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Riquadro 5: mappa concettuale del processo partecipativo Education Equals Economics

2.8 I benefici dei processi partecipat

L’approccio partecipativo implica il coinvolgimento attivo dei beneficiari potenziali nelle diverse fasi di un piano, fin dalla sua ideazione. Questo approccio, conosciuto come bottom-up, ha avuto un notevole successo, ma non sempre gli si attribuisce un significato univoco, così come dai due esempi sopra riportati.

In molti casi, ad esempio, esso viene interpretato come un importante fattore di democrazia locale, tuttavia le ragioni principali per cui un approccio “dal basso” si dimostra efficace nel migliorare la qualità dei progetti di sviluppo locale.

Un’attività di diagnosi strategica orientata ad un sistema territoriale circoscritto (unità ecologica) non può prescindere, sia nella fase di analisi che in quella di decisione strategica, dalla raccolta e dal confronto di elementi conoscitivi detenuti esclusivamente dai diversi gruppi di attori locali che operano nell’ambito di quel sistema. Questa constatazione, che rappresenta il “principio operativo” del bottom-up, è illustrata chiaramente ad esempio nel metodo del Project Cycle Management che, messo a punto per migliorare la qualità dei progetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, ha poi fortemente influenzato il sistema di procedure e raccomandazioni che riguarda tutta la programmazione dei fondi strutturali dell’UE [https://ec.europa.eu].

Si tratta quindi di suscitare la condivisione di informazioni, percezioni, esigenze, visioni e, più in generale, conoscenze implicite ed esplicite per farle diventare patrimonio di tutti gli interessati anche potenziali.

È necessario creare un senso di appartenenza al progetto tra gli attori che saranno mobilitati in fase di implementazione altrimenti si corre il rischio di disaffezione al progetto stesso.

Questo processo, che riduttivamente viene interpretato come un’attività propagandistica di “costruzione del consenso”, implica in realtà un’evoluta capacità di ascolto ed animazione per compiere il percorso che porta da un primo “allineamento delle visioni” ad una vera progettazione partecipativa delle strategie di intervento.

Il campo principale di applicazione dei sistemi partecipativi è quello della progettazione, nell’ambito del quale esistono diverse categorie di “metodologie partecipative” come descritto nei paragrafi precedenti.

Tuttavia, se opportunamente utilizzati, i metodi partecipativi si rivelano utili in tutti i casi in cui è necessario sviluppare nuove conoscenze a supporto di decisioni, comprese, naturalmente, le attività di valutazione. Questo è il significato di partecipazione inteso dalla scrivente: ovvero l’utilizzo di processi partecipativi a sostegno della democrazia deliberativa.

I possibili benefici della democrazia deliberativa sono molteplici. Di seguito vengono indicati i principali:

a) Accresce la cultura civica, rendendo i partecipanti cittadini più consapevoli e attivi nella sfera collettiva. I processi partecipativi in questo caso sviluppano le capacità e le competenze di coloro che vi prendono parte. Sotto questo profilo contribuisce dunque alla costruzione di capitale sociale, di senso di appartenenza e comunità, di rispetto, di relazioni e fiducia tra cittadini e tra questi e il sistema politico.

b) Produce decisioni migliori, ovvero che tengono conto di più punti di vista e tendenzialmente sono più argomentate anche attraverso canali diversi (abbiamo visto nel paragrafo precedente il richiamo alle mappe concettuali).

c) Consente di giungere a scelte condivise, incorporando le preferenze delle comunità interessate. Sono i cittadini a definire in cosa consista l’interesse pubblico. Per questo motivo le scelte compiute risultano più stabili in quanto hanno una maggiore capacità di resistenza di fronte ai cambiamenti delle situazioni nel tempo.

d) Aumenta la legittimità delle decisioni che, raggiunte con il coinvolgimento diretto delle comunità piuttosto che attraverso l’imposizione dall’alto o dall’esterno, risultano più accettabili e sono percepite come più eque.

e) Accresce la legittimità delle autorità che ricorrono a questo tipo di percorsi: coinvolgendo i cittadini e le comunità nei processi decisionali, si riduce la percezione che l’agenda sia guidata solo da gruppi d’interesse e dalla distribuzione sociale del potere.

f) Grazie al contributo degli interessati, aumenta le probabilità di successo nella fase di attuazione delle politiche.

g) Consente di gestire costruttivamente i conflitti, riducendone l’intensità e trasformandoli in opportunità di produzione di scelte condivise [Lewanski 2010].

Si può obiettare a queste affermazioni che le persone spinte verso un individualismo sempre più spiccato siano poco disponibili a concedere parte del proprio tempo alla cosa pubblica e che la cittadinanza attiva sia sempre meno un valore. Non vi è, in generale, una «fame di partecipazione», se non «contro», ovvero quando viene percepita una minaccia diretta (una infrastruttura sgradita, fenomeni di degrado sociale). Tuttavia è la partecipazione stessa a sviluppare il gusto di riappropriarsi della politica. Perché questo possa avvenire, come accennato, occorre peraltro che chi prende parte a tali processi sia persuaso che non si tratti di operazioni simboliche o manipolative, ma realmente capaci di influenzare le decisioni, il più alto grado della scala di Arnstein [Lewanski 2010].

I cittadini sono più motivati a prendersi cura della cosa pubblica quando hanno fatto esperienza diretta della partecipazione e acquistano fiducia nelle loro capacità e competenze e quando l’oggetto del processo partecipativo richiama l’interesse della comunità.

hoc degli amministratori per chiarire quali sono temi, luoghi e tempi della partecipazione. Inoltre è necessario stimolare una sensibilità da parte dei politici, che preveda una cessione di parte del proprio potere verso altri stakeholders [Palumbo 2004].

3. LA VALUTAZIONE

La valutazione all’interno di processi partecipativi deve diventare una componente necessaria, in linea con la più generale diffusione di una cultura della valutazione. Infatti la valutazione è ormai ritenuta componente essenziale di ogni programmazione di servizi, interventi e attività sociali e sanitarie.

Non ci si improvvisa valutatori, ma allo stesso modo non si può «seguire acriticamente mode e approcci culturali dominanti, bensì, da un lato, legare la valutazione a criteri e metodologie rigorose, dall’altro, calibrare l’analisi valutativa sull’oggetto preciso che vogliamo giudicare, sul contesto sociale specifico, sulle dimensioni reali del problema. Così, per intenderci, la valutazione non dovrà solo indicare astrattamente una metodologia teorica, ma declinarla e articolarla nel contesto specifico» [Altieri, Martino 2014:109].