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Regole grammaticali mentali della musica

4.3 Rumore e grammatica

Sia nel 2017 con un nutrito gruppo di musicisti, sia nel 2019 con una dozzina di studenti liceali, ho attuato uno specifico esperimento di mascheramento sonoro finalizzato a delineare i meccanismi di funzionamento delle grammatiche musicali. Ho riarrangiato il noto brano tradizionale Mary had a little lamb utilizzando un

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sintetizzatore che la riproducesse in onde quadre114, nonché un pad115 ad onde sinusoidali che producesse uno sfondo sonoro di fondamentali, e allungando l’ultima misura del giro musicale acciocché durasse sette semiminime, anziché quattro, al fine di mantenere inalterati certuni elementi di chiara riconoscibilità della sintassi musicale e, nondimeno, al fine di aggiungerne altri elementi di novità, come la veste elettronica ed il tempo dispari finale. Successivamente ho creato un loop di cinque minuti circa con la linea sonora in questione, che ho iniziato a “sporcare” progressivamente con l’aggiunta – sempre più marcata a livello di volume – di una traccia di rumore bianco, dopo circa un minuto di riproduzione costante. Allo stesso tempo ho programmato un’automazione di abbassamento del volume della traccia di Mary had a little lamb che, principiando subito dopo il primo minuto, la facesse scomparire completamente entro ulteriori novanta secondi. In sostanza, ho fatto in modo che la seconda metà della registrazione fosse esclusivamente partecipe di bruitisme116. Infine, ho fatto ascoltare questa incisione ai volontari, domandando di prestare attenzione alla melodia e non al rumore, cosicché potessero individuare il momento esatto in cui essa fosse scomparsa. Il più veloce dei soggetti ha ritenuto che la musica fosse terminata a circa tre minuti dall’inizio, ovverosia trenta secondi dopo l’effettivo momento di interruzione; generalmente, invece, i partecipanti all’esperimento hanno dichiarato di percepire Mary had a little lamb fino ad un minuto dopo la reale sospensione della linea musicale. Addirittura, un paio di persone hanno sostenuto di aver sentito il celebre motivetto quasi fino al termine del rumore bianco. Ciò, peraltro, collima parzialmente con l’esperienza di allucinazione acustica del biologo statunitense Michael Sundue, il quale, durante un periodo di leva militare nelle forze navali, viaggiando per mesi all’interno di un’imbarcazione, in cui restava esposto in modo continuato al monotono e grave mormorio del motore di un frigorifero e al sottile sibilo del vento – molto prossimi alla concezione di rumore bianco – udiva, via via, delle composizioni musicali nascoste tra i ronzii e persino la voce di suo padre chiamarlo117 (Sacks, Musicofilia,

114 Suono composto dalla alternanza regolare di due segnali elettrici (Lombardo & Valle, 2008). 115 Particolare tipo di sintetizzatore adatto particolarmente a riprodurre accordi di sottofondo. 116 Derivato dal termine francese bruite, si tratta di un sostantivo utilizzato per indicare il rumorismo o la noise music.

117 Questo aneddoto mi ha affascinato fin dalla prima volta che ho avuto modo di leggerlo siccome anche io, da piccolo, ho sperimentato spesso l’illusione di sentire mio padre esclamare il mio nome con tono un po’ severo, durante situazioni particolarmente rumorose, quali fiere, feste, pulizie di casa e simili.

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2008). Il rumore bianco, come già discusso nel secondo capitolo, equivale ad un brusio qualificato da totale assenza di periodicità nel tempo e da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze, perciò sembrerebbe paradossale che possa, talvolta, rappresentare un possibile veicolo di attivazione delle grammatiche musicali.

Invero, questo esperimento preliminare fornisce dati promettenti circa la teoria delle grammatiche musicali lo scopo di tale test di mascheramento sonoro, infatti, è stato quello di constatare che il cervello, stimolato musicalmente – cioè avendo percepito una scia musicale non del tutto familiare rispetto alle grammatiche possedute – tentasse di appigliarsi alle afferenze sonore ricevute per decodificare la sintassi proposta anche dopo l’interruzione della melodia. Gli esiti positivi dell’osservazione, nondimeno, forniscono pure ulteriori dati assolutamente determinanti circa la natura delle grammatiche musicali. È d’uopo analizzare il fenomeno più approfonditamente. In primis, la scelta del brano Mary had a little lamb non è stata casuale ma, come per Happy Birthday to You, si è basata sulla speranza che esso fosse già conosciuto da più persone possibili – fortunatamente, tutti i partecipanti avevano avuto modo di ascoltarlo diverse volte nel corso degli anni. In altre parole, questo particolare motivetto è stato selezionato in quanto partecipe di una sintassi plausibilmente decodificabile da un vasto numero di persone che, per via dei numerosi ascolti precedenti, avevano già acquisito la grammatica adatta allo scopo. La decisione di modificare la timbrica del componimento attraverso strumenti elettronici, invece, è stata presa considerando il fatto che, normalmente, le versioni del medesimo sono partecipi di timbriche prevalentemente analogico-acustiche, pertanto, un radicale mutamento stilistico come questo verosimilmente avrebbe grammaticalmente destabilizzato, in una certa misura, i fruitori. Data la possibilità che la particolare timbrica del brano potesse non essere sufficiente a sbilanciare la grammatica pregressa dei musicisti specialmente – dacché alcuni di loro si occupavano proprio di musica elettronica – ho pensato di cambiare l’ultima misura del giro musicale con un tempo atipico, per essere certo di proporre una versione della canzoncina mai ascoltata prima. Anche un musicista con ampie conoscenze di stili elettronici, di tempi dispari e di brani popolari, probabilmente, non sarebbe stato in grado di decodificare immediatamente tutti gli aspetti insoliti del mio arrangiamento. L’aggiunta del rumore bianco, poi, è stata determinata dalla considerazione che esso, anche se a

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basso volume, spesso è presente nelle incisioni in studio pure di artisti famosi, si pensi, exempli gratia, all’album Frizzle Fry della band statunitense di musica alternativa Primus, perciò parrebbe plausibile che, in una certa misura, esista una sorta di grammatica musicale che possa contemplarne la presenza. A maggior ragione, il rumore bianco è pure presente nei contesti di performance dal vivo in cui siano usati sistemi di amplificazione elettromeccanica, poiché qualunque amplificatore – quantunque propriamente connesso all’impianto elettrico – emette almeno un leggero fruscio benché non venga sollecitato da impulsi di alcun tipo. Il rumore bianco, però, potrebbe pure essere un elemento di disturbo sonoro da cui il cervello, durante l’ascolto della musica, distoglie l’attenzione, piuttosto che un aspetto grammaticale, nondimeno, in entrambi i casi, si presuppone una netta abituazione al medesimo, dal momento che, comunque, esso non disturba significativamente la fruizione del fatto musicale. Al di là di ciò, non esistono composizioni – eccetto quelle sperimentali – in cui il rumore bianco vada a sovrastare così prepotentemente la linea principale. In altre parole, l’ascolto della mia versione di Mary had a little lamb ha determinato una compenetrazione fra musica e rumore bianco che ha mescolato i confini dei due enti, cosicché la grammatica musicale stimolata dalla sintassi del bizzarro arrangiamento continuasse a cercare appigli pure sulla afferenza uditiva non musicale.

Ma allora, il rumore bianco – o rosa o blu che sia – rappresenta per il cervello anch’esso una sintassi musicale per cui si possono sviluppare grammatiche pertinenti? O meglio ancora, il rumore può essere musica? E se sì, quali sono i limiti della grammatica?

Per rispondere a queste domande, è necessario primariamente definire il concetto di rumore, partendo, in questo caso, dal rumore bianco. Prendendo le mosse dalle considerazioni precedenti intorno alla differenza fra accordo e sequenza sonora, si può definire il rumore bianco come l’intricata commistione di avvicendamento e di sovrapposizione di sintagmi acustici per tutto lo spettro di frequenza udibile dagli esseri umani. In altre parole, questo tipo di stimolo sonoro contiene ogni possibile microtono – nonché ogni frazione di microtono, anche la più impercettibile – in ogni intervallo di tempo, dunque, si rivela come una specie di accordo prolungato a oltranza e, per questo, come discusso in precedenza, non può rientrare nella definizione di musica. Nondimeno, come tutti gli altri accordi o come

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tutte le altre note da sé, esso assume valore musicale se opportunamente rapportato con un altro contesto sonoro che sia partecipe di una certa coerenza musicale, proprio come due note singole che da sole non producono fatto musicale, ma insieme, invece, lo possono originare. Effettivamente, il rumore potrebbe sembrare partecipe di tonalità specifica, pur venendo ascoltato da sé: ciò dipende dai rapporti di dominanza e di subordinazione fra le note, descritti dalla curva di Fletcher- Munson; un accordatore, infatti, non riesce ad individuare il tono del rumore bianco ma schizza da un estremo all’altro del suo range freneticamente, poiché il relativo sistema di ricezione della vibrazione acustica è abbastanza diverso dal sistema uditivo umano. Il rumore bianco relazionato ad un altro fatto musicale, essenzialmente, produce sempre fatto musicale poiché è partecipe sia di tutte le note che compongono Mary had a little lamb e di tutte le note che potrebbero armonizzare questa composizione coerentemente, sia di tutti i toni che si trovano in dissonanza con il brano in questione e che numericamente sono molti più di quelli consonanti, in qualche intervallo di tempo. Fatto musicale, giustappunto, non equivale a coerenza grammaticale, bensì a condizione di esistenza della scia musicale, la quale può essere sia dissonante che consonante; essa non sussiste solamente nel caso in cui due o più afferenze acustiche in successione non generino alcun significato diverso da quello di cui sono comunque partecipi singolarmente. Il rumore bianco, allora, può essere recepito come forma musicale ma soltanto quando esso sia partecipe di una qualche forma di alternanza o tonale o ritmica che possa generare scia musicale. Esso, se opportunamente alzato ed abbassato di volume a intervalli regolari, per esempio, può divenire una sorta di percussione digitale che assume valore ritmico. Similmente, il rumore blu, alternato al rumore rosa, produce scia musicale data la costituzione di un rapporto musicale fra altezze differenti. Il rumore, ad ogni modo, può declinarsi in numerose altre forme – più naturali – e contenere perciò, intrinsecamente, una serie di intervalli sia ritmici che tonali. Si pensi, ad esempio, al suono emesso da un fabbro che colpisce un’incudine col suo martello: esso è ritmato, quantunque irregolarmente, per via dei colpi che si succedono nel tempo, nonché intervallato tonalmente siccome, in base alla parte dell’incudine colpita, viene emessa una nota differente.

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Allora perché quel tipo di rumore e tutti i rumori concettualmente affini ad esso non generano scia musicale? Oppure la generano ma le grammatiche non sono in grado di decifrare tali sintassi?

Per rispondere torniamo all’esempio del fabbro. Egli è un individuo che sbatte un oggetto metallico sopra una superficie metallica al fine – plausibilmente – di piegare un qualche oggetto di un simile materiale: per lui i rumori emessi dai colpi sono soltanto un effetto collaterale del lavoro che sta compiendo, la cui finalità è il modellamento di una particolare forma e nulla più. In altre parole, il fabbro non ha alcun interesse a porre l’ascoltatore in condizione di frequentare quei suoni, dunque, quest’ultimo, come esposto ad una bizzarra improvvisazione estemporanea, non ha modo – almeno in un breve lasso di tempo – di iniziare a “prendere confidenza” con la astrusa sintassi. In virtù di questo fatto, tuttavia, l’ascoltatore potrebbe riprendere il fabbro che lavora con un registratore portatile e, successivamente, campionare alcune decine di secondi di quell’incisione. Esponendosi ripetutamente a quel documento acustico, pertanto, l’ascoltatore presto apprenderebbe la sintassi musicale – involontaria – di cui è partecipe quel breve frammento, riuscendo a decifrarlo al pari di qualunque altra composizione. Nel brano Il giardino del mago (Nocenzi & Di Giacomo, 1972) del complesso progressive italiano Banco del Mutuo Soccorso, per esempio, alla seconda strofa, insieme alla musica e al testo, si possono udire dei rintocchi metallici desincronizzati rispetto all’andamento generale della composizione, i quali però, dopo vari ascolti della medesima, diventano parte integrante e coerente dell’atmosfera generale. Apprendere la grammatica specifica di un singolo frammento di registrazione contenente rumore, ciononostante, non equivale ad apprendere una grammatica universale per quel tipo di rumore in ogni possibile sfaccettatura poiché esso, differentemente dalla ripresa audio, non presenta appigli sintattici che ne permettano una sufficiente frequentazione. Il rumore, dunque, può essere definito come un solo suono o una sequenza cronologica di suoni che non producano fatto musicale. È necessario, conseguentemente attuare alcune considerazioni: il rumore, fisicamente, non è partecipe sostanziali differenze con la musica ma cambia solo il modo di recepire questi due enti da parte del cervello; il fatto musicale si differenzia dal rumore poiché quest’ultimo non è partecipe di appigli ritmici o tonali – nel suo naturale decorso – che possano essere associati ad una qualche sintassi. In altre

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parole, il rumore è fenomeno acustico privo di sintassi. La sintassi del rumore inizia a delinearsi quando un frammento di rumore viene ripetuto ciclicamente e per questo assume valenza sia ritmica che tonale a cui il cervello può appigliarsi.

A tal proposito, nel 2017 ho compiuto pure un altro esperimento che mettesse in evidenza il comportamento del cervello rispetto al rumore, seguendo il suggerimento del professor Marco Trapani. Ho prodotto un brano randomico utilizzando le prime mille cifre della costante matematica Pi greco, trasponendo le cifre di cui esso è partecipe in note118. Considerate le cifre del Pi greco a serie di tre, alla prima cifra della serie ho associato una corrispettiva corda della chitarra – con lo zero equivalente al Mi grave e il cinque al Mi cantino119, nonché le cifre intermedie equivalenti alle corde intermedie. Alla seconda cifra ho associato il tasto relativo alla corda da suonare – con lo 0 equivalente alla corda suonata a vuoto e ogni cifra successiva corrispondente ad un semitono in più. Alla terza cifra della serie ho associato la durata della nota – con zero equivalente alla semibreve, sei equivalente alla semibiscroma e le cifre intermedie equivalenti alle durate intermedie. Nel caso in cui la cifra abbia superato gli intervalli scelti, allora il valore assoluto della differenza della medesima con quella successiva ha sostituito la cifra inaccettabile, spostando l’intero processo di una cifra in avanti. Nel caso in cui anche la differenza col numero adiacente successivo fosse risultata inaccettabile ho compiuto un’ulteriore sottrazione con la cifra successiva – e così via – fino all’ottenimento di un valore compreso nell’intervallo. Il risultato – uno spartito di circa quaranta misure in 4/4 eseguito al pianoforte a velocità di cento battiti per minuto, a tratti riecheggiante talune sperimentazioni del compositore ungherese György Ligeti – non è stato reputato, al primo ascolto, essere musica da quasi nessuno dei musicisti che ho sottoposto all’esperimento ma, effettivamente, ha iniziato ad assumere una qualche connotazione musicale a seguito di ulteriori ripetizioni. Proprio come nel caso del rumore, se il brano fosse andato avanti all’infinito, allora il cervello di alcun musicista, per quanto esperto, avrebbe potuto iniziare a sviluppare grammatiche musicali adeguate a decifrare l’oggetto in questione, nondimeno la reiterazione dello

118 È stata utilizzata una costante matematica poiché in informatica non esistono software capaci di produrre casualità: è evidente che un programma computazionale, basandosi su certuni algoritmi, si trovi – idealmente – in totale contrapposizione con il concetto di casualità. Altresì, non è stato nemmeno ammissibile il presupposto di suonare uno strumento musicale casualmente siccome non sarebbe possibile dimostrare che i processi involti nell’esecuzione siano randomici.

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stesso frammento ha posto le basi perché una decifrazione potesse incominciare, quantunque timidamente. Questo brano sperimentale, inoltre, si differenzia spiccatamente dal rumore del martello del fabbro sull’incudine, poiché fin da subito, al di là delle notevoli complessità sintattiche, sembra essere un fatto musicale. Invero, si potrebbe ritenere che entrambi i casi siano fonte di scia musicale ma, date le evidenti alterazioni di altezze tonali in successione e la timbrica del pianoforte – ampiamente conosciuta da musicisti e non musicisti – proprie dell’esperimento musicale, è lecito reputare che quest’ultimo, rispetto alle martellate dell’artigiano, possa essere immediatamente decodificato sotto certi rispetti, comunque non esaustivi, dissimilmente all’altro caso che, con probabilità, non è mai stato frequentato alla stregua di musica, ma solo come fatto acustico ambientale caratteristico di certe botteghe e officine. Per questo, una composizione al pianoforte, per quanto bizzarra possa essere, verrà immediatamente percepita come fatto musicale, a differenza di un rumore di natura non musicale. La riprova di ciò è stata abbastanza facile da ottenere: ho registrato il suono di alcune martellate vibrate ad intervalli regolari e poi ho inciso una nota – la stessa emessa dalle martellate – con un pianoforte, seguendo i medesimi intervalli. Ho, in seguito, fatto ascoltare le due tracce a trenta persone fra musicisti e non musicisti, di età compresa fra i venti ed i sessanta anni, domandando a cosa pensassero durante l’ascolto. Sostanzialmente, alle martellate hanno quasi tutti associato termini come industria, lavoro, ferro e simili, mentre alle note di pianoforte sono stati associati, più che altro, termini come concerto, musica, introduzione e simili. Fondamentalmente l’unica diversità fra le due linee acustiche è stata la timbrica: evidentemente essa è più efficace nella stimolazione delle grammatiche pregresse quando rimanda direttamente ad ambiti musicali – come la timbrica del pianoforte, giustappunto – in rapporto a sonorità che sono, al contrario, proprie di ambienti estranei alla musica – come le martellate.

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