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(Fonte: grafico a cura di Fausta Martino sulla base del modello proposto da Sabel e Zeitlin) 1. Le unità centrali e locali

stabiliscono, in consultazione con le parti interessate della società civile, obiettivi e strumenti per misurare il loro raggiungimento.

2. Le unità locali, rispondendo direttamente a quelle centrali, decidono autonomamente e con potere discrezionale come perseguire questi obiettivi.

3. Le unità locali, come condizione di questa autonomia, devono riferire regolarmente sulle loro prestazioni ed eventualmente adottare adeguate misure correttive, costruite sulla base di altre esperienze.

4. Obiettivi, strumenti di misurazione e procedure decisionali sono riviste periodicamente da una ampia gamma di attori in risposta ai problemi e alle opportunità rivelati dalla revisione del processo.

I processi di governance organizzati secondo tali principi, possono essere considerati sperimentali nel senso filosofico dei pragmatisti americani come John Dewey (1927), perché sistematicamente provocano dubbi circa le proprie ipotesi e pratiche; trattano tutte le soluzioni come incomplete e correggibili; producono un continuo adeguamento reciproco dei fini e dei mezzi attraverso il confronto di differenti approcci anticipando gli obiettivi generali comuni [Sabel 1998 e 2008]. Questi processi di governance possono essere considerati una forma di “poliarchia direttamente deliberativa” (DDP l’acronimo individuato dagli autori). Sono deliberativi perché usano argomenti per mettere in discussione pratiche già consolidate e avviano il riesame delle definizioni di un gruppo di lavoro, istituzionali ma anche quelle di interesse nazionale talvolta anche già consolidate. Sono direttamente deliberativi perché usano le diverse reazioni ai problemi attuali per generare nuovi punti di vista. Questi processi di governance sono poliarchici perché, in assenza di un ente decisionale centrale, i loro componenti devono imparare dagli errori e fissare obiettivi volta per volta.

Alcune architetture di governance sperimentalista di questo tipo sono diventate istituzionalizzate nell'UE attraverso una gamma di settori. Nonostante ciò occorre riconoscere che alcune pratiche sono ancora rivolte ad elite o stakeholders di particolare rilevanza piuttosto che a cittadini. Questi si estendono dalla regolazione dell'energia, dei servizi finanziari, alla concorrenza attraverso il cibo e la sicurezza dei farmaci, la riservatezza dei dati, e la tutela dell'ambiente per la giustizia e la sicurezza interna, lotta alla discriminazione e per i diritti fondamentali. La forma organizzativa di avviamento dello sperimentalismo può essere diversa: agenzie di rete, consigli delle autorità di regolamentazione nazionali, metodi aperti di coordinamento, cooperazione operativa tra i funzionari di prima linea, ecc.. A volte queste forme sono combinate. Architetture di governance con proprietà simili sono diffuse anche negli Stati Uniti, sia nella riforma dei servizi pubblici come l'istruzione e per il benessere dei bambini, nella regolazione dei rischi per la salute e la sicurezza pubblica, come per l'energia nucleare, la trasformazione dei prodotti alimentari e l'inquinamento ambientale. Due esempi calzanti sui servizi socio-sanitari verranno riportati nel capitolo xxx sul caso brasiliano e finlandese, per ora, per comprendere al meglio il modello di Sabel si riporta un esempio concreto rispetto alla direttiva europea sull’acqua.

2.3.2 Governance sperimentalista in azione

Secondo Sabel e Zeitlin, l'architettura sperimentalista nei regolamenti è ben illustrata dalla Direttiva europea quadro sulle acque (WFD) e dalla sua strategia comune di attuazione (CIS). Questa normativa è stata adottata nel 2000, dopo anni di negoziati intensi e sostituisce sette direttive

prescrittive dettagliate dal 1970 con un unico ampio e generale quadro. La direttiva mira a migliorare la qualità e la sostenibilità delle risorse idriche in tutta l'UE attraverso la gestione integrata dei bacini fluviali, mentre impone agli Stati membri di raggiungere “un buono stato di qualità delle acque” entro il 2015. Il concetto di “stato delle acque buono” è stato espressamente introdotto senza limiti precisi, con metodi, strumenti e valori da utilizzare per la sua valutazione da sviluppare attraverso l’ attuazione del progetto stesso. La direttiva quadro richiede inoltre agli Stati membri di “incoraggiare la partecipazione attiva di tutte le parti interessate” alla sua attuazione, in particolare nella produzione, revisione e aggiornamento dei piani di gestione.

Al fine di aiutare gli Stati membri ad attuare la direttiva quadro sulle acque ed evitare conflitti normativi derivanti da approcci incompatibili, organizzativamente è stato introdotto il CIS, un Ente che ha lo scopo di trovare una strategia comune per l’attuazione della direttiva. Il CIS fornisce documenti tecnici di orientamento non vincolanti, quali indicatori e valori per la misurazione della qualità delle acque e la definizione di “buono” stato delle acque. Rispetto agli indicatori si richiede poi agli stati membri di svilupparli in modo pragmatico sulla base di pratiche esistenti negli Stati membri, che incarnano le migliori conoscenze disponibili, e sono concepiti come documenti viventi oggetto di revisione costante e aggiornamento. Gli Stati membri sono inoltre tenuti a presentare relazioni periodiche sull'attuazione della direttiva, tra cui entrambi i piani e programmi per il monitoraggio dello stato delle acque e gestione dei bacini idrografici. La Commissione a sua volta produce le proprie relazioni di attuazione periodiche, tra cui l'esame dello stato delle acque dell'UE, indagini dei piani degli Stati membri, e le proposte di miglioramento futuro, ognuno dei quali attingono a tabelle e parametri di riferimento sviluppati attraverso il CIS.

Non solo i documenti prodotti dal CIS, ma anche le sue modalità organizzative, sono considerati provvisori e soggetti a revisione alla luce dell'esperienza. Le attività del CIS più in generale generano sia direttamente che indirettamente le revisioni della direttiva quadro sulle acque. Pertanto, le proposte legislative di nuove direttive “figlie” sono sviluppate in uno spirito di concertazione aperta attraverso esperti del forum consultivo, con i rappresentanti di organizzazioni non governative, associazioni di categoria ed esperti esterni, oltre che da parte delle autorità nazionali e della Commissione.

L’esempio dell’acqua è molto illuminante e anche contraddittorio per alcuni aspetti. Se da un lato esiste un forum consultivo di esperti, dall'altro il referendum sull'acqua, di giugno 2011, ha portato circa 27 milioni di persone ad esprimersi affinché l’acqua potesse essere considerata un bene pubblico. In questo modo sono state abrogate le leggi che parlavano di una sua privatizzazione e, coerentemente, essa sarebbe dovuta passare dalle società private al settore pubblico. Di fatto a questo sono seguiti: ricorsi in Cassazione, decreti legge, vuoti normativi e ricorsi al TAR.

controllo” in un mondo in rapida e turbolenta evoluzione. Nella società post moderna, regole fisse scritte da parte di un'autorità gerarchica diventano obsolete troppo velocemente per essere applicate efficacemente, e il divario risultante tra le norme e la pratica è colmato da una proliferazione inspiegabile di deroghe discrezionali ed eccezioni. L'approccio alternativo è quello di costruire e controllare i meccanismi di rilevamento e correzione degli errori “imponendo” loro di sviluppare piani sistematici verificabili per identificare e mitigare i possibili rischi nelle loro operazioni alla luce delle conoscenze disponibili sugli errori di sicurezza in contesti simili. Se volessimo riprendere la sociologia classica diremo che l’argomentazione è ancora il modo per dare una validità “scientifica” all’operato.

Questo nuovo approccio sottolinea l’importanza della “pianificazione altamente individualizzata”, della misurazione delle performance, e degli sforzi per aggregare e diffondere informazioni sulle pratiche efficaci.

La pietra angolare di questi nuovi programmi è la ridefinizione del rapporto convenzionale tra il centro e la prima linea. Il ruolo del centro non è più solo di monitorare il rispetto delle norme promulgate in prima linea, ma è responsabile di fornire l'infrastruttura e i servizi che supportano gli sforzi della prima linea.

2.4 Democrazia deliberativa e approccio partecipativo

Abbiamo inteso quanto la partecipazione sia uno strumento efficace per generare pratiche efficaci, ma “partecipazione”, il lemma in se, è un termine generico, usato in modo impreciso per indicare processo fra di loro molto diversi. Recarsi periodicamente alle urne, scrivere una lettera ad un quotidiano, andare in piazza a sentire un comizio, occupare i binari per protesta contro una discarica, prendere parte a una dimostrazione più o meno pacifica sono tutte forme di partecipazione politica. Nel linguaggio corrente tuttavia per partecipazione s’intendono quelle interazioni sociali (in genere all’interno di un percorso più articolato):

• in cui sono coinvolti cittadini e/o rappresentanti di gruppi di associazioni di qualche natura e le amministrazioni competenti per l’oggetto discusso;

• che sono rivolte in qualche modo alla risoluzione di una situazione collettiva percepita come problematica o all’assunzione di una decisione di interesse pubblico [Nanz, Fritsche 2014: 11]. Nella realtà operativa, tuttavia, accade che la dimensione partecipativa venga troppo spesso banalizzata, confinata nell’ambito della concertazione locale tra rappresentanze, la quale non è in grado di per sè di apportare risultati sufficienti né in termini di condivisione di conoscenze, né in termini di sviluppo di processi di intelligenza collettiva. Infatti, paradossalmente, uno dei punti di

debolezza più frequentemente rilevati nelle recenti generazioni di progetti di sviluppo locale riguarda proprio la mancanza di specificità delle analisi (valutazione ex ante) e delle strategie proposte.

Nella maggior parte dei casi questo tipo di carenze è legata ad una mancanza di consapevolezza riguardo l’importanza delle dinamiche di partecipazione e condivisione e, in particolare, ad un gap di abilità, intesa come quel mix di conoscenze ed esperienze (allenamento) che si traducono nel “saper fare” qualcosa, nel campo della facilitazione del lavoro in grandi gruppi [Altieri, Nicoli 2011].

Infatti, quando non se ne ha consuetudine, le attività partecipative, soprattutto quelle creative, spaventano molto, nell’incertezza di come e con quali esiti potranno svolgersi, danno una tipica sensazione di vuoto metodologico. In parte ciò è dovuto anche al fatto che spesso non si hanno riferimenti ad hoc. La partecipazione in questo senso rientra nel concetto di democrazia deliberativa (e non rappresentativa).

Come evidenziato nel primo capitolo, c’è una crescente disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Per ovviare a questo limite Lewanski propone di «prendere “semplicemente” la democrazia in parola: coinvolgiamo il popolo (demos), (ri)dandogli un po’ di potere (kratos)» [Lewanski 2010:6]. Oggi, il sistema politico è eccessivamente sbilanciato verso la rappresentanza e gruppi d’interesse ed esperti esercitano un grado d’influenza che appare incompatibile con gli stessi presupposti democratici. Lewanski, nel saggio “La democrazia deliberativa, nuovi orizzonti per la politica”, sostiene che per descrivere appropriatamente il fenomeno occorre tenere distinti tre aspetti: la partecipazione, il dialogo, la deliberazione. Il primo punto può essere decisamente argomentato attraverso la descrizione delle principali scale di misurazione del grado di partecipazione riportate nei riquadri di seguito: