano suppore che la musica esista poiché il cervello umano è predisposto ad essa. Così come le persone sono predisposte per il linguaggio (Jackendoff, 1998) e per la matematica (Dehaene, The number sense, 2011), così sembrano predisposte – nonostante manchi un vero correlativo biologico – per la musica. In breve, è come se, kantianamente, gli individui nascessero partecipi di camere cerebrali approntate per essere arredate con precisi fenomeni: come i volatili serbano il volo nei loro geni, così gli esseri umani serbano linguaggio, musica, matematica, ecc., nei loro.

Personalmente ritengo che la chiave eziologica della musica vada ricercata nella coscienza: essa è la misteriosa disposizione che contraddistingue maggiormente l’essere umano dagli altri animali e, pur avendo una base biologica90, si modifica rispetto ad una vastissima serie di fattori soggettivi, ecologici, sociali,