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Ritmo binario e condizione pregrammaticale spinta

Origine del ritmo binario

5.2 Ritmo binario e condizione pregrammaticale spinta

Come si spiega il fatto che il ritmo binario venga considerato il fondamento primitivo del tempo musicale e contemporaneamente possa esistere una condizione pregrammaticale spinta in cui, come nel caso di Fuori piove, è possibile fare uso indistintamente di varie soluzioni strutturali non necessariamente binarie? In verità ci sono numerosi aspetti che ancora necessitano di essere approfonditi affinché la disamina possa essere considerata esaustiva, pertanto è necessario procedere secondo un ordine preciso.

Innanzitutto, scansione ritmica e tempo non si corrispondono necessariamente, benché siano comunque strettamente correlati; finora non è stata operata la dovuta distinzione in quanto, a fini dimostrativi, essa non sarebbe stata necessaria e, al contrario, avrebbe potuto rivelarsi causa di equivoci. Difatti – come già debolmente accennato – dall’unione di particolari tempi e scansioni ritmiche nascono le cosiddette poliritmie. Se il tempo musicale equivale alla forma di una misura musicale, definita secondo la quantità – il numeratore – e la durata – il denominatore – di note contenute all’interno della medesima, la scansione ritmica può riguardare un’ulteriore suddivisione delle stesse note musicali, dacché queste ultime possono, a loro volta, essere scomposte in gruppi di unità più piccole che non sono necessariamente progressioni o regressioni geometriche della nota di partenza, ma possono essere pure gruppi irregolari – terzine, quintine, settimine e così via. In altre parole, tempi sia pari che dispari possono essere ritmati in maniera binaria, ternaria, quinaria, settaria e così via, benché convenzionalmente esistano delle preferenze: frequentemente, per esempio, nel caso di tempi come il 3/

4 e le relative derivazioni, è preferibile utilizzare scansioni ternarie – e dunque, essenzialmente, tempo e scansione ritmica vanno a corrispondersi – mentre nel caso di tempi come il 4/

4 e le relative derivazioni, è più facile che vengano utilizzate scansioni binarie (Károlyi, 2000). Ciononostante, è sempre possibile utilizzare qualunque tipo di scansione all’interno qualunque tipo di tempo e, allora, questi due enti assumono significati musicali poiché il primo determina l’andamento musicale, il secondo la durata delle misure, perciò la relativa ricorsività o la ricorsività di una certa serie di misure, qualora fossero partecipi di un tempo differente ciascuna. Per esempio, una misura in 7/

8 contiene – evidentemente – l’equivalente di sette crome, ossia quattordici semicrome, o anche tre semiminime e una croma e così via,

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all’interno del canonico ritmo binario, nondimeno può pure contenere dodici crome settarie e una biscroma ternaria, poiché nel caso di scansione settaria, una semiminima binaria viene suddivisa in sette semicrome settarie e così via. In virtù di ciò, non sempre una misura può contenere un numero intero di note, quindi diviene necessario regolare il “resto” – proprio come in una divisione aritmetica – con note partecipi di lunghezze temporali differenti, scandite secondo delle formule che completino la durata complessiva della misura, alla stregua di numeri decimali.

Secondariamente, il fatto che il ritmo binario sia quello più comunemente usato in musica, nonché la base da cui derivano anche gli altri tempi e le altre scansioni – se si può scandire la musica in modo binario, allora sarà possibile anche secondo suddivisioni diverse – non presuppone che, spontaneamente, esso sia conosciuto in condizione pregrammaticale spinta. In effetti, la musica primitiva neandertaliana, in quanto codice di comunicazione protosemantica, probabilmente veniva articolata in rapporto a particolari vocalizzazioni e a particolari durate – un po’ come le parole – e però non fosse ordinata specificamente secondo una qualche scansione ritmica. In altre parole, il ritmo binario – così come le scansioni irregolari in generale – è un concetto musicale relativamente recente, certamente non innato, dovuto a motivi di efficienza performativa che, attraverso una rapida esposizione, diviene grammatica musicale con facilità. Addirittura, degli indizi di ciò possono essere raccolti pure molti secoli dopo, nei testi di Platone: il filosofo greco, difatti, spesse volte – nella Repubblica e ne Le leggi, exempli gratia – sembra oscillare fra posizioni di disprezzo e posizioni di grande considerazione nei confronti della musica dal momento che – come può essere appreso dalla commedia Le rane133 di

Aristofane – a cavallo tra il V e il IV secolo prima dell’era volgare, stava avvenendo un significativo mutamento sociale della figura del musicista. All’epoca, effettivamente, i filosofi consideravano la musica una disciplina del tutto teorica, ossia una scienza dell’armonia, oppure la consideravano una techné, dunque una pratica artigianale, fattualmente performata mediante l’utilizzo di particolari strumenti, ma estremamente di rado essa veniva considerata come la compenetrazione di ambedue le prospettive in questione134 (Fubini, L'estetica

133 Fra i personaggi di questa opera, spiccano Euripide, paradigma di melomane avanguardista – per l’epoca – ed Eschilo, paradigma di melomane tradizionale, dalla cui contrapposizione si può evincere un’idea piuttosto definita dei cambiamenti in divenire al tempo.

134 Peraltro, questa antinomia è pure riscontrabile nelle lettere di Guido d’Arezzo, il quale era solito definire come bestie i cantori del tempo, contrapposti ai veri teorici della musica (Fubini, L'estetica

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musicale dall'antichità al settecento, 2002). Non a caso, i frammenti e i testi dei filosofi antichi, specialmente greci, sono partecipi di innumerevoli riflessioni intorno alle regole teoriche della musica e alle relative qualità morali, quantunque, introno alla musica, essi contengano solo esigue testimonianze storiche nonché scarsi aneddoti, sebbene questi ultimi, in altri campi, non manchino affatto, tutt’altro: si pensi soltanto ai numerosi esempi storici riportati nella Politica di Aristotele (Aristotele, Politica, 2002). Nella fattispecie, l’atteggiamento negativo di Platone nei confronti della pratica musicale trova origine, verosimilmente, nell’introduzione di nette scansioni ritmiche, funzionali soprattutto alla musica teatrale, di cui il filosofo sospetta profondamente, in quanto conservatore e sostenitore della teoria musicale come scienza divina. In altre parole, la musica omerico-pitagorica, basata sul cosiddetto tetracordo, siccome finalizzata all’accompagnamento della recitazione di poesie, non era partecipe di scansione ritmica ma solo di velocità di esecuzione, in accordo con l’enfasi e con la metrica delle liriche seguite strumentalmente. Credibilmente, ciò è indice del fatto che la musica preplatonica si trovasse ad uno stato piuttosto primitivo – argomento per altro avvalorato dalla modesta gamma di strumenti del tempo, riconducibili in sostanza alla lira e aulós – siccome il modus ludendi in questione, timido ed esitante, prevedeva lo spostamento della melodia a piccoli intervalli, onde tornare poi sulla nota principale, quasi come se gli esecutori fossero timorosi di smarrirsi tra i suoni135.

La condizione pregrammaticale spinta, pertanto, è una condizione che precede la “scoperta” del ritmo in sé, quantunque sia partecipe di velocità e di durata fra le note. In altre parole, i componimenti concepiti in condizione pregrammaticale spinta sono sprovvisti di sintassi musicali definite, nondimeno sono segno di frammenti di grammatica carpiti in qualche modo, precedentemente. È lecito supporre, conseguentemente, che un individuo in condizione pregrammaticale spinta, il quale si approcci alla dimensione ritmica della musica, privo di altri stimoli

musicale dall'antichità al settecento, 2002), così come nelle divergenze teoretiche che emergono dal confronto di musica illuminista e musica romantica (Di Benedetto, 1991).

135 Solo in seguito, grazie a Timoteo ed Euripide, raffinati drammaturgi e musicisti, sono state attuate quelle che Aristofane, dalle visioni più conservatrici, ha definito derisoriamente futuristiche riforme

musicali, poiché basate su macchinosi frazionamenti del tetracordo, che hanno dato origine

soprattutto a cromatismi ed enarmonie. Il cromatismo si erige, di regola, sul tetracordo costituito da un intervallo di terza minore e da due semitoni; diversamente, l’enarmonia si erige su un tetracordo suddiviso in un intervallo di terza maggiore e due microtoni (Rognoni, 1966).

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esterni, per ragioni di efficienza stessa, incominci il proprio percorso dalla scansione binaria – assestando colpi alternatamente con una mano e poi con l’altra – per poi, successivamente, prendere consapevolezza, evolvendo da questa basilare concezione, di altre possibili scansioni ritmiche in base diversa da due.

Storicamente, la necessità di definire in modo esatto il ritmo di una composizione può essere collegata alla nascita della polifonia avvenuta intorno al X secolo. La polifonia, infatti, in quanto intreccio di due o più linee musicali relativamente indipendenti fra loro, nondimeno partecipi di elementi contrappuntistici ed armonici, oltre che melodici (Latham, 2002), cioè verticali oltre che orizzontali a livello di notazione, presuppone una significativa coordinazione fra gli esecutori, affinché la performance corrisponda all’architettura sonora ideata dall’autore. In precedenza, indicativamente, sono state riportate nelle pagine di notazione musicale alcune indicazioni ritmiche estremamente soggettive, tuttavia, siccome sprovviste di convenzionalità; in altre parole, quasi fino al basso medioevo, gli esecutori hanno cercato di seguire un ritmo in base alla loro concezione della trama semantica delle varie opere, oppure rispetto alla declamazione delle liriche da parte di un altro interprete, similmente alla maniera omerico-pitagorica, descritta precedentemente. Sono assai rilevanti, a tal proposito, le riflessioni dello storico fiammingo Hendrik van der Werf, il quale ha evidenziato come il metodo più sicuro di stabilire l’andamento di un componimento trovadorico consista nel rispetto del ritmo di declamazione delle liriche del medesimo (van der Werf, 1967). Con la polifonia e le relative esigenze di notazione, invece, sono nati i primi segni di indicazione ritmica: ciò significa, plausibilmente, che a livello concettuale già fossero ben conosciute certe forme di scansione, nondimeno che non venissero utilizzate praticamente ma soltanto studiate teoreticamente. Probabilmente il ritmo binario – come matematica e scrittura, per quanto rudimentali fossero tali enti – è stato scoperto dai primi homo sapiens e studiato e praticato – per svariate motivazioni – fintantoché sono state immaginate anche altre forme di scansione ritmica. Tale supposizione è avvalorata, peraltro, da alcuni studi che affrontano il tema del ritmo in chiave prosociale: è stato dimostrato, appunto, che performance incentrate sul ritmo abbiano svariati effetti benefici di natura sociale quali, exempli gratia, una maggiore attitudine alla collaborazione. In particolare, nel 2011 sono state sottoposte ad un test di condizionamento psicosociale diciotto donne prive di

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formazione musicale, suddivise in due gruppi. A seguito di alcune rilevazioni effettuate mediante risonanza magnetica funzionale sui soggetti nell’atto di tamburellare un particolare ritmo sia sincronicamente, sia scoordinatamente, il primo dei due gruppi ha dovuto tamburellare in sincrono con uno sperimentatore, mentre il secondo gruppo ha dovuto tamburellare in maniera desincronizzata con un altro sperimentatore. Alla fine della prova, gli sperimentatori hanno volontariamente finto di rovesciare delle matite a terra, così da poter valutare l’aiuto – sulla base del numero di matite raccolte da parte delle volontarie – ricevuto a seguito della performance. I dati raccolti mostrano che la sincronizzazione ritmica degli individui coinvolti – sia partecipanti che sperimentatore – favorisce la tendenza ad aiutare spontaneamente gli altri; inoltre, ciò è segno del fatto che il tambureggiamento sia una pratica antica quanto la specie umana, giustappunto, utile per l’implementazione e la continuazione della compagine sociale (Kokal, Engel, & Kirschner, 2011). Nonostante ciò, nessuna scansione ritmica ha ricoperto un ruolo veramente fondamentale sul piano performativo per svariati secoli, perché sostanzialmente superflua per una apprezzabile esecuzione musicale: se la funzione della musica corrisponde all’accompagnamento di altre discipline, più che altro, ed essa viene architettata in maniera puramente melodica – cioè orizzontale – o viene improvvisata, allora una stringente ricorsività ritmica appare certamente trascurabile, dacché la sincronia non è così fondamentale. Guido d’Arezzo, infatti, sebbene disprezzasse i musicisti sprovvisti di conoscenza teorica della musica, altrettanto disdegnava, ad esempio, gli scritti di Boezio, giacché li reputava di esclusivo interesse filosofico e privi di nozioni attuabili esecutivamente (Fubini, L'estetica musicale dall'antichità al settecento, 2002): si tratta del medesimo problema già presente nella Grecia ellenica – e mai del tutto risolto – che divide la musica in due filoni distinti, quello dell’ente matematico ed etico in contrapposizione a quello dell’ente pratico.

Le prime composizioni polifoniche – impiegate prevalentemente in ambito religioso – erano partecipi, oltre che di indicazioni acustiche, giustappunto, anche di indicazioni ritmiche – caratteristica assolutamente innovativa – dai tratti palesemente speculativi. Il tempo sacro occidentale maggiormente utilizzato, in effetti, era il tempo in 9/8 dal momento che esso veniva considerato rappresentativo della dottrina della trinità, siccome tempo ternario, ulteriormente suddivisibile in

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tre movimenti e, poiché all’epoca il tempo non veniva indicato con una frazione, bensì con simboli distintivi di tempus e prolatio, ovvero di tempo e di scansione ritmica, esso era esemplificato da un cerchio – il tempus perfectum – al cui centro si trovava un punto – la prolatio perfecta – a rappresentazione figurativa della perfezione, ossia del dio trino ed uno. Il ritmo in 3/4, differentemente, essendo concepito come ternario a livello di tempo ma non a livello di scansione, veniva considerato partecipe di tempus perfectum e prolatio imperfecta, perciò indicato con un cerchio vuoto. Il ritmo in 6/8 veniva indicato con un semicerchio ed un punto, siccome partecipe di tempus imperfectum – non suddivisibile in tre gruppi da tre movimenti – e di prolatio perfecta – poiché suddivisibile in tre gruppi benché di due movimenti ciascuno. Un semicerchio soltanto, esemplificativo di tempus imperfectus e di prolatio imperfecta - siccome completamente binario, sia a livello di tempo, sia a livello di scansione – indicava, infine, il ritmo binario, più precisamente il tempo in 2/4 (Arnese, 1983).

Figura 13 – Da destra verso sinistra, rispettivamente i simboli di: tempus perfectum e prolatio perfecta;

tempus perfectum e prolatio imperfecta; tempus imperfectum e prolatio perfecta; tempus imperfectum e prolatio imperfecta.