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Kant, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche e musica ottocentesca

Kant

La fine del Settecento è segnata dalla pubblicazione di uno dei testi di estetica più influenti della storia della filosofia, ossia la Critica del giudizio – del 1790, per la precisione – di Immanuel Kant. Invero, Kant, giacché totalmente digiuno di formazione musicale, dedica solamente poche pagine alla questione della musica, nondimeno, la sua riflessione condiziona significativamente il pensiero formalista ottocentesco. Nella fattispecie, il filosofo tedesco analizza le idee sulla musica più diffuse al tempo e discute della disciplina in questione per ragioni di completezza, più che altro, e riprendere il discorso, marginalmente, pure nell’Antropologia, a seguito. Kant propone due concezioni differenti relativamente alla musica, una altamente squalificante, l’altra senz’altro più ossequiosa. Kant, difatti, elabora due gerarchie delle declinazioni dell’arte, una secondo la ragione, una secondo il piacere. Se in entrambe le classifiche la poesia si trova al primo posto, nel caso in cui l’ordinamento dipenda dalla ragione, la musica è confinata all’ultima posizione, anzi, Kant sospetta che la musica possa addirittura essere esclusa dall’insieme delle arti. Questa scarsa considerazione della musica è frutto dall’idea che – in termini razionali – tale disciplina sia più una tecnologia edonistica che un veicolo di cultura, giacché essendo asemantica produce soltanto un godimento passeggero ma non comunica concetti esatti, a differenza delle discipline contenenti elementi di semantica e, minormente, di quelle figurative, le quali comunque possono comunicare pensieri in maniera abbastanza precisa. Se però la gerarchia delle arti viene ordinata mediante il piacere, allora la musica, secondo Kant, si trova al primo posto insieme alla poesia in quanto, come quest’ultima, la musica muove gli affetti e

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le emozioni. In altre parole, per Kant, la musica è partecipe di una ambivalenza concettuale, giacché sul piano razionale essa può essere definita come arte del gioco delle sensazioni, mentre sul piano emozionale essa può essere definita come un linguaggio universale delle sensazioni, comprensibile a tutti quanti, benché incapace di comunicare pensieri esatti. Cionondimeno, l’asemanticità della musica tende – implicitamente – ad assumere un elemento positivo in termini estetici, tant’è che, seguitamente, Hanslick e gli altri formalisti riprenderanno questa concezione per approfondire la questione.

Hegel

I concetti di interiorità della musica, di imitazione della natura e di temporalità della musica vengono ripresi da Hegel e disaminati durante le sue lezioni, i cui appunti vengono utilizzati per la pubblicazione postuma dell’Estetica, curata da Heinrich Gustav Hotho, considerabile come il successore morale di Hegel stesso. La musica, secondo Hegel, rientra fra le arti romantiche, ossia fra quelle arti che non riescono a rappresentare l’assoluto esteriormente e formalmente – alla maniera dell’arte classica – ma soltanto particolarmente ed intimamente, cioè in senso soggettivo. Come Kant, in effetti, egli ritiene che la poesia si trovi al vertice gerarchico delle arti romantiche, giacché essa manifesta lo spirito in quanto tale, nondimeno tale classificazione si differenzia notevolmente da quelle precedentemente stilate, in quanto essa si basa sull’idea che ogni arte assolva funzioni differenti e non la medesima funzione più o meno efficientemente. Differentemente dalla poesia, la musica, secondo Hegel, rivela l’assoluto in forma di sentimento, così come può essere veicolo pure di sentimenti soggettivi, pertanto essa assume due valori distinti, uno assai alto, poiché arte radicalmente espressiva, l’altro nettamente più squalificante, poiché prossimo al concetto di architettura – la forma artistica simbolica più primitiva – giacché ordinata mediante precise leggi di misura e di rapporti senza, tuttavia, avere modelli di riferimento – o imitazione – nel mondo naturale, differentemente dall’architettura. La musica, dunque, è costituita dall’interiorità stessa degli esseri umani e si tratta di un fenomeno temporale che si manifesta rapidamente e altrettanto rapidamente scompare. Riprendendo in una

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certa misura da Schelling17, suo predecessore, Hegel proietta, sostanzialmente, il fenomeno musicale sul piano del tempo, definendo la musica come un’arte temporale (Hegel, 2007). In altre parole, la musica è finalizzata all’ordinamento del tempo in relazione alle proprietà di cui essa è partecipe e ciò può regolare nettamente i tumulti dei sentimenti umani, grazie ad una sorta di potere unificatore che esercita. Ciò significa che la musica è strettamente collegata all’essere e, addirittura, può arrivare a simboleggiare – in quanto forma artistica – la pura interiorità come tale, a prescindere da contenuti o accidenti.

Schopenhauer

La musica romantica – sul piano concettuale – assume la sua definitiva forma grazie al pensiero di Schopenhauer18 che attua un ribaltamento secolare. Quantunque il filosofo riprenda il concetto di gerarchia delle arti, egli esclude totalmente la musica da essa, reputandola ben superiore a tutte le altre arti. In effetti, la filosofia schopenhaueriana considera l’arte come un mezzo privilegiato di conoscimento della volontà – il principio noumenico che regola le dinamiche del mondo – che opera attraverso l’oggettivazione sessa della volontà, tuttavia considera la musica come immediatamente la stessa volontà (Schopenhauer, 2015). In sostanza, per la prima volta dopo secoli, la musica, non solamente viene elevata sopra tutte le altre discipline, ma addirittura assume valore superiore quando strumentale, giacché linguaggio assoluto ed ineffabile, raggiungibile solo dal genio artistico – ossia il genio romantico. La rottura operata nel periodo romantico col secolo passato che, per certi versi, tende ad un ripristino della cultura medievale - giustappunto in opposizione al discredito illuministico del medesimo periodo

17 Schelling, invero, associa strettamente la musica al ritmo, ossia ad una caratteristica prettamente temporale. Egli ritiene che la musica sia una forma artistica figurativa, ovverosia relazionata alla materialità fisica, inorganica e priva di forme del suono (Schelling, 2012). Più precisamente, Schelling pensa che la musica sia costituita da tre elementi essenziali: ritmo, modulazione e melodia. Il ritmo è l’unico ente reale di cui la musica è partecipe, mentre la modulazione corrisponde all’ente ideale e la melodia corrisponde all’unione dei due enti precedenti. Se dunque l’elemento reale della musica è il ritmo, ciò significa che la musica può esistere soltanto all’interno di una successione, perciò Schelling afferma che il ritmo sia musica nella musica. In quanto ritmo, la musica imita l’universo nella sua caratteristica più primitiva, cioè il ritmo cosmico, sussumendo – ancora una volta – due possibili concezioni: la prima è estremamente svilente perché classifica la musica come una forma artistica estremamente grezza, reputandola pura materia priva di pensieri superiori, mentre la seconda è alquanto nobilitante perché classifica la musica come un’arte assolutamente spirituale, imitatrice del divenire dell’universo stesso.

18 In effetti, Schopenhauer non possiede una profonda formazione musicale, tant’è che via via compie dei paralleli piuttosto goffi onde descrivere i fatti musicali.

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storico – non comprende la dimensione musicale, sostanzialmente del tutto innovativa. Ciò non significa che Schopenhauer neghi la possibilità che musica e parole si uniscano fra loro, nondimeno sostiene energicamente la sua indipendenza dalla parola e la sua superiorità senza parola; questa prospettiva è condivisa dalla grande maggioranza degli artisti romantici (Della Seta, 1993). Anche secondo Schopenhauer il dominio della musica è quello del sentimento dacché essa rappresenta lo stadio più verace della volontà, in contrapposizione al concetto semantico. In altre parole, la musica può comprendere in sé tutte le manifestazioni della volontà, cioè l’essenza stessa e non il fenomeno: si tratta di forma senza materia, di forma pura del sentimento.

Nietzsche

L’ultimo grande filosofo romantico – nonché antiromantico – che abbia copiosamente discusso di musica è certamente Nietzsche, legato, oltretutto, da una storica amicizia con Richard Wagner, dissoltasi nel corso del tempo per ragioni prevalentemente ideologiche. Per certi versi, il concetto di musica nietzschiano condivide degli aspetti con quello di Schelling e con quello di Schopenhauer, infatti come Schelling, Nietzsche ritiene che la musica possa identificare certune tendenze primitive ed istintive degli esseri umani; come Schopenhauer, invece, Nietzsche ritiene che la musica sia superiore alle altre arti, addirittura che superi il concetto stesso di arte, come se fosse una categoria dello spirito umano, ovvero una costante storico-antropologica: probabilmente, si potrebbe asserire che più che di musica, Nietzsche tratti di spirito musicale. Data la immensa importanza che Nietzsche attribuisce alla musica – effettivamente il filosofo reputa l’arte stessa finalità suprema della vita degli individui – non è possibile associare quest’ultima a scopi edonistici, bensì ad una dimensione metafisica privilegiata che si contrappone alla decadenza teoretica propria di taluni periodi storici, quali l’illuminismo. Non è un caso, giustappunto, che Nietzsche ritenga il melodramma – ossia quello stilema radicato nel XVII secolo e ancora in auge durante il secolo successivo – come un genere che ha spogliato la musica tutta della propria aurea di religiosità, salvo poi rivestirla con caratteristiche atte al mero intrattenimento. Tali problematiche musicali, scandagliate più che altro nella Nascita della tragedia, possono essere risolte, nondimeno, dalla musica tedesca – a partire dalle esperienze di Bach e di

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Beethoven – e, più precisamente, dalla musica di Wagner19. Nietzsche afferma che il compito dell’artista sia quello di purificare la realtà dalle convenzioni storiche che la attanagliano per portare alla luce una verità originaria; in altre parole, il filosofo, attribuisce all’arte un certo potere demistificatore (Nietzsche, La nascita della tragedia, 1977). Tuttavia, se in gioventù Nietzsche identifica Wagner con il prototipo di artista romantico disvelatore di verità celate, col passare degli anni le divergenze fra i due intellettuali si fanno incolmabili e ciò provoca una frattura insanabile del loro rapporto. Più specificamente – come riscontrabile progressivamente negli scritti “wagneriani” di Nietzsche – la critica al compositore si fa, via via, sempre più aspra e raggiunge il proprio apice in corrispondenza della ideazione di Parsifal, opera wagneriana a sfondo cristiano, tant’è che Nietzsche scrive che Wagner si sia prostrato, derelitto e a brandelli, dinnanzi alla croce (Nietzsche, Richard Wagner a Bayreuth - Considerazioni inattuali, IV - Frammenti postumi (1875-1876), 1967). Secondo il filosofo, Wagner, spostando il suo interesse artistico verso la dimensione cristiana, avrebbe peccato di istrionismo e avrebbe confuso il senso tragico e redentore della musica dionisiaca con il senso consolatorio della rinuncia cristiana; in altre parole, la musica del Parsifal condurrebbe il fruitore al mero diletto e alla ricerca di analogie pratiche col mondo esterno, divenendo perciò una sterile rappresentazione del fenomeno, ergo assolutamente meno significativa del fenomeno medesimo. In questa atmosfera di disincanto verso la musica tedesca, Nietzsche indica come prototipo di musicista romantico Georges Bizet, soprattutto per aver composto la Carmen, opera che il filosofo reputa positivamente contraria all’ultimo componimento di Wagner. Il lavoro sulla musica – e sull’arte in generale – di Nietzsche si chiude con un dubbio di ampia portata poiché, avendo esasperato i concetti di forma ed espressione – rispettivamente di apollineo e dionisiaco –, egli lascia in sospeso l’operazione di riconciliazione di questi due enti che, effettivamente, potrebbe persino apparire impossibile. Si potrebbe quasi azzardare l’ipotesi che proprio la disamina della dialettica romantica di Nietzsche – in veste di filosofo romantico egli stesso – determini la conclusione della corrente romantica e apra le porte alle filosofie novecentesche.

19 In realtà, la critica di Wagner al melodramma è radicalmente opposta a quella di Nietzsche: il compositore tedesco, infatti, sostiene il melodramma settecentesco fosse problematico poiché finalizzato a sé stesso nonostante avrebbe dovuto essere mezzo di divulgazione di altre idee. Differentemente, Nietzsche sostiene con vigore il carattere autosufficiente della musica.

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