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Condizione pregrammaticale spinta

Regole grammaticali mentali della musica

4.2 Condizione pregrammaticale spinta

Torniamo alla canzoncina Fuori piove. Il brano, in tonalità di Si maggiore, si articola in un giro di cinque misure dalla disposizione speculare; esso, infatti, si apre con due misure in 3/4, varia centralmente in 5/4 e, nuovamente, si chiude con altre due misure in 3/4. Reiterando la filastrocca, inoltre, la cadenza ritmica resta comunque speculare, poiché, in quel caso, si succedono quattro misure in 3/4, intermezzate da una misura in 5/4. È probabile che tutte queste elucubrazioni intorno ad una filastrocca così puerile, nondimeno partecipe di – apparenti – stranezze ritmiche, possano facilitare la credenza che il suo concepimento da parte di un bambino di due anni sia un fatto straordinario; al contrario, ritengo che questo sia un fenomeno assolutamente usuale in tutte quelle persone che vertono in una condizione pregrammaticale spinta.

109 Effetto digitale per strumenti musicali e per voci che simula la compresenza di sezioni musicali simili alla linea sonora interessata.

110 Proprietà di mantenimento nel tempo della risonanza acustica di uno strumento musicale, a seguito dell’esecuzione di una nota o di un accordo: più è lento il decadimento della vibrazione di una nota eseguita con un certo strumento musicale e di più sustain esso è partecipe.

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Figura 8 – La partitura ed il testo di Fuori piove.

Facciamo un passo indietro. Ho enunciato una teoria circa la predisposizione biologica della musica, partendo dal presupposto che i neandertaliani avessero sviluppato un codice comunicativo basato sulla modulazione canora di alcuni fonemi, la quale permette agli esseri umani di fruire facilmente della musica, nonché di canticchiare spontaneamente via via. In aggiunta, ho ipotizzato che il notevole sforzo richiesto per imparare a suonare uno strumento musicale o a cantare perfettamente, dipenda dal fatto che gli esseri umani abbiano saputo implementare questa disposizione connaturata, alla stregua di una tecnologia – proprio come la matematica – fino a renderla una disciplina estremamente raffinata e attuata da pochi di loro, pertanto il cervello non è stato soggetto ad un’evoluzione che ne modificasse la natura, fino a renderlo – da cervello musicale – cervello strumentista. Successivamente, ho discusso la dinamica delle grammatiche musicali, in rapporto a contesti di molteplice tipologia, partecipi sia di condizioni standard, sia di condizioni limite, al fine di individuare, più precisamente possibile, i confini in lentezza e celerità, in consonanza e dissonanza, in melodia ed armonia, della fruizione del fatto musicale. Da tutto ciò, si può evincere che esista – nelle persone che non sono state soggette sufficientemente a qualsivoglia forma di musica – una condizione pregrammaticale spinta, ossia di significativa inesperienza della musica. Invero, tutti gli esseri umani si potrebbero reputare in condizione pregrammaticale quando fruiscono di una composizione la cui sintassi è ancora sconosciuta, ciononostante è indubbio che, similmente all’apprendimento di una qualunque

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disciplina, non esista un limite che determini la completa fuoriuscita dalla condizione pregrammaticale – Antonio Vivaldi si sarebbe trovato in condizione pregrammaticale, almeno per un po’, ascoltando Cinque pezzi per pianoforte op. 23 di Schönberg, quantunque sarebbe piuttosto sfrontato considerarlo musicalmente incolto – cionondimeno è possibile stabilire, indicativamente, l’ampiezza della condizione pregrammaticale poiché, senz’altro, è assai probabile che un neonato verta in una condizione pregrammaticale più spinta rispetto, per esempio, ad un novantenne sprovvisto di formazione musicale.

Per condizione pregrammaticale spinta, quindi, si intende lo stato di profonda inesperienza musicale di un soggetto, tale che questi non conosca nemmanco i fondamenti primari delle sintassi musicali proprie della cultura a cui appartiene. Un esperto pianista di musica classica, exempli gratia, che non abbia mai ascoltato i cupi interludi dal sapore etnico del gruppo progressive statunitense Tool non sarà certamente in condizione pregrammaticale spinta, ma semmai, soltanto in condizione pregrammaticale rispetto all’estetica della band in questione; invece, un bambino di due anni, che ancora non abbia nemmeno frequentato l’asilo, nato e cresciuto in una famiglia priva di particolari stimoli musicali, verosimilmente si troverà in una condizione pregrammaticale spinta, data la esigua esposizione alle canzoni e alle relative sintassi. La condizione pregrammaticale spinta, perciò, non equivale ad una specie di tabula rasa musicale per cui è impossibile fruire della musica ma, contrariamente, è uno stato in cui qualunque declinazione sintattica è potenzialmente coerente111. Una persona che si trovi in condizione pregrammaticale spinta può architettare soluzioni musicali atipiche, imprevedibili o, oppostamente, del tutto tradizionali, proprio in virtù del fatto che non conosce regole. In altre parole, comporre un brano – proprio come Fuori piove – in condizione pregrammaticale spinta può generare risultati del tutto inaspettati ed affascinanti, che magari un compositore affermato, forse appesantito dalle miriadi di regole sintattiche apprese nel tempo, non riuscirebbe a concepire. Effettivamente, un bambino munito di carta e penna potrebbe avere abbozzato un disegno dal gusto cubista senza alcuna consapevolezza di ciò molti anni prima dell’avvento di Picasso,

111 In effetti, come riportato nel primo capitolo, i neonati iniziano sin dalla nascita ad assimilare afferenze sonore ambientali, pertanto una condizione pregrammaticale assoluta risulta esclusivamente ipotetica, esattamente come il concetto di vuoto in fisica.

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nondimeno quest’ultimo resta il padre del cubismo proprio perché, già partecipe di tecnica pittorica raffinatissima, è riuscito a rompere – consciamente – le regole di cui avrebbe potuto essere vessillo, per amore di innovazione e per senso artistico. Non a caso, proprio Picasso ammise che durante l’infanzia fosse capace di dipingere come Raffaello, ma che avesse impiegato tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino (Persivale, 2009).

Ecco che sorgono non pochi problemi. Innanzitutto, come è possibile che qualcuno riesca a ideare un brano musicale pur ignorando quasi completamente le regole della composizione? Quanto spesso i bambini e le bambine inventano canzoncine come Fuori piove? E quale tipo di stimolo li induce a ciò? Se la condizione pregrammaticale spinta non prevede la conoscenza di regole basilari della musica, perché Fuori piove è in Si maggiore?

Tutti quanti possono comporre musica, sostanzialmente, anzi lo fanno di continuo. Ogni volta che una persona parla, probabilmente senza rendersene conto, sta componendo musica, poiché ogni fonema è partecipe di frequenza ed ampiezza, proprio come una nota. Certo, un dialogo plausibilmente è, più che altro, un brano quasi monotonale, privo di precisa cadenza ritmica e del quale il fruitore, più che l’aspetto musicale, coglie l’aspetto semantico, nondimeno ciò evidenzia il fatto che comporre musica non sia un’impresa poi tanto ardua. Infondo, basta chiudere le labbra e iniziare a farle vibrare ad intensità differenti per creare una qualche forma di musica. Anche canticchiare una canzone conosciuta alterandone alcuni aspetti, benché solo marginalmente, quantunque sia plagio, è una forma di composizione. Quando i bambini e le bambine vedono dal vivo uno strumento musicale per la prima volta, affascinati dalla novità, corrono subito a provarlo, generando un gran baccano che, per le infinite combinazioni di cui è partecipe, forse è la prima volta nella storia che viene ascoltato. Comporre musica bella, invece, è tutt’altra questione. Comporre musica bella, o meglio che possa piacere, è assai diverso dal comporre e basta, siccome occorre conoscere le regole sintattiche della musica, nonché saperle orchestrare – melodicamente, armonicamente, timbricamente e ritmicamente – in modo tale che originino un’opera sufficientemente diversa dalle altre e che possa, pertanto, attirare l’attenzione del pubblico e, infine, essere apprezzata. Così come non è necessario essere scultori per modellare grossolanamente l’argilla, parimenti

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non è necessario essere compositori – o conoscere le regole sintattiche della musica – per ideare un motivetto.

Se tutti gli esseri umani, allora, sono dei compositori di musica e lo sono quasi quotidianamente, consapevolmente o inconsapevolmente che sia, ciò significa che pure i bambini e le bambine lo sono e anche i neonati probabilmente. In verità, non mi è capitato poi così spesso di udire canzoncine come Fuori piove nel corso delle lezioni di musica impartite ai più giovani e alle più giovani ma ritengo che ciò dipenda, prevalentemente, dall’inibizione che accomuna molte delle persone di quell’età (Balda & Duhan, 2010). Qualche volta, infatti, ho notato dei comportamenti più vivaci del solito in certi alunni maschi di età compresa fra i sei e i dieci anni, dovuti al fatto che – come mi hanno confessato in seguito – si fossero presi una cotta per la compagna di classe; in quei momenti di euforia, puntualmente, sono divenuto fruitore di varie canzoncine improvvisate, partecipi delle liriche più fantasiose: ne rammento una in particolare che narrava, allegramente, di un insetto-batterista con le bacchette al posto delle antenne. Insomma, sospetto che queste curiose filastrocche siano prodotte più spesso di quanto ci si aspetti, solo che, per innumerevoli ragioni, esse vengano ignorate: se i miei nonni, i miei genitori e i miei parenti, pienamente a conoscenza di Fuori piove, siccome io non ebbi inibizioni nel cantarla112, non si sono posti alcuna domanda intorno al fenomeno in questione, verosimilmente ciò accade regolarmente anche nelle altre famiglie di non musicisti o nelle famiglie in cui i bambini e le bambine si vergognano di esprimersi creativamente.

Fenomeni di produzione musicale quotidiani di modesta complessità che implicano non musicisti, come discusso nel secondo capitolo, hanno un retaggio assai antico, probabilmente neandertaliano. Succede soventemente che le attività che concernono la musica svolte dai non musicisti – quali canticchiare, fischiettare, tamburellare qua e là, tenere il tempo con il piede, ecc.113 – avvengano in situazioni poco stimolanti o che non richiedano particolare sforzo cognitivo. In molti cantano sotto alla doccia o fischiettano mentre guidano – due attività giornaliere e, tutto

112 Peraltro, rammento con lucidità il momento in cui ho acquisito una certa inibizione relativa al canto in pubblico. Una domenica pomeriggio, a sette anni circa, mentre canticchiavo una canzone in un parco giochi, mi imbattei in un ragazzo più grande di me che mi domandò se facessi parte di un coro; alla mia risposta negativa, egli esclamò con severità di smettere immediatamente di cantare e io, intimorito, gli diedi ascolto.

113 Attività che, invero, coinvolgono moltissimo anche i musicisti ma – in questo caso – per ragioni professionali come l’esercizio.

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sommato, abbastanza automatiche – oppure si percuotono ritmicamente le ginocchia con le mani mentre siedono in una sala d’attesa, aspettando il proprio turno – situazione indubbiamente poco interessante. In sostanza, come ipotizza Sacks (Sacks, Musicofilia, 2008), in alcuni momenti privi di stimoli significativamente rilevanti, il cervello si concentra sull’ottimizzazione di talune facoltà che, biologicamente, hanno o hanno avuto valenza determinante. In natura esistono molteplici esempi di ciò, basti pensare al gatto domestico che, sebbene venga nutrito dalle persone che lo hanno adottato – tant’è che i gatti domestici tendono a rivolgersi agli esseri umani con lunghi miagolii quando hanno fame –, non solo conserva per tutta la vita uno spiccato istinto da predatore, ma di frequente si cimenta in giochi che simulano la caccia, per esempio con oggetti di uso comune trovati per casa, al fine di allenarsi. Se tutto ciò è vero, dunque, gli impulsi di produzione musicale dei bambini, sono un’altra forma naturale di autostimolazione cerebrale che, in questo specifico caso, avviene in condizione pregrammaticale spinta. A pensarci bene, a due anni, chiuso in casa per la pioggia nell’appartamento dei nonni, senza giocattoli o altri passatempi, eccetto che guardare fuori dalla finestra, non mi stavo divertendo molto. Certamente, la mia considerazione non intende sottrarre merito artistico ai componimenti, qualunque sia l’iter che è stato seguito per il relativo concepimento e per la relativa realizzazione, così come non intende ascrivere a pura contingenza biologica e spontanea il tipo di fenomeno in questione, oppostamente credo fermamente che sia insita nella natura umana stessa una imprescindibile connessione fra coscienza e fenomeni biologici. In altre parole, qualunque sia l’occorrenza biologica, l’essere umano è in grado di soddisfarla, attenuarla, modificarla e così via attraverso l’intervento della propria coscienza. Non sembra affatto un caso, giustappunto, che in una giornata di pioggia, in casa coi nonni, abbia associato al motivetto sonoro che ho ideato proprio il testo

Fuori piove / Fuori piove / La gente a casa sua / Nonni nonni / Nonni nonni.

Così tutti gli altri bambini e tutte le altre bambine e, ancora, tutti gli esseri umani in generale, sono perfettamente in grado – in condizioni di normalità – di sviluppare i propri impulsi musicali biologici secondo la propria volontà, ossia il proprio gusto, la propria esperienza, il proprio stato d’animo, le proprie inibizioni e così via.

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Il nipotino di Stewart Copeland, citato nel terzo capitolo, prima ancora di parlare, si è dimostrato in grado di cantare Alphabet Song con la giusta intonazione, scandendo coerentemente il tempo in 4/4, io invece – alla stessa età – ho saputo articolare una tonalità in maniera corretta ma ho seguito una cadenza ritmica tutta mia, libera. La differenza principale presentata dai due casi riguarda sicuramente il contesto ecologico: è assai probabile che il nipote del celebre batterista sia stato esposto, fin dalla nascita, a molta musica di origine prevalentemente occidentale e quindi abbia potuto acquisire abbastanza rapidamente le relative grammatiche musicali, fuoriuscendo dalla condizione pregrammaticale spinta; differentemente io, avendo ricevuto un’esposizione musicale sicuramente minore, ma avendo potuto – ad esempio – strimpellare ogni tanto un vecchio pianoforte scordato presente nell’andito dell’appartamento dei miei nonni, potrei aver acquisito entro i due anni, grammatiche musicali inerenti a talune tonalità ma non inerenti al ritmo – elemento fondamentale della musica – permanendo ancora in una condizione pregrammaticale spinta. Peraltro, numerose evidenze raccolte da indagini su persone affette da amusia, indicano che ritmo e tonalità siano elaborate in maniera differente da parte del cervello (Hyde, Zatorre, Griffiths, Lerch, & Peretz, 2006). In secondo luogo, un’ulteriore divergenza cruciale riguarda le canzoncine in questione: Alphabet Song, de facto, è un componimento appreso dal nipotino di Copeland ma non ideato dallo stesso, indi una ricorsiva esposizione al medesimo, benché favorisca la costituzione della grammatica ritmica adeguata, potrebbe non essere sufficiente a renderla paradigmatica per tutte le scansioni temporali analoghe che verranno udite successivamente; Fuori piove, invece, essendo una composizione di mia invenzione in condizione pregrammaticale spinta, è stata concepita senza necessità di seguire talune regole – quasi sempre – ferree, ossia una ciclicità ritmica, seguendone solo altre come, giustappunto, la tonalità. L’acquisizione di grammatiche, inoltre, non corrisponde strettamente alla capacità di metterle in atto praticamente, quantunque in modo altamente semplificato – fischiando o battendo le mani, per esempio. Difatti, non è raro che uno studente o una studentessa di musica, totalmente in grado di schioccare le dita a tempo seguendo un’incisione oppure di rilevare errori nell’esecuzione altrui, si trovi in difficoltà anche in semplici compiti ritmici. Ciò dipende dal fatto che, rispetto all’ascolto puro della musica, riprodurre quest’ultima attivamente richieda una profonda coordinazione motorio-

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uditiva che esula dalla grammatica musicale, nei musicisti principianti, i quali, nel corso della performance, tendono a mettere quest’ultima in secondo piano, a favore delle azioni coscienti: ho constatato che, spontaneamente, gli alunni e le alunne diano priorità all’esecuzione proceduralmente corretta di un esercizio, anziché al contesto ritmico, nonostante le mie raccomandazioni di comportarsi nella maniera del tutto opposta. Ad esempio, è assolutamente più facile che un batterista principiante esegua una rullata rispettando i vari passaggi di cui essa è partecipe, rallentando, fermandosi o accelerando – poiché rivolge attenzione top-down all’esecuzione – pur non risolvendo in modo coerente col ritmo, piuttosto che modifichi quel pattern – a costo di commettere qualche errore tecnico – onde restare in linea con il ritmo. Senza dubbio, fra le due opzioni la seconda è sempre preferibile ma richiede che si ponga celermente l’attenzione su un ente – indi la grammatica del ritmo – che generalmente agisce da sé. In aggiunta, la modifica di un pattern durante la performance, per non essere partecipe di errori, necessita di una certa attitudine all’improvvisazione, che non può prescindere da una buona consapevolezza tecnica e teorica a priori. In altre parole, fra sentire – e presentire – l’andamento ritmico di un brano suonato da altri e doverlo scandire senza alcun riferimento eccetto che la propria mente, c’è una bella differenza. Vale lo stesso per melodia ed armonia. Da piccolo, dunque, probabilmente influenzato da qualche componimento popolare famoso privo di evidente scansione ritmica per la mancanza di sezione di percussioni – come qualche canto natalizio – devo aver dato sfogo ad una occorrenza musicale raccontando ciò che stavo vivendo in un certo momento, attraverso una tonalità parzialmente appresa a livello grammaticale, senza considerare l’esistenza di un correlativo temporale, dacché non conoscessi ancora grammatiche ritmiche.