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Cervello ed abilità dei musicist

Neuroscienze della musica

2.4 Cervello ed abilità dei musicist

Nelle pagine precedenti sono stati riportati alcuni dei concetti salienti concernenti la meccanica dell’udito – fisica dei suoni, sistema uditivo e vie uditive del cervello – onde gettare le basi per una dissertazione ordinata, tuttavia essi non sono ancora sufficienti poiché, come già accennato, i musicisti, presentando una conformazione del cervello differente dai non musicisti, necessitano un’analisi separata.

Suonare uno strumento, de facto, è una capacità specie-adattiva acquisibile grazie ad una serie di azioni – studio della teoria, esercizio, ascolto, creazione, ecc. –, che comporta un mutamento delle connessioni neuronali e delle attività sinaptiche, nota come neuroplasticità. In altre parole, la reiterazione di determinati pattern si perfeziona nel corso del tempo grazie alla proprietà cerebrale in questione, la quale modifica gli schemi delle sinapsi e le forme dei dendriti. Imparare a manovrare correttamente un mezzo di trasporto – oltre che non essere molto diverso dall’apprendimento di una qualsiasi tecnica pratico-musicale – è perfettamente esplicativo degli effetti della plasticità neurale: se, dapprima, spostarsi con la bicicletta o guidare un’automobile, ad esempio, corrisponde ad una serie di azioni fra loro separate e – apparentemente – innaturali, come muovere mani e piedi indipendentemente, tenere sotto controllo determinati parametri o segnali, conoscere taluni codici di comportamento, mantenere alta la concentrazione, ecc., col tempo – piuttosto velocemente – tali insiemi di operazioni convergono in attività singole, indi quelle di andare in bici o pilotare un veicolo motorizzato “semplicemente”.

La capacità di suonare correttamente almeno uno strumento musicale richiede che numerose aree del cervello lavorino all’unisono e – pleonasticamente – in armonia. Il movimento, in primis, è una funzione imprescindibile per l’esecuzione musicale – anche nella musica elettronica più automatizzata è necessario comunque sapere spostare determinati fader e potenziometri a tempo – ed essa implica cervelletto, corpo calloso, corteccia parietale posteriore e corteccia motoria.

Il cervelletto è una struttura coinvolta nella regolazione centrale del movimento (controllo, coordinazione, postura, fluidità e temporizzazione), nonché nei processi cognitivi (apprendimento procedurale, apprendimento motorio). Sito nella fossa cranica posteriore sotto agli emisferi cerebrali e collegato alla porzione

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dorsale del tronco encefalico, esso è convoluto similmente al cervello ma è composto da un materiale più grezzo tristratificato. Complessivamente, il cervelletto costituisce un decimo del peso totale del contenuto cranico ma contiene quasi la metà dei neuroni nel complesso (Spencer, 2015). Le analisi morfometriche del neurologo statunitense Gottfried Schlaug sul cervelletto, risalenti al 2001, hanno mostrato che, in media, il cervelletto dei musicisti di sesso maschile a confronto con quello dei non musicisti dello stesso sesso, presenta un volume del 5% maggiore.

Gli stessi studi sui musicisti, nondimeno, hanno preso in esame pure il corpo calloso: si tratta di una spessa commissura di assoni che mette in comunicazione i due emisferi cerebrali, permettendone il coordinamento. Negli anni Sessanta, gli psicologi statunitensi Roger Sperry e Michael Gazzaniga, a seguito di numerosi studi sulla suddivisione funzionale degli emisferi cerebrali, conclusero che il linguaggio fosse una prerogativa dell’emisfero sinistro, così come la creatività fosse prerogativa dell’emisfero destro. Questa spartizione classica è stata rivista dal neuroscienziato statunitense Gregory Hickock et al. nel 2008, grazie all’esame di alcuni soggetti sottoposti alla procedura di Wada45. L’equipe di Hickok poté notare che i partecipanti all’esperimento, il cui emisfero sinistro fosse stato sedato, non riuscivano a parlare in nessun modo, come fossero stati totalmente muti, tuttavia essi – venne scoperto – non solo erano in grado di comprendere il senso delle frasi, ma anche di discernere minuscole divergenze fra fonemi e concetti. In sostanza, a venti pazienti volontari venne chiesto di ascoltare una voce che pronunciava sostantivi ed indicare le immagini ad essi corrispondenti, fra quattro possibilità, sia prima che dopo la procedura di Wada. In caso di normalità, la percentuale di successo si aggirava intorno al 98% e, durante la procedura di Wada, intorno al 77%, dunque ben al di sopra del valore di riferimento in caso di scelte randomiche, ossia il 25%. La maggiore difficoltà emersa (il 17% delle volte) riguardava il distrattore semantico presente fra le alternative, cioè un soggetto fisicamente affine46 – dimensione,

45 Procedura ideata dal neurologo giapponese Juhn Wada negli anni Quaranta. La procedura consiste nell’inserimento di un catetere nell’arteria carotidea interna di destra e in quella di sinistra, con successiva immissione – soltanto in una delle due cannule – di amilato di sodio, un barbiturico in grado di anestetizzare rapidamente l’emisfero irrorato dal vaso in cui la sostanza è stata iniettata. Tale manovra lascia un solo emisfero attivo, in modo tale da poterne osservare le tendenze e le disposizioni. A seguito, quando il barbiturico è stato smaltito, si procede all’anestesia dell’altro emisfero per ripetere il test.

46 La spiegazione di questo fenomeno può essere trovata fra le affermazioni del neuroscienziato cognitivo francese Stanislas Dehaene che, nel suo saggio “The number sense” del 2011, illustra magistralmente come il cervello umano abbia riscontrato enormi vantaggi evolutivi nella tendenza a

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colore, classe di appartenenza e simili – a quello nominato effettivamente. In altre parole, quantunque sia possibile per i due emisferi lavorare separatamente, non sono poche le difficoltà causate dalla disfunzione totale o parziale del corpo calloso: tale condizione, in medicina, viene detta sindrome da disconnessione intraemisferica47 e, pur non affliggendo intelligenza o personalità, causa deficit della memoria a breve termine, dell’orientamento e della concentrazione; inoltre, prevedibilmente, questa condizione riduce sensibilmente la capacità di elaborazione delle informazioni che richiedono la computazione di entrambi gli emisferi, come quelle spazio-visuali (Pearce, 2019). A tal proposito, Schlaug ha osservato che una formazione musicale principiata nell’infanzia – specialmente prima dei sette anni – corrisponda ad atipiche densità e disposizioni del corpo calloso, probabilmente per via del celere avvicendamento di compiti fra l’emisfero destro e quello sinistro, come articolati pattern a due mani indipendenti fra loro. Più precisamente, le anomalie anatomiche del corpo calloso davvero curiose si trovano, in genere, nella parte anteriore del fascio di assoni che, invero, riceve ed invia input di natura motoria (Schlaug, 2001).

La corteccia parietale posteriore, prossima alla area somestesica primaria, è ampiamente involta nell’elaborazione dei movimenti volontari, o meglio, nella loro programmazione: difatti, l’essere umano è, grossomodo, capace di toccarsi la punta del naso coll’indice anche ad occhi chiusi – breve test medico sottoposto a pazienti con sospetti danni cerebrali, quali ictus o commozioni – giacché è dotato di una mappatura nervosa che localizza spazialmente sia le membra che eventuali oggetti con cui interagire. Tale facoltà viene detta propriocezione, ovvero percezione di sé e si tratta di un senso assolutamente vitale. All’interno della coinvolgente opera “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Sacks, vengono riportati alcuni esempi di persone affette da atassia – ossia progressiva perdita di coordinazione muscolare –, le quali non riescono a camminare al buio, esempli gratia, nemmeno se in piano, dovendo osservare con attenzione ogni singolo movimento compiuto, al fine di non perdere il controllo del proprio corpo e cadere per terra. In breve, racconta l’autore, è come se l’organismo di questi individui non appartenesse più a

lavorare per associazioni, piuttosto che – dato l’argomento dello scritto – in sistema binario come i computer.

47 Questa patologia sovente è stata indotta da trattamenti chirurgici per la cura di alcune tipologie di epilessia, che prevedevano la rescissione del corpo calloso (Sacks, Risvegli, 1991).

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loro, come se fosse morto: indubbiamente una condizione di forte alienazione, ardua da immaginare. Nel 2003, Schlaug, coadiuvato dal neurologo statunitense Christian Gaser, ha studiato le discrepanze tra le cortecce parietali posteriori appartenenti a non musicisti, musicisti dilettanti e musicisti professionisti, di sesso maschile e destrorsi. L’esito del raffronto ha evidenziato che il volume dell’area in questione – e di altre parti coinvolte nei processi motori – fosse ridotto nei non musicisti, leggermente più ampio nei musicisti dilettanti e notevolmente più ampio nei musicisti professionisti, dimostrando che la variazione volumetrica dipendesse dall’esercizio pratico a lungo termine e non dal codice genetico (Gaser & Schlaug, 2003).

La corteccia motoria primaria occupa il giro precentrale del cervello ed è organizzata come una mappa del lato controlaterale del corpo48, quindi una stimolazione elettrica della corteccia motoria primaria a sinistra, stimolerà la corrispondente area corporea di destra (Watson & Breedlove, 2018). La corteccia motoria primaria viene rappresentata attraverso l’homunculus motorio, il quale è partecipe di grosse labbra e grosse mani – ed altre aree comunque sproporzionate rispetto al concetto di concinnitas pensato dell’architetto genovese Leon Battista Alberti – ad indicare il fatto che alcune sezioni del corpo siano più controllabili e sviluppate di altre, basti pensare alle innumerevoli informazioni – consistenza, temperatura, dimensioni, forma e così via – che si possono ricevere dal passaggio delle dita sopra alla superficie di un oggetto, a confronto con la poca sensibilità della cute, per esempio, che ricopre l’articolazione del gomito o il polpaccio. I neuroni presenti nella zona cerebrale in questione codificano sia le contrazioni muscolari, sia movimenti specifici. Nel 2013, la neuroscienziata tedesca Hanna Gärtner et al. hanno osservato che nei pianisti la corteccia motoria primaria è notevolmente più ampia – soprattutto per quanto concerne l’area delle mani – in rapporto a quella di non musicisti di controllo. Inoltre, la loro ricerca ha messo in evidenza la stretta proporzionalità inversa sussistente fra età di inizio dello studio musicale e grandezza della corteccia. Tutto ciò, ancora una volta, indica che il cervello sia

48 Benché l’idea della mappa motoria non sia sbagliata, degli studi indicano che essa sia troppo semplificativa rispetto alla reale disposizione della corteccia: dal momento che molte parti del corpo si coordinano perfettamente con altrettante parti situate in regioni differenti, si può evincere che la corteccia motoria primaria sia complessamente stratificata (Schieber & Hibbard, 1993).

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fortemente suscettibile all’esperienza e all’addestramento – specialmente quello musicale (Gärtner, et al., 2013).

Sul piano uditivo, come affermato in precedenza, i due emisferi cerebrali intervengono in maniera differente, soprattutto durante la fruizione di musica. Se ciò è vero in generale, è ancor più vero nel caso dei musicisti, come hanno constatato gli studi dello psichiatra giapponese Takashi Ohnishi et al. risalenti al 2001.

Figura 3 – Collocazione di alcune delle aree cerebrali coinvolte nei processi in questione.

Mediante una risonanza magnetica funzionale, gli scienziati hanno osservato il cervello di musicisti e di non musicisti durante l’ascolto – per la prima volta nelle loro vite – della Aria variata alla maniera italiana in La minore, BWV 989 di Johann Sebastian Bach, notando una risposta bilaterale sia della circonvoluzione frontale mediale49, sia della circonvoluzione temporale superiore50 nella totalità dei volontari. Nei musicisti, cionondimeno, è stata distinta una chiara asimmetria con l’emisfero sinistro, in rapporto ai soggetti di controllo, la cui prevalenza era spostata verso destra. In aggiunta, è stata individuata una risposta della corteccia prefrontale

49 La circonvoluzione frontale media è associata ad alcuni problemi dell’udito (Talati & Hirsch, 2005). 50 La circonvoluzione temporale superiore è ubicata nel lobo temporale, coinvolta in numerose attività, quali udito, percezione degli stimoli facciali e linguaggio (Watson & Breedlove, 2018).

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dorsolaterale, ritenuta responsabile dell’attenzione e coinvolta nella decodifica dei suoni (Ohnishi, et al., 2001). Analogamente, i musicisti possono vantare performance migliori anche nella elaborazione spettrotemporale rapida51 come dimostrato da ulteriori esperimenti basati sulla risonanza magnetica funzionale. Più precisamente, i test del 2005 della psicologa statunitense Nadine Gaab et al. hanno verificato che i musicisti ottengono risultati ampiamente più efficienti in compiti di riproduzione di sequenze acustiche più o meno veloci e partecipi di numerose tonalità, rispetto ai non musicisti (Gaab, et al., 2005).

A pensarci bene, è abbastanza raro incontrare un individuo a cui non piaccia la musica in senso assoluto o nessuna declinazione della stessa e, ancor più raro – se non in casi puramente patologici – è incontrare una persona che non sia musicale. Con questo termine, usato ampiamente da Oliver Sacks, si intende delineare la predisposizione umana alla musica – parimenti al linguaggio (Jackendoff, 1998) – che si sostanzia nelle capacità di:

• comprendere e saper prevedere gli sviluppi delle sintassi musicali, altresì rilevare l’occorrenza dei relativi errori (note dissonanti, acciacchi ritmici, stonature, ecc.) mediante l’acquisizione di determinate grammatiche musicali della mente – questione che sarà dibattuta all’interno del terzo capitolo;

• di memorizzare, con estrema fedeltà rispetto alla controparte fattuale, non soltanto le caratteristiche più soggettive, quali le emozioni legate alla melodia, ma anche quelle più oggettive, quali l’altezza assoluta e il ritmo (Sacks, Musicofilia, 2008);

• riprodurre o concepire mentalmente tracce sonore o musicali a piacimento, in assenza di stimolazione musicale.

La letteratura scientifica è partecipe di numerosissime indagini su soggetti colpiti da patologie relative a determinate aree del cervello poiché la neuroscienza è una disciplina prevalentemente ad osservazione indiretta. In breve, di frequente è stato scoperto il fine principale di una qualche porzione del cervello giacché la relativa compromissione – quantomeno reiterata in un campione robusto di persone – ha precluso il normale svolgimento di talune azioni ma non di altre. Si può prendere in

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esame il caso – esemplificativo di una ampia lista di situazioni analoghe – di un violoncellista quasi settantenne dalla carriera encomiabile – essendosi esibito con le più importanti orchestre tedesche – affetto da amnesia totale52 dovuta ad una grave encefalite erpetica53 che ha intaccato irrimediabilmente il lobo temporale, la corteccia frontale e l’insula. Lo strumentista, a dispetto degli invalidanti deficit mnemonici, è stato in grado di superare brillantemente svariati test basati sulle abilità musicali, mostrando che la conservazione delle informazioni relative alla musica dipendano da reti cerebrali differenti rispetto a quelle coinvolte nella memoria episodica o in quella semantica (Finke, Esfahani, & Ploner, 2012). In particolare, il soggetto, in tutte le prove di discriminazione musicale in cui si è cimentato – distinguere brani famosi da brani non famosi, distinguere brani ascoltati alcune ore prima da brani non ascoltati in precedenza e compiti simili – ha ottenuto risultati sostanzialmente identici al gruppo di controllo, formato da cinque musicisti professionisti e cinque musicisti amatoriali. Plurimi studi indicano che gran parte delle dinamiche inerenti all’immagazzinamento mnemonico dei suoni abbia luogo nella corteccia temporale superiore (Song & Luo, 2017), cionondimeno altre ricerche hanno portato alla luce che percezione sensibile ed immaginazione dei suoni attivino grossomodo le stesse aree cerebrali (Halpern, Zattore, Bouffard, & Johnson, 2004), corroborando l’idea che la memoria musicale abbia luogo pure nella corteccia uditiva e in quella prefrontale. Le osservazioni della psicologa francese Séverine Samson e del neuroscienziato cognitivista canadese Robert Zatorre hanno evidenziato che liriche e musiche di un componimento vengono elaborate separatamente da parte dei lobi temporali destro e sinistro. Nel 1991, gli studiosi hanno esaminato soggetti non musicisti che avessero subito l’asportazione di uno dei lobi temporali per via di manifestazioni epilettiche farmacologicamente non trattabili, in verifiche di memoria e di riconoscimento, a confronto con un gruppo di controllo. È emerso che la lobectomia temporale destra renda quasi impossibile il

52 Più precisamente, il musicista in questione presentava amnesia anterograda e amnesia retrograda alquanto severe, nonché disfunzioni critiche della memoria a breve termine, della memoria semantica e di quella episodica: era, ad esempio, incapace di rammentare anche solo il nome di un politico o di un fiume. In aggiunta, il soggetto si dimostrava totalmente incapace di fare riferimento ad un qualunque episodio risalente all’infanzia, all’adolescenza o all’età adulta, così come di ricordarsi di un parente o di un amico, eccetto che nel caso del fratello e dell’operatore adibito alle sue cure dopo la patologia. Il violoncellista non aveva memoria di testi di canzoni popolari ascoltate da bambino o di colleghi musicisti ma aveva memoria di Beethoven ed aveva conservato la capacità di leggere – relativamente bene data la condizione – e di suonare il proprio strumento normalmente.

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riconoscimento di famose melodie in assenza di testo, così come la lobectomia temporale sinistra impedisca, il più delle volte, il riconoscimento del testo di una canzone anche nel caso in esso venga semplicemente letto. Essenzialmente, quindi, il lobo temporale destro elabora gran parte dei codici puramente musicali, mentre il lobo temporale sinistro elabora gran parte dei codici semantici (Samson & Zatorre, 1991) – prevedibilmente. I ricordi musicali – specialmente le varie timbriche – sono cruciali per lo sviluppo dell’immaginazione musicale: se infatti è possibile immaginare un colore qualsiasi mediante il cosiddetto occhio della mente (Sacks, L'occhio della mente, 2011), se, cioè, è possibile osservare mentalmente un colore a prescindere dai correlativi fisici che sarebbero imprescindibili per una eventuale riproduzione fattuale – una particolare miscela che assorba l’intero spettro cromatico della luce fatta eccezione per la precisa sfumatura pensata, una superficie dove stenderla, una metodologia di applicazione, ecc. –, non è possibile immaginare una nota senza associare ad essa anche una qualche timbrica. In sostanza, chiunque può visualizzare internamente i colori come qualità e null’altro, a prescindere dal fatto che empiricamente non abbia mai potuto osservarli se non come correlativi di oggetti di qualche tipo: la parola “rosso” probabilmente richiamerà alla mente una specifica tonalità cromatica e non un oggetto di quel colore. Contrariamente, le note non possono essere riprodotte dall’orecchio della mente al medesimo modo, ovvero come concetti totalmente disgiunti da proprietà di tipo materiale. Una nota musicale resta tale al di là della timbrica che la caratterizza in un dato momento e però, contemporaneamente, non possiede un’essenza priva di timbriche: un Sol resta tale a prescindere dal fatto che venga immaginato quale nota di pianoforte, di chitarra o di sintetizzatore, eppure non è Sol se non viene immaginato – o suonato – e, affinché lo sia, abbisogna di una qualche timbrica che lo concretizzi. Pure nel caso in cui una nota venisse immaginata partecipe di una timbrica assolutamente non riproducibile sul piano fisico, non sussisterebbero le condizioni per sostenere il raggiungimento di una “nota pura” siccome, invero, tale risultato proverrebbe dalla traduzione di un ricordo empirico della nota, in una nota caratterizzata da una tonalità astratta. Il punto è che persone sane tendono ad immaginare facilmente un colore su base mnemonica – anche se vi saranno leggere differenze di chiarezza o scurezza fra un individuo e l’altro – e sono in grado di raggiungere un accordo circa l’ampiezza di gradazioni ammissibili di quel colore, tuttavia non è possibile trovare un accordo sul

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suono “giusto” di una nota a discapito di un’altra, benché sia possibile concordare sulla frequenza esatta che connoti quel particolare tono. In altre parole, colori e note sono simili poiché:

• entrambi mutano rispetto ad uno spettro di frequenze all’interno del quale sono percepibili e, al variare della frequenza, variano anche di tipologia: i colori vanno dal rosso al violetto, mentre le note da 20 Hz a 20.000 Hz;

• entrambi possono essere percepiti mediante l’esperienza: i colori corrispondono all’elaborazione cerebrale delle rifrazioni di luce sulle superfici degli oggetti, le note corrispondono all’elaborazione cerebrale delle vibrazioni emesse da moti fisici, come la vibrazione di una corda di contrabbasso;

• entrambi sono convenzionalmente definiti per intervalli benché presentino una pressappoco illimitata gamma di sfumature, analogamente ai i numeri irrazionali. Ciononostante, colori e note restano in divergenza per le relative modalità di astrazione mentale. Spesso i musicisti definiscono la timbrica alla stregua del colore della nota ma evidentemente si tratta di una concezione problematica giacché, considerando le precedenti riflessioni sulle similitudini, sarebbe come tentare di descrivere il colore di un colore. Più che altro, gli strumenti musicali – specialmente se acustici o analogici – come accennato prima, emettono un notevole ventaglio di armoniche che caratterizzano psicoacusticamente la nota fondamentale e, non potendo l’orecchio della mente discernere, in fase di ricordo, fra tali armoniche e fondamentale, anche sul piano psichico avviene un’impropria associazione di timbro e colore: effettivamente, se si analizza una nota (afferente alla medesima ottava) suonata da strumenti diversi, con uno spettrogramma54, si rileva che l’andamento muti con picchi verso le frequenze basse o alte – ergo le armoniche –, conferendo alla fondamentale un senso di maggior acutezza, con prevalenza di picchi su frequenze alte, o di maggior morbidezza, con prevalenza di picchi su frequenze basse55. Solo alcuni sintetizzatori digitali, se propriamente programmati, sono in