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(Fonte: Originally published as Arnstein, Sherry R. "A Ladder of Citizen Participation," JAIP, Vol.

Arnstein nel 1969 definisce quali sono i livelli di partecipazione [Arnstein 1969]:

• Non Partecipazione (uso inopportuno della partecipazione)

Processi che attribuiscono un ruolo del tutto passivo, finalizzati esclusivamente a far accettare e ottenere il consenso per scelte politiche e progetti già deliberati dall’Amministrazione.

1. Manipulation: azione di informazione parziale ed unidirezionale, volta unicamente a pubblicizzare i programmi dell’Amministrazione ed a persuadere gli abitanti della bontà e dell’utilità dei progetti e degli interventi programmati.

2. Therapy: Interventi di accompagnamento sociale rivolti in particolare ad individui e gruppi sociali svantaggiati, percorsi formativi e professionalizzanti.

Consultazione e Concertazione

• Processi finalizzati al miglioramento dei progetti e delle scelte da effettuare, ma che non conferiscono reali poteri alla cittadinanza permanendo la fase decisionale di esclusiva competenza degli amministratori.

3. Informing: attività informativa corretta e completa sulle motivazioni delle scelte, sui contenuti progettuali e sulle possibili opzioni alternative.

4. Consultation: indagine sistematica sulle esigenze (questionari, interviste, …) ed ascolto attivo delle opinioni e delle proposte espresse (pubbliche audizioni, assemblee, incontri di lavoro, seminari a tema,..).

5. Placation: prevede l’inserimento, in numero limitato, di alcuni rappresentanti della comunità locale in organismi consultivi istituiti dalla pubblica amministrazione; svolge un ruolo di negoziazione in presenza di situazioni conflittuali ed interessi divergenti.

• Partecipazione attiva ed empowerment

Il diretto coinvolgimento nei processi decisionali non è visto solo come un mezzo per raggiungere uno scopo, ma come parte dei fini.

6. Partnership: coinvolgimento attivo, formazione di comitati tecnici paritetici, collaborazione tra enti pubblici, associazioni e organizzazioni dei cittadini per l’elaborazione e gestione di specifici programmi d’intervento.

7. Delegated power : conferimento di poteri reali ai rappresentanti delle comunità locali.

8. Citizen control: promozione e finanziamento di progetti autoprodotti e di forme di autogestione delle comunità locali.

La scala di S. Arnstein segnala diversi livelli di partecipazione e che “poca partecipazione” può significare “falsa partecipazione”.

Questo punto è di fondamentale importanza anche ai fini della possibilità di motivare i cittadini a partecipare. Solitamente ci si rende disponibili a dare il proprio tempo e energie se si ha una aspettativa concreta che non si tratti di operazioni simboliche o, peggio ancora, manipolative, ma

che le loro opinioni siano destinate a esercitare un’effettiva influenza sulle scelte finali. La partecipazione di persone tout court (non attraverso rappresentanze) non è tuttavia facile da stimolare: diverse ricerche mostrano che le persone partecipano solo quando interessate all’argomento, quando questo risulta particolarmente chiaro ed esplicito e li riguarda in prima persona [Bobbio 2004].

Il secondo punto è il dialogo. Qualunque sia il grado di trasferimento di potere ai partecipanti, la partecipazione certamente si basa su processi discorsivi: vi sono discussioni, scambi verbali che tendono più o meno ad essere manipolativi, talvolta negoziati e mediazioni. Ma non necessa- riamente si tratta di processi dialogico-deliberativi [Lewanski 2010].

La discussione risulta essere la modalità prevalente di confronto tra opinioni e interessi diversi nelle società democratiche. È raro però che il confronto verbale porti ad una mediazione tra le parti, con l’effettiva comprensione delle tesi divergenti. Solitamente si raggiunge il compromesso. Il più delle volte le modalità della discussione sociale, o inter-personale, tendono ad affrontare le questioni secondo una prospettiva di contrapposizione aprioristica e polarizzata. Probabilmente è questo il motivo per cui molti strumenti della partecipazione tendono a ricostruire situazioni e luoghi informali, meno standardizzati. Se pensiamo all’Open Space Technology, ad esempio, sappiamo che Owen lo ideò in quanto si rese conto che durante i congressi e i convegni per la maggior parte del tempo tutti si annoiavano, poi arrivava la pausa caffè e durante quei dieci minuti succedevano tutte le cose più interessanti. Così pensò che per fare incontrare le idee delle persone e ottenere grandi risultati, invece di fare dei convegni si sarebbero dovuto fare delle grandi pause caffè.

Il dialogo quindi deve essere favoriti attraverso strumenti che offrano la possibilità di comunicare in piccoli gruppi, per porzioni di territorio, talvolta attraverso forme originali di coinvolgimento della popolazione. A questo proposito vedremo successivamente alcuni esempi di strumenti, alcuni che vanno ad indagare la razionalità dei partecipanti (es OST) altri che invece mettono in evidenza lo scambio emotivo tra i portatori di esperienze attraverso forme di narrazione (es. teatro dell’oppresso).

La scelta del metodo per confrontarsi con la cittadinanza non è da sottovalutare. Uno degli aspetti che contraddistingue la partecipazione è l’alto tasso di attività relazionali: gran parte del lavoro viene svolto in una dimensione collettiva in cui project manager, animatori, tecnici ed attori del territorio interagiscono. Va da sé che la qualità del progetto è fortemente influenzata dalla qualità di tali relazioni e interazioni. Esse si svolgono in situazioni diverse che possono essere più o meno in forma di assemblea (incontri pubblici, workshop, dialoghi bilaterali, ecc.), più o meno formali (tavoli di concertazione, gruppi di lavoro, ecc.), più o meno decisionali (assemblee di partenariato, focus group, ecc.) e quindi, più o meno idonee a stimolare la creatività e l’intelligenza collettiva. La capacità di organizzare questo tipo di lavoro rendendolo efficace, dosando in modo appropriato le

diverse situazioni, facilitando le interazioni e stimolando la condivisione, è una delle principali abilità richieste a chi deve occuparsi della gestione del processo partecipativo [Pellegrino 2013]. Il terzo aspetto è la deliberazione. Questa viene definita come una modalità che mira a generare un consenso informato attraverso un metodo dialogico (in greco «discorso tra persone») che porti a comunicazioni interpersonali significative [Holman at al., 2007], a una progressiva comprensione delle ragioni altrui (senza rinunciare aprioristicamente alle proprie), a uno spostamento verso valutazioni più bilanciate, condivise, ragionate e orientate al cambiamento [Lewanski 2010].

La struttura e le regole dei processi partecipativi assicurano che le relazioni tra i partecipanti siano basate sulla simmetria e la reciprocità: tutti devono avere le stesse opportunità di esprimere le proprie opinioni e di essere attivamente ascoltati.

La comunicazione non è intesa nel senso di mera trasmissione di significati e contenuti fra emittente e ricevente, ma come costruzione di significati sociali e relazionali [Howell, Pearce 2002]. Ognuno dei partecipanti deve poter dare il proprio contributo attraverso le modalità comunicative che sono proprie della sua cultura o subcultura. Lo scambio dialogico in condizioni «protette» (nel senso che evitano possibili prevaricazioni) permette a coloro che partecipano di argomentare avendo come filo conduttore il bene comune piuttosto che interessi egoistici o individualizzati, oltre che creare un livello di empatia diffuso.

Il termine «deliberazione», l’ultimo fattore preso in esame, non implica necessariamente o esclusivamente l’assunzione di decisioni tout court, ma certamente occorre prendere in esame e pesare i vari aspetti di una questione di interesse collettivo/pubblico.

Un processo partecipativo, per essere definito tale, deve essere includente. Questo vuol dire che tutti i soggetti in gioco devono avere la possibilità di esprimersi nel modo migliore, a maggior ragione se ci si occupa di temi legati alle politiche sociali e socio-sanitarie. Il reclutamento dei partecipanti a tali processi dovrebbe quindi prevedere anche sforzi diretti a coinvolgere soggetti marginali che altrimenti non sarebbero presenti per ragioni culturali, sociali e materiali. Inoltre, come già anticipato, la maggior parte delle tecniche partecipative prevedono la presenza di piccoli gruppi proprio per favorire la possibilità di un coinvolgimento attivo.

2.5 Gli strumenti per la facilitazione dei processi partecipativi

2.5.1 Le Tecniche e gli Strumenti

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, negli ultimi anni si è assistito in Italia e in Europa ad un radicale cambiamento, che ha visto nuovi modelli di governance aggiungersi a quelli più

consolidati di government. Questo passaggio ha portato ad una crescente diffusione di progetti e strutture tese a coinvolgere cittadini e attori organizzati nei processi decisionali in campo urbanistico, della sostenibilità ambientale, della vivibilità degli spazi, nella pianificazione dei servizi, e più in generale delle politiche di sviluppo locale e delle politiche pubbliche integrate. Infatti, alla base di strumenti come l’Agenda 21 Locale, i Progetti Integrati Territoriali, i Programmi Comunitari quali Leader, Equal o Interreg, i Piani Sociali di Zona, i Piani Strategici per le città e altri, ci sono processi decisionali inclusivi che necessitano di metodologie per facilitare la partecipazione attiva delle persone. Di tecniche, strumenti e metodologie se ne contano moltissime, basti pensare che un recente manuale online inglese dedicato al Community Planning [www.communityplannig.net] presenta più di cinquanta metodi per la gestione di processi partecipativi nonché casi studio, scenari e principi; un lavoro, curato da Luigi Bobbio 2004, sui processi decisionali inclusivi descrive una selezione di circa venti strumenti tra i più utilizzati e diffusi in Italia e che tra l’altro possono essere adottati ed integrati secondo gli obiettivi e i vicoli posti dalla situazione locale. Interessanti portali - www. Change-management-toolbook.com;

www.loci.it - presentano una selezione di strategie, strumenti e metodi da applicare nei diversi

contesti organizzativi per facilitare gruppi di lavoro e processi di cambiamento. E' bene sottolineare che gli strumenti che verranno analizzati servono a condurre fasi di un processo partecipativo, che di certo non può concludersi con un evento. Ci sono metodologie più adatte a sensibilizzare e a stimolare i processi comunicativi, altre che sono finalizzate all’analisi dei problemi e alla costruzione di progetti, altre più efficaci con gruppi di poche persone, altre per facilitare la negoziazione e lo sviluppo di strategie operative. Ci sarebbero diversi modi per classificare gli strumenti: in base al numero “consigliato di partecipanti”, in base al tipo di reclutamento; se è uno strumento che ragiona sul fatto posto in esame o se ragiona in termini immaginari; se si tratta di strumenti con spiccato senso razionale o di altri che stimolano forme teatrali di rappresentazione; se di strumenti di tipo narrativo o di altri più di stampo organico. In ogni sub paragrafo verrà riportato quanto lo strumento indicato sia “tipicamente” utilizzato nei processi partecipativi (OST, Teatro dell’Oppresso, ecc) e quali strumenti metodologici potranno essere anche previsti in processi partecipativi (es focus groups). Alcuni strumenti hanno lo scopo di prendere una decisione finale che si elaborata in gruppo, altri invece favoriscono la condivisione dei problemi o delle criticità per arrivare ad elaborare una progettualità condivisa. Prima di esplorare i principali strumenti, si propone un quadro riassuntivo su una vasta gamma di strumenti indicando alcuni fattori descrittivi. Seppure è immaginabile che alcuni scienziati sociali presentino perplessità in merito, anche strumenti che non prevedono il coinvolgimento di un numero consistente di persone può essere definito partecipativo in quanto è il metodo con il quale viene condotto l’evento che ne definisce il significato.