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Regole grammaticali mentali della musica

4.4 Le grammatiche del timbro

Dall’ultima considerazione emerge una caratteristica propria del processo di decodifica della musica alquanto importante e intorno alla quale sembra necessario soffermarsi più meticolosamente rispetto a quanto sia stato fatto sinora. La timbrica – che, formalmente, può essere definita come la qualità del suono originata da un mezzo particolare di produzione di note musicali – infatti, non solo è l’unico veicolo pratico esistente per la trasmissione della musica, ma riesce – come evidenziato, peraltro, dal raffronto fra pianoforte e martellate – pure a modificarne l’enfasi, la tendenza emotiva, inoltre stimola modalità di decodifica differenti. La mia ipotesi è, come anticipato, che la timbrica sia decodificata alla stregua delle note, ossia attraverso specifiche grammatiche acquisite empiricamente, poiché – a meno che la musica non sia letta asetticamente attraverso lo spartito – essa è la sostanza fisica a cui le note danno forma e, quindi, l’unica esperienza sensibile e psicologica dell’ascolto della musica, sia che avvenga con le orecchie, sia che avvenga con le orecchie della mente. In maniera spontanea, gli esseri umani tendono ad attribuire ad un particolare suono, oltre che a particolari scale tonali, determinate caratteristiche extramusicali: nell’era digitale, per esempio, il suono di un liuto o una ghironda tende a rimandare ad un’atmosfera medievale, mentre il suono di una spinetta o di un clavicembalo tende a rimandare ad un’atmosfera settecentesca; parimenti, una linea strumentale rock, originariamente eseguita con chitarre distorte e batterie insistenti, verosimilmente, sembrerà solenne ed elegante qualora venisse eseguita con una sezione di viole. Storicamente, Haendel parrebbe il primo ad aver associato ad ogni traccia dello spartito, un preciso strumento musicale, quasi come se prima ai compositori non interessassero le tipologie di strumenti adoperate per eseguire composizioni o, addirittura, non avessero proprio la consapevolezza della differenza di timbrica (Copland, 1970). Certamente è improbabile che nessun artista prima del XVII secolo abbia sentito l’esigenza di articolare con meticolosità ogni aspetto della propria opera, dunque verrebbe da pensare che fino al periodo barocco non esistesse affatto la consapevolezza delle diverse proprietà sintattiche trasmissibili mediante strumenti differenti ma, anche questa possibilità non è reputabile tanto più ragionevole della premessa. C’è pure un altro problema non indifferente, cioè che non tutti gli strumenti possano eseguire qualunque linea musicale indicata in uno spartito così com’è, in quanto oltre all’estensione dello

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spettro di frequenza coperto dal singolo strumento, le modalità stesse di performance rendono possibile o meno la fedele osservanza della partitura. Ad esempio, il pianoforte, essendo un cordofono a percussione, ossia uno strumento musicale in grado di riprodurre un suono attraverso un singolo movimento – ergo la pressione del dito sopra un tasto120 – permette l’esecuzione di un accordo di dieci note – quante sono le dita di due mani – così come l’esecuzione sincronica di una linea ritmica bassa e di una linea solista più alta; diversamente, strumenti a corde come chitarre o violini – come discusso in precedenza – emettendo suoni attraverso due movimenti – ossia la pressione sulle corde in un determinato punto del manico con la mano sinistra, sincronizzata con la vibrazione della corda stessa, causata dalla pennata o dal passaggio dell’archetto con la mano destra, nel caso di un musicista destrorso – non possono eseguire che accordi partecipi di un numero inferiore di note rispetto al pianoforte121, così come non possono eseguire contemporaneamente due linee strumentali distinte. A maggior ragione, conseguentemente, come si spiega la povertà di indicazioni nelle partiture precedenti alla corrente barocca? Senz’altro c’è bisogno di contestualizzare i periodi per trovare una risposta cogente. Con l’avvento delle tecniche di ripresa sonora prima e con la massiva comunicazione mediatica poi, difatti, la fruizione della musica è aumentata esponenzialmente, rendendo quest’ultima un fenomeno quotidiano quasi per tutti. Al di là della pura fruizione – radiofonica, ad esempio – della musica, il cinema, la televisione ed internet – canali di film, pubblicità, documentari, ecc. – hanno puntualmente collegato determinati stili e determinate timbriche a precisi contesti visivi e a tutte le relative declinazioni. La musica, a pensarci bene, ha accompagnato le pellicole mute, giustappunto, prima ancora dei dialoghi fra attori e attrici. In altre parole, dalla metà del XX secolo, la separazione fra musica ed informazioni extramusicali – visive, sociali, storiche, geografiche e così via – si è enormemente assottigliata. Una differenza cruciale che può essere evinta rispetto al passato, pertanto, riguarda proprio la significativa influenza della rivoluzione mediatica sugli individui e la valenza che la musica ha assunto. Precedentemente, le opere e le operette musicali,

120 I tasti del pianoforte o di altri cordofoni a percussione, se premuti, innescano il movimento di un martelletto che va a colpire una specifica corda, la quale, vibrando, emette una nota.

121 Più in particolare, anche con un accordo barré, ossia che sfrutta la pressione di un solo dito per premere più corde contemporaneamente, una chitarra non può riprodurre un accordo partecipe di più sei note alla volta – eccetto nel caso di chitarra a sette o più corde – pur venendo suonata in tapping, così come il violino non può mettere in vibrazione più di quattro corde – ossia note – in un intervallo di tempo piuttosto rapido.

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quantunque associassero particolari contesti a particolari modalità estetiche, non soltanto venivano rivolte ad un pubblico piuttosto circoscritto per ragioni economiche e di ceto ma, indubitabilmente, quest’ultimo riceveva un’esposizione nettamente meno persistente rispetto agli individui vissuti dagli anni Cinquanta del XX secolo in poi. Se, allora, da un lato è facile comprendere come mai aspetti extramusicali siano stati sussunti dalla timbrica – e pure da talune scale e da taluni modi –, d’altro canto la questione resta ancora irrisolta poiché la rivoluzione digitale non copre tutto l’arco di tempo che interessa il fenomeno in questione e comunque, quella dell’esposizione a musica e video in contemporanea, sembrerebbe una motivazione, da sé, un po’ troppo superficiale.

Ritengo che, nel corso del tempo, sicuramente siano cambiate le modalità di concezione della timbrica, nonché le modalità di apprendimento della grammatica della timbrica sulla base del contesto sociale e mediatico, nondimeno che sia sempre esistita una grammatica in grado di far apprezzare le svariate caratteristiche di cui il timbro può essere reso partecipe. In primo luogo, a suggerire ciò, vi sono numerosi risconti dell’esistenza un’ampia gamma di strumenti musicali – flauti, tamburi, campane, ecc. – già nell’antica Babilonia122 (Furlani, 1927), così come ve ne sono praticamente per tutte le epoche successive: penso che l’unica giustificazione possibile per lo sforzo creativo ed ingegneristico di vari strumenti musicali corrisponda alla capacità umana di distinguere le timbriche, non soltanto sulla base dello spettro di frequenze coperto dagli strumenti, ma proprio sulle caratteristiche grammatiche ed emozionali che si distinguono da uno strumento all’altro. Difatti, è lecito supporre che se timbriche differenti – o spettri di frequenza differenti – veicolassero le medesime emozioni, allora non sarebbero stati ideati così tanti strumenti nel corso della storia. Qualora si volesse sostenere l’ipotesi che più strumenti musicali siano stati ideati unicamente al fine di spartire con efficienza gli intervalli spettrali, si incontrerebbero insormontabili problematiche: innanzitutto, poiché – basti pensare a violino e viola, oppure a vibrafono e glockenspiel – per ottenere range di frequenza dissimili è sufficiente cambiare le dimensioni delle componenti di risonanza degli strumenti, anziché idearne di completamente differenti e poiché, secondariamente, la volontà di distinguere con nettezza due o

122 Vi sono prove che dimostrano la presenza di strumenti musicali pure in epoche assai precedenti, come discusso nel primo capitolo.

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più linee strumentali denota necessariamente non soltanto un fine estetico, ma anche la capacità di percepire con chiarezza due tracce sonore che si sostengano reciprocamente sia per motivi di ventaglio spettrale, sia per motivi di timbrica stessa. Effettivamente, nell’ottavo libro della Politica, Aristotele oltre a descrivere le modalità di esecuzione musicale mediante gli strumenti più comuni al tempo, indica i contesti in cui taluni strumenti siano più adatti rispetto ad altri, affermando, exempli gratia, che il flauto – o meglio l’aulós (Mila, 1993) – sia proprio dei riti orgiastici, così come la cetra si addica di più all’otium virtuoso (Aristotele, Politica Vol. II, 2015). In pratica, il fatto che nelle partiture precedenti ad Haendel non fossero riportati gli strumenti individuati dall’autore per ciascuna linea strumentale, non presuppone che mancasse la consapevolezza della timbrica dei singoli strumenti nei musicisti, bensì che le metodologie di notazione fossero ancora arretrate rispetto al pentagramma: in effetti, la notazione quadrata123 non prevedeva nemmeno una accurata segnatura ritmica, nondimeno ciò non significa che non esistessero concezioni ritmiche nei musicisti del tempo. Si prenda come esempio la ballata Se la face ay pale del compositore fiammingo Guillaume Dufay, risalente alla prima metà

del XV secolo: si tratta di un coro per messa, composto da più sezioni tonali che si armonizzano fra loro, accompagnate da strumenti musicali. Primariamente, il ritmo è elemento essenziale sia per le varie sezioni corali, sia per il concetto di armonia stesso: senza unisono – ossia simultaneità della altezza tonale e, soprattutto, della cadenza – non potrebbe, de facto, esistere performance corale, quantunque priva di armonia; secondariamente, acciocché due sezioni strumentali o vocali si armonizzino, è necessario che entrambe seguano un tempo identico, altrimenti l’esecuzione si rivelerebbe un cacofonico agglomerato di note. In altre parole, il fatto che il ritmo non venga tracciato con rigorosità nella notazione dell’epoca, non significa che non fosse conosciuto o rispettato dai musicisti, specialmente in senso pratico e – ancor più – grammaticale. Altresì, il discorso può valere per la timbrica: la presenza di composizioni polifoniche – oltre che di svariate tipologie di strumenti musicali – dagli albori della civiltà è segno del fatto che esistesse una chiara differenziazione di timbri musicali, ma non una debita segnatura che ne desse indicazione univoca. Come nel caso dei numeri e della scrittura, sono occorsi secoli

123 La notazione quadrata – o notazione vaticana – è una tipologia di partitura utilizzata prevalentemente per la trascrizione dei canti gregoriani.

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affinché venissero ideate delle notazioni altamente efficienti, nondimeno fossero stati già eseguiti calcoli assai complessi e fossero state redatte opere letterarie di raffinata levatura, è lecito supporre che anche per la musica siano occorsi secoli di tentativi prima di trovare la maniera più idonea per la relativa trascrizione su carta, sebbene già fossero state concepiti componimenti estremamente elaborati, in quanto gli esseri umani fossero dotati delle medesime grammatiche musicali che sono presenti anche nel XXI secolo, al di là dei processi di acquisizione delle medesime e dell’evoluzione stilistica.

Se la problematica di natura storica sembra risolta, d’altro canto ancora non sono emerse le dinamiche attraverso cui le timbriche musicali assumano valenze extramusicali e la relativa eziologia. Lo psicologo statunitense Michael Tomasello ha enunciato una teoria circa l’origine della comunicazione umana basata su osservazioni empiriche, sostenendo che durante lo sviluppo infantile avvenga un passaggio da interazione diadica – alternativamente con oggetti o con altri individui – ad interazione triadica – cioè partecipe di sintonizzazione affettiva e contemporaneo riconoscimento di agenti con i quali sintonizzarsi (Tomasello, Le origini della comunicazione umana, 2009). Da questa teoria, a sua volta, l’estetologo italiano Fabrizio Desideri ha elaborato una versatile concezione dello sviluppo delle esperienze estetiche, la quale si fonda sul rapporto di familiarità che sussiste fra l’infante e i genitori, soprattutto fra l’infante e la madre, connotato dalla ripetitività di talune formule.

Forme di protoesperienza estetica che generano attese e anticipazioni nei confronti dell’ambiente. Attese generate dal familiarizzarsi attenzionale e postattenzionale con oggetti prossimali e distali mediante le loro proprietà estetiche di basso livello: […] suoni ritmicamente ripetuti, melodie elementari, vocalizzazioni esagerate […] (Desideri, Origine dell'estetico, 2018).

Secondo Desideri, in sostanza, nelle prime fasi di vita dell’essere umano, le esperienze collegate al contesto familiare – indi ad una condizione di sicurezza – assumono una valenza protoestetica; in questo modo, ciò che è familiare veicola una sensazione di piacevolezza e dunque viene ricercato da parte dei neonati. Invero, dinamiche del genere in passato avrebbero pure potuto garantire un importante

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vantaggio evolutivo dacché, agendo alla stregua di un sistema di ricompensa capace di rinforzare la tendenza a cercare ciò che è sicuro, avrebbero aumentato le probabilità di sopravvivenza dell’infante. Certamente, tale predisposizione ha comporta svariati benefici pure nel XXI secolo. In altre parole, come già discusso all’interno del terzo capitolo, la musica e, nondimeno, l’esperienza estetica condividono un retaggio evolutivo che è stato ulteriormente sviluppato grazie alla coscienza, pertanto gli esseri umani ricevono informazioni circa ciò che è sicuro e ciò che non lo è fin dai primi giorni di vita, potendo incominciare, altrettanto presto, ad acquisire una disposizione estetica come conseguenza. Giustappunto, il concetto di familiarizzazione succitato sembrerebbe piuttosto simile a quello di frequentazione. Questo significa che talune timbriche, in virtù dell’affinità con le caratteristiche dell’ambiente domestico, in virtù delle sintassi musicali che sostanziano, in virtù della loro reiterazione nel tempo e così via, assumono valenza extramusicale e di lì, per allontanamento o per avvicinamento, altri timbri ne assumono altre a loro volta. Chiaramente non si tratta di un processo che si esaurisce nell’arco di pochi giorni o di pochi anni ma di un processo in costante divenire. Inizialmente l’infante associa a talune timbriche delle caratteristiche extramusicali positive o negative e dopo, col passare del tempo, certe associazioni si raffinano e si specializzano sempre per più timbriche, tramite processi di acquisizione grammaticale. Per quanto possa parere bizzarro, molte persone – fra cui anche io – nate fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del XXI secolo, durante l’infanzia sono state spaventate124 dal brano Lunedì Cinema, composto da Lucio Dalla e suonato dalla band Stadio, noto per essere stato utilizzato – appunto per quei due decenni circa – come introduzione ai film in prima serata trasmessi da parte di Rai. La composizione – al di là del video psichedelico partecipe di colori sgargianti su sfondo nero, indubbiamente poco rassicurante per i più piccoli e le più piccole, da cui essa veniva accompagnata,– si erge su un approccio grossomodo jazzistico che comprende un’incalzante sezione ritmica formata da basso e batteria che sostengono una serie di obbligati di pianoforte eseguiti su registri piuttosto gravi, i quali, a loro volta, vengono arricchiti da alcuni intermezzi più distesi di chitarra e sassofono in armonizzazione. Nel corso della canzone, sono presenti dei

124 Tant’è che questa peculiarità è stata ricordata a più riprese per mettere alla berlina il famoso compositore.

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supplementi vocali in scat125, eseguiti con irruenza, alternati ad altri supplementi

simili dal gusto nettamente più operistico. Per quanto, avendo affinato i miei gusti musicali, sia riuscito ad apprezzare seguitamente Lunedì Cinema, tant’è che lo ritenga un componimento eccellente, da bambino quelle strane urla rauche unite a quelle rapsodie di pianoforte mi comunicavano un senso assai netto di febbrile inquietudine che poi, mi son resto conto, tendessi ad associare ogniqualvolta alle frequenze spettrali più gravi del pianoforte – strumento che potevo strimpellare in casa dei miei nonni, sebbene fosse del tutto scordato. Se le ninnenanne cantante dalle madri hanno effetti benefici e calmanti sui pargoli, quale l’aumento della saturazione dell’ossigeno (Jabraeili, Sabet, Mustafa Gharebaghi, Asghari Jafarabadi, & Bostanabad, 2016), è lecito ritenere che ciò dipenda dal fatto che questi ultimi apprendano delle specifiche grammatiche per comprendere il tipo di sintassi che accomuna le nenie in questione: se gli infanti non riconoscessero, difatti, i tratti caratteristici condivisi dalla maggior parte delle ninnenanne – ritmi alquanto cadenzanti, scale maggiori, regolarità strutturale, soluzioni monofoniche, ecc. – non si potrebbero giustificare gli effetti positivi, di natura prevalentemente psicologica ed umorale, riscontrati sperimentalmente. In altre parole, dei bambini e delle bambine che abbiano appreso grammatiche specifiche per la decodifica di ninnenanne e brani simili, cioè partecipi – per ragioni di sviluppo biologico stesse – di valori extramusicali positivi, quali la rassicurazione, la protezione, l’affetto e così via, trovandosi esposti a sintassi musicali assolutamente opposte a quelle frequentate in precedenza, è plausibile che possano provare sensazioni di irrequietezza, di paura, di abbandono e così via. A maggior ragione, certi stati d’animo si possono amplificare nel momento in cui, in mezzo alle altre tracce strumentali, si possano distinguere acciaccature vocali rauche e nervose, somiglianti ad un rimprovero oppure a versi rabbiosi, proprio come nel caso di

Lunedì Cinema. Peraltro, non è nemmeno possibile ipotizzare che certe frequenze

proprie delle ninnenanne abbiano, al di là della decodifica neurologica, effetti direttamente positivi sul fisico, in quanto vibrazioni, poiché è dimostrato che, sin dalla nascita, gli esseri umani siano in grado di distinguere le variazioni ritmiche e di altezza tonale (Virtala, Huotilainen, Partanen, Fellman, & Tervaniemi, 2013).

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Le timbriche, pertanto, assumono valenze extramusicali inizialmente in base alle naturali disposizioni neonatali antropiche, le quali sono atte al raccoglimento di informazioni intorno all’ambiente familiare per carpire riferimenti che possano indicare la presenza o l’assenza di eventuali pericoli e, successivamente, incominciano ad arricchirsi di ulteriori significati in base all’esposizione mediatica, in base all’apprendimento di nuove grammatiche, in base a plurime esperienze personali ed emotive, in base al significato semantico di talune liriche che vengono accompagnate dalla musica stessa, nonché in base pure alla risposta estetica che provocano alcune sintassi, espresse mediante una particolare impronta sonora. Le mamme neandertaliane, come comunicavano mediante vocalizzi con gli altri ominidi adulti, probabilmente fin dai primi giorni di vita facevano uso dei medesimi vocalizzi con i neonati, i quali acquisivano la capacità di riconoscere tali afferenze sonore come segno di protezione: effettivamente, sono state rilevate numerose similitudini fra il comportamento infantile e genitoriale umano e quello degli altri primati (Gillespie-Lynch, Greenfield, Feng, Savage-Rumbaugh, & Lyn, 2013). Infondo, in tal senso, l’esperienza estetica della musica non soltanto viene generata da specifiche grammatiche, ma è in grado a sua volta – non appena diviene esperienza, cioè rimembranza – di influenzare le grammatiche stesse rispetto ad una successiva decodifica sintattica. Sono innumerevoli i filosofi e le filosofe che sostengono che il fatto estetico sia finalizzato all’approfondimento della conoscenza di sé nonché del proprio ruolo storico e sociale, ma credo che costoro stiano invertendo la causa con l’effetto, non solamente giacché in quel modo si riduce il fatto estetico a mero accidente privo di solida giustificazione, ma soprattutto perché il piacere e il dolore – in qualunque forma si presentino – sono la conseguenza di certuni fenomeni, dai quali si possono indubbiamente trarre benefici, ma che non possono essere motivati da quest’ultima considerazione. Invero, piacere e dolore sono meccanismi di ricompensa o di avvertimento propri degli esseri viventi ed è lecito supporre, di conseguenza, che anche nel caso dell’esperienza estetica essi derivino da un fenomeno pregresso. In sostanza, il fatto estetico non avviene affinché gli esseri umani possano conoscere meglio loro stessi, ma da una migliore conoscenza di sé – attraverso debite grammatiche – scaturisce il fatto estetico.

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Capitolo 5