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Origine del ritmo binario

5.3 Musicalità del ritmo

Il musicista e neuroscienziato statunitense Daniel J. Levitin ha raccontato delle sensazioni provate negli anni Settanta, durante un concerto del sassofonista statunitense Sonny Rollins tenutosi a Berkley; nello specifico, Levitin ha dichiarato di non ricordare quasi nulla degli assoli eseguiti dal musicista in quanto a note, bensì di esser stato folgorato dall’uso, da parte del medesimo, di variazioni ritmiche vivaci ed inaspettate (Levitin, Fatti di musica, 2008). Secondo l’autore in questione, ciò

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dipende dal fatto che il ritmo sia un gioco di attese, ovvero una sorta di ondeggiamento che determina il coinvolgimento e, addirittura, il movimento delle persone rispetto al fenomeno musicale. Peraltro, come discusso nel secondo capitolo in relazione alla memoria musicale in toto, la memoria del ritmo è assai precisa rispetto al fatto acustico originale e lo dimostra pure un esperimento del 1996 attraverso il quale è stato messo in evidenza che, la riproduzione vocale – priva di preparazione – di taluni brani di musica leggera da parte di non musicisti è estremamente fedele alla velocità originale del brano: è stato rilevato circa il 4% di margine di rallentamento o di velocizzazione. Nondimeno, lo stesso esperimento ha dimostrato che i batteristi – a differenza di altri musicisti – sono in grado di rilevare facilmente la discrepanza ritmica. Sul piano neurale, tale accuratezza – assoluta, per usare le parole degli scienziati che hanno ideato l’esperimento – dipende dal cervelletto e dai gangli basali (Levitin & Cook, Memory for musical tempo: Additional evidence that auditory memory is absolute, 1996). Come è possibile, quindi, che il ritmo di per sé, come narrato da Levitin – ma sono innumerevoli i casi esemplificativi – possa assumere valenza musicale, o meglio, musicalità? Questa domanda, che in prima battuta potrebbe apparire banale, in verità nasconde una serie di problematiche che vale la pena di affrontare al fine di chiarire alcuni aspetti relativi al ritmo assai nebulosi.

Innanzitutto, è necessario definire il significato di musicalità in termini adeguati alla presente disamina. Per musicalità – generalmente – si intende la qualità di essere musicale, ossia di essere partecipi di una o più proprietà specifiche della musica. Se dunque la musica – come affermato nel quarto capitolo - può essere definita, essenzialmente, come relazione fra suoni che avviene nel cervello e che acquisisce significato sintattico e non semantico in virtù di determinate grammatiche acquisite, allora è possibile sostenere che la musicalità corrisponda alla presenza, all’interno di una data afferenza sonora, di logiche sintattiche di qualche forma tali che possano, attraverso l’azione del cervello, attuare quel fenomeno conosciuto come musica.

Come è possibile, dunque, che il ritmo possa essere partecipe di musicalità, essendo il medesimo una prevedibile scansione, coerente in termini di ripetizioni fenomeniche di un dato processo all'interno di un sistema dinamico, i cui costituenti siano noti? In effetti non è possibile. Non è possibile poiché, il ritmo, sul piano

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noumenico, non è strettamente rapportato alla musica e dunque, se deprivato di riferimenti fattuali di sorta, in qualità di puro concetto, esso non può essere, giustappunto, partecipe di musicalità. Il ritmo, difatti, può riguardare – oltre che la musica – lo sport, il sonno, l’astrofisica, la meccanica, ecc., e perciò ascriverlo a puro accidente acustico è estremamente riduttivo, nonché scorretto. Rilevare la proprietà della musicalità all’interno di un fenomeno partecipe di caratteristiche ritmiche, in sostanza, significa che una serie di suoni può essere decodificata secondo una sintassi ritmica di qualche tipo e perciò è la serie di suoni a risultare musicale piuttosto che il ritmo di per sé. Ritmo, musicalità, tempo, ecc., de facto, sono caratteristiche rilevabili a livello cerebrale e non esistono al di fuori degli esseri umani se non come meri fatti meccanici e mere vibrazioni aeree.

Cosa si intende, dunque, per strumento musicale ritmico se, come appena affermato, il ritmo espresso sonoramente equivale comunque ad una serie di suoni o, meglio ancora, di altezze tonali? Sostanzialmente gli strumenti ritmici sono quegli strumenti musicali il cui scopo principale è scandire la cadenza affinché tutti gli altri esecutori, seguendo la medesima, possano riprodurre le rispettive linee musicali coordinatamente fra loro e, per questo motivo, dispongono di un ridotto ventaglio di suoni, talvolta difficilmente riconducibile ad una precisa tonalità. La batteria, le percussioni afrocubane, i timpani orchestrali, i tamburi sciamanici, gli udu136, ecc., fanno parte di questa particolare tipologia di strumenti ritmici, benché certune varianti dei medesimi possano essere partecipi di un’estesa gamma di suoni diversi, invero riconducibili a tonalità precise, si pensi, per esempio, alla maestosa batteria – dotata di centinaia di componenti accordate differentemente – del percussionista statunitense Terry Bozzio, noto soprattutto per le sue collaborazioni con Frank Zappa. Peraltro, non tutti gli strumenti a percussione sono a servizio della scansione ritmica delle composizioni: tutti i cosiddetti strumenti suonati per mezzo di mallet137, quali gli idiofoni orchestrali, gli xilofoni o i vibrafoni, oppure gli handpan138, hanno

136 Strumento a percussione di origine nigeriana che combina il concetto di idiofono con quello di aerofono. Si tratta di uno strumento dalla forma simile ad una brocca – ma nel tempo sono stati costruiti udu di svariate forme – in ceramica o in argilla, partecipe di alcuni buchi sulla cassa di risonanza che, se colpiti, emettono un suono profondo e reverberato. Nascono come strumenti rituali suonati principalmente dalle donne durante talune cerimonie propiziatorie.

137 Per mallet – letteralmente “maglio” o “martello” – si intendono delle specifiche mazze di legno, di fibra di vetro o di carbonio – per lo più – ricoperte in punta da una pallina di gomma, di lana, di polimero, o di metallo, utilizzate per colpire specifici strumenti a percussione.

138 Gli handpan, conosciuti pure come hankdrum o hang – che, in effetti differiscono di poco l’uno dall’altro – sono strumenti a percussione di origine svizzera, costituiti da due superfici di metallo

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finalità melodiche ed armoniche, più che altro. Esistono poi altri strumenti il cui utilizzo è prevalentemente ritmico come taluni cordofoni, quali contrabbasso e basso elettrico, giacché comunemente servono da tramite fra le percussioni – se sguarnite di informazioni tonali – e gli altri strumenti atti a riprodurre la melodia e l’armonia: nella musica leggera soprattutto, difatti, spesso la grancassa scandisce gli accenti principali del giro musicale, benché non li caratterizzi tonalmente, ed il basso esegue sincronicamente alcune note con la grancassa, per definire tonalmente l’accento mediante i semitoni riprodotti.

In breve, a fronte di tutto ciò, la domanda si riduce a: come è possibile che strumenti ritmici caratterizzati da una notevole limitazione tonale – come un kit standard per batteria jazz – possano essere partecipi di musicalità? La risposta – prevedibilmente – è insita nel concetto di grammatiche della musica. Andiamo per punti.

In primis, un pattern di batteria è partecipe, come tutte le linee musicali moderne – di altezze sonore scandite secondo un andamento ritmico, perciò, una traccia di batteria, essenzialmente, non è poi così differente da una traccia di ottavino. La divergenza più evidente fra le percussioni ritmiche e gli altri strumenti, come già accennato, è la relativa limitatezza del relativo ventaglio sonoro: si pensi alle infinite combinazioni di pianoforte che comprendono pure tutti i possibili accordi – composti da due a dieci semitoni – a confronto con un kit standard di batteria che, nel migliore dei casi, comprende un rullante, una grancassa, due tom, due timpani – o meglio, due floor-tom – e quattro cembali. Inoltre, i suoni originati dalla vibrazione della pelle di un tamburo o dalla superficie di un cembalo, benché siano partecipi di tonalità fondamentale – tant’è che in alcune declinazioni del jazz o nella musica classica l’accordatura dei tamburi deve essere assolutamente precisa – sono talmente ricchi di armoniche secondarie da non apparire sostanzialmente mai stonati rispetto al contesto tonale, benché la fondamentale degli strumenti in questione possa non essere inclusa nella scala eseguita contemporaneamente mediante altri strumenti musicali. Il rullante, ad esempio, per quanto accordato scrupolosamente, oltre che alla nota emessa attraverso il colpo assestato sulla pelle battente – ergo la pelle superiore, distinta da quella inferiore, nominata pelle

stondate, saldate insieme per costituire una cassa di risonanza lenticolare, partecipe o meno di determinati fori, che producono suoni piuttosto caldi e leggeri. Questi strumenti possono essere suonati con le mani, con i polsi e, in taluni casi, con particolari mallet.

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risonante – emette una serie – più o meno intensa – di fruscii dovuti alla vibrazione della cordiera sottostante che determina il classico timbro delle marce militari. In altre parole, gli strumenti a percussione adibiti alla scansione ritmica, se suonati propriamente, delineano un ritmo – cioè tempo, velocità e scansione – attraverso una serie di suoni che si trovano e metà fra il fatto musicale ed il rumore – rispetto alla descrizione di quest’ultimo nei capitoli precedenti. Questo fatto, benché renda difficile il rilevamento, soprattutto ad orecchio, della fondamentale emessa dagli strumenti a percussione, permette che essi possano adattarsi facilmente a quasi tutte le tonalità.

Se, come dimostrato, gli esseri umani hanno un’ottima memoria musicale, perciò anche un’ottima memoria ritmica, e se il ritmo musicale non può che essere scandito mediante afferenze acustiche fattuali – partecipi di note ed armoniche – allora risulta chiaro il fatto che una linea ritmica, non soltanto assuma funzione orientativa per gli altri musicisti, ma caratterizzi pure esteticamente il brano che accompagna. La caratterizzazione estetica di un oggetto, tuttavia, può avvenire soltanto se l’ente che agisce in tal senso è a sua volta partecipe di caratteristiche estetiche che possano armonizzarsi con quelle dell’oggetto estetico di partenza, conseguentemente una linea ritmica musicale è partecipe, oltre agli aspetti tecnici, di qualità estetiche. Levitin, non a caso, insiste circa il fatto che la stessa linea musicale tenda ad apparire alquanto più vigorosa con un ritmo raddoppiato – double-time – anziché con un ritmo dimezzato – half-time – (Levitin, Fatti di musica, 2008) e ciò può verificarsi soltanto se, per il cervello, la linea ritmica possiede qualità estetiche. La qualità estetica di un ente, come discusso nel terzo capitolo, dipende dalla capacità di decodifica della sintassi secondo cui l’ente è stato concepito dall’autore, e questa decodifica dipende, a sua volta, dalle regole grammaticali della musica possedute da parte del fruitore, pertanto con la giusta esposizione, pure le linee ritmiche assumono valore sintattico-grammaticale e, in virtù di ciò, anche valore estetico. Infondo, pure delle fondamentali partecipi di numerose armoniche secondarie, se disposte nel modo giusto, assumono valore sintattico e possono mettere in moto i meccanismi di decodifica propri della musica, nonché le esperienze estetiche – più o meno profonde – associabili alla musica stessa. Non è così strano, peraltro, che automaticamente, ad un particolare pattern ritmico da solo, si possa associare spontaneamente una specifica linea melodica che ne

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favorisca la rilevazione di qualità estetiche. La linea ritmica più famosa da prendere come esempio, forse, è il brano We will rock you (May, 1977) della band rock britannica Queen, il quale si basa quasi esclusivamente su due colpi di floor-tom alternati ad un secco flam di rullante all’interno di una partizione in 4/4, a sostegno della linea vocale e di qualche incursione chitarristica qua e là, prima dell’assolo finale. Questo brano, infatti, è ricordato a livello globale proprio in virtù della linea di batteria che caratterizza esteticamente – o, ancora meglio, musicalmente – la composizione: verosimilmente è assai più facile che essa venga riconosciuta anche da chi non ha esperienza in materia, attraverso l’ascolto della linea di percussioni, piuttosto che attraverso la lettura delle relative liriche o attraverso l’ascolto del relativo assolo finale.

Generalmente, i docenti di batteria e di percussioni – includendo pure me – introducono il concetto di accentazione associandolo alla maniera più efficace di conferire musicalità ad una rullata o ad un pattern: ciò è vero siccome, data la relativa scarsezza sonora dei kit standard di batteria – quella che io uso più spesso, addirittura, ha meno pezzi di un kit regolare – l’aggiunta di note più marcate, alternate a note più deboli, in quanto a volume, mette in risalto certuni momenti della performance che, se riprodotti ciclicamente, assumono un valore estetico predominante e dunque ordinano, quasi gerarchicamente, anche gli altri momento, suonati con meno intensità. In altre parole, si formano grammatiche musicali anche nel caso del ritmo stesso poiché, a tutti gli effetti, l’unico modo di percepire quest’ultimo è attraverso fenomeni sonori e, se il ritmo viene scandito con personalità e fantasia – cioè in modo più articolato e godibile rispetto alla maniera del metronomo – allora esso può assumere talune caratteristiche proprie della musica, cioè può assumere tratti di musicalità.

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Capitolo 6