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Cartesio, Leibniz e musica barocca

Il XVII secolo, dal punto di vista culturale, è piuttosto complesso poiché può essere analizzato almeno secondo due prospettive ben diverse fra loro. In effetti, in questo periodo, da un lato nasce l’opera lirica che si diffonde rapidamente per tutta l’Europa, venendo contaminata in relazione alle culture locali e ai compositori, mentre dall’altro lato la musica di per sé assume delle caratteristiche quasi esasperate della musica rinascimentale.

L’opera lirica fiorisce dapprima a Firenze, poi nel resto dell’Italia – presso Venezia con Monteverdi et al., presso Napoli con Provenzale et al. e presso Roma

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con de’ Cavallieri et al. – e successivamente in tutta l’Europa12, grazie alla volontà, diffusa già fra gli intellettuali rinascimentali, di recuperare il teatro classico. In sostanza, le ultime tendenze monofoniche cameristiche, unite al virtuosismo canoro e alle tecniche recitative a servitù di racconti mitologici, confezionate da una struttura madrigalesca, ottengono grande consenso all’interno della Camerata dei Bardi, ossia un nutrito gruppo di musicisti ed intellettuali che si riuniscono nel palazzo fiorentino del conte Giovanni Bardi di Vernio. In ambito religioso, invece, viene introdotta la forma oratoriale, ossia una sorta di opera teatrale musicata che rimpiazza definitivamente la fastosa polifonia bassomedievale, peraltro già limata nel corso del XVI secolo. La lauda oratoriale corrisponde ad una sorta di spettacolo privo di scene recitate, durante il quale vengono narrati degli episodi biblici, sia attraverso la lettura prosaica, sia attraverso dei canti monofonici. In questo modo, la diffusione liturgico-musicale si rivela efficace su tutti i ceti, in quanto concetti prettamente religiosi assumono forme esteriormente profane.

Cartesio

È in questo panorama che viene elaborato uno dei trattati sulla musica più significativo – per quanto conciso – del XVII secolo, in quanto viene affrontata la questione da una prospettiva matematica, nondimeno, depurata dai correlativi metafisici propri della tradizione pitagorica: si tratta del Breviario di musica di Cartesio, pubblicato nel 1618. Il filosofo francese, conformemente all’orientamento scientifico largamente accettato al secolo, si approccia alla musica partendo da fondamenti assiomatici, onde dedurne le conseguenti proprietà, prendendo le distanze dagli altri teorici ad egli precedenti, quali Zarlino – l’unico direttamente citato all’interno del testo – che viene criticato specialmente per la prolissità.

Il fine della musica è divertire e suscitare in noi varie emozioni, altrimenti l’osservazione sull’esistenza di composizioni che possono risultare divertenti anche se tristi, confortata dal richiamo alla tragedia e all’elegia, sarebbe banale e ridondante (Cartesio, 1990).

12 In Germania l’opera il lied, importantissimo soprattutto durante il romanticismo, con Hassler et al., in Francia l’opera si diffonde con Beaulieu, tutta l’Académie de Musique et de Poésie ed altri, in Inghilterra con Mathew Locke – il quale musicò alcune opere di Shakespeare – ed altri.

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Innanzitutto, Cartesio reputa che il fine della musica sia puramente edonistico e non estetico – tant’è che raramente associa musica e bellezza – o etica. In altre parole, la musica viene ridotta a mero fenomeno psicoacustico e, forse per la prima volta, essa viene separata dai fenomeni acustico-semantici che via via la caratterizzano. La musica del trattato in questione è piacevole nella misura in cui soggettivamente si confà all’animo dell’ascoltatore, pertanto viene depurata dalla contemplazione pura del rapporto numerico e dai concetti espressi dalle liriche. Secondo l’autore, giustappunto, certe marce di rullante ricordano la guerra, non tanto poiché sono partecipi di qualità intrinseche associabili alla guerra, ma poiché essendo frequentemente utilizzati per scandire il passo dei plotoni, allora – come conseguenza – rammentano la guerra a chi ne ha già avuto esperienza in tal senso. Cartesio si spinge pure oltre, cercando di evidenziare quali siano i tratti di cui un’aria musicale deve essere partecipe per risultare gradita al fruitore. Nella fattispecie, egli sostiene che una composizione non possa essere né troppo semplice – per non risultare tediosa –, né troppo complessa – per non risultare frustrante – e che, certamente, debba essere ricca di variazioni – così da mantenere vivo l’interesse. Alla base di queste rilevazioni empiriche, secondo il filosofo, si troverebbero cause matematiche: la musica – di cui non viene mai data una definizione esplicita – infatti, apparirebbe piacevole poiché, rispettando specifiche leggi aritmetiche, verrebbe percepita sensibilmente alla stregua di una perfetta dimostrazione teorematica. È da questa deduzione che Cartesio indaga la consonanza e la dissonanza e le relative funzioni, ripensando gli studi pitagorici della musica. Invero, Cartesio sembrerebbe incapace di motivare saldamente le origini di consonanza e dissonanza, nonché di spiegare scientificamente le medesime, per questo, infine riconduce la consonanza a quel fenomeno acustico che produce sensazioni di dolcezza e di gradimento, così come riconduce la dissonanza a quel fenomeno acustico che produce sensazioni moleste o spiacevoli13. Dalla trattazione delle consonanze, Cartesio ricava sei implicazioni acustico-matematiche che esplicano quali siano le regole vigenti affinché determinate successioni di intervalli non risultino sospesi oppure irrisolti, oggettivando regole ben conosciute dai compositori, quantomeno sul piano pratico. Cartesio, nondimeno, ritiene che la conoscenza di questi rapporti non sia sufficiente

13 La dissonanza, secondo Cartesio, ha funzionalità tecnica soltanto quando è determinata da un intervallo di seconda, dacché esso consente il passaggio da una tonalità all’altra. Tale concezione, peraltro, è stata ritenuta valida sino al XXI secolo.

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alla composizione di brani veramente piacevoli, per cui enuncia altre sei regole che guidino il compositore nell’ideazione delle opere. Le regole sono le seguenti:

• è necessario incominciare il componimento con una consonanza perfetta così da stimolare immediatamente l’udito del fruitore;

• non si devono mai succedere direttamente due intervalli di quinta o di ottava; • è auspicabile variare per quanto possibile gli accordi;

• una consonanza imperfetta deve essere succeduta dalla consonanza perfetta ad essa più prossima;

• è auspicabile terminare il componimento con una consonanza perfettissima; • è importante selezionare il modo musicale nei rispetti dell’emozione che l’autore intende trasmettere.

In effetti, queste regole valgono soltanto per la musica rinascimentale e barocca, infatti Cartesio ammette che la polifonia medievale – e i compositori che intendano cimentarsi con questo genere – possano distaccarsi da tali ordinamenti. Fra gli altri consigli, il più rilevante – soprattutto da una prospettiva contemporanea – è forse quello che sottolinea l’importanza del basso nelle arie musicali – in particolare quelle a quattro voci.

In secondo luogo, altrettanto originalmente, Cartesio separa aspetti accidentali da aspetti immanenti del fenomeno musicale, ovverosia separa timbrica ed intensità della musica – oggetti di studio delle scienze naturali, poiché qualità fisiche ed accidentali della musica – da variazioni di altezza e di durata – in quanto proprietà matematicamente quantificabili14. Ciononostante, vengono delineate talune qualità specifiche del canto, siccome esso sarebbe in grado di commuovere l’ascoltatore più di ogni altro strumento musicale, giacché è il frutto del moto di spiriti animali, simili a quelli che causano la percezione di chi ascolta. Ivi emerge la concezione di affinità naturale, secondo la quale esisterebbero delle connessioni – quasi eteree15 – fra il suono emesso da un particolare strumento e la disposizione sensibile del fruitore.

14 Nella seconda parte del presente lavoro, mi accingerò a dimostrare perché tutti gli aspetti della musica in questione ricoprono ruoli rilevanti per la comprensione stessa del fenomeno musicale, non potendo essere, pertanto, classificati come irrilevanti o comunque scarsamente rilevanti.

41 Leibniz

L’eredita musicale di Cartesio, viene ampliata da Leibniz, il quale nega il concetto di bellezza musicale come armonia delle sfere celesti, anch’egli in favore di una prospettiva scientifico-razionale, finalizzata all’analisi delle strutture acustiche in termini matematici. A differenza di Cartesio, Leibniz propone una definizione precisa di musica, la quale, nondimeno, riassume piuttosto fedelmente la concezione cartesiana: Leibniz, infatti, reputa la musica come la percezione piacevole dei suoni. In altri termini, il fatto che la musica sia descrivibile mediante formule matematiche, non pregiudica in alcun modo il fatto che possa essere assimilata mediante l’uso dei sensi che, differentemente dal pensiero classico, secondo Leibniz, rivelano fattualmente le proporzioni aritmetiche che ne definiscono l’essenza – e di qui la piacevolezza dell’ascolto. Il discorso leibniziano, quindi, auspica ad una riconciliazione fra sensibilità e ragione, fra arte e scienza. Ancora più in generale, esso auspica ad un superamento dell’antico dualismo, acciocché possa essere accettato il fatto che la musica sia il piacevole veicolo di percezione sensibile dell’armonia, ovvero dell’ordine matematico stesso che regola l’universo.

Proprio come nulla è più piacevole ai sensi dell’essere umano dell’armonia musicale, così nulla è più piacevole della meravigliosa armonia della natura, di cui la musica è soltanto un pregustamento ed una piccola evidenza (Leibniz, 1742).

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Evoluzioni musicali settecentesche e concezione illuministica della