Riquadro 5: mappa concettuale del processo partecipativo Education Equals Economics
3.1 Il senso della valutazione
Il processo di avvicinamento di studiosi afferenti a discipline diverse ad un tema multidisciplinare4 qual è la valutazione è passato attraverso numerosi convegni e pubblicazioni. Queste hanno favorito la divulgazione di tematiche proprie della valutazione, senza però giungere ad una vera e propria diffusione di conoscenze comuni o, quanto meno, ad un linguaggio condiviso.
Tale lacuna sembra colmata, da alcuni volumi recentemente pubblicati da autori che hanno percepito l’assenza, o comunque una carenza, di una base di appoggio concettuale e terminologico. Inoltre è bene ricordare la costituzione dell’Associazione Italiana di Valutazione, nata con lo scopo di promuovere e sviluppare la “cultura della valutazione”, che pubblica periodicamente la rivista dal titolo: “Rassegna Italiana di Valutazione”. L’obiettivo che si pone è quello di adottare strategie di ricerca che condividono la caratteristica di affrontare la complessità sociale senza nasconderla dietro schemi preconcetti o scorciatoie concettuali.
Saporiti, nel suo testo “La ricerca valutativa: riflessioni per una cultura della valutazione” del 2001, confronta la valutazione al comunismo in questo modo: “Uno spettro s’aggira per l’Europa- lo spettro del Comunismo, così, scrivevano cinquanta anni fa Karl Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del Partito Comunista. [….] parafrasando quel famoso incipit si potrebbe affermare che
4 Si utilizza il termine multidisciplinare nell’accezione proposta da A. Bruschi (“Metodologie delle scienze sociali”, Mondadori 1999, pp. 159-160), secondo il quale l’interdisciplinarietà implica una trasformazione delle diverse discipline, un loro “prodotto”, tale da generare una nuova teoria, mentre con multidisciplinarietà si designa il ricorso a teorie di discipline diverse, ma non per fonderle in teorie più generali, bensì per descrivere e spiegare meglio eventi specifici
anche oggi uno spettro si aggira per l’Italia, lo spettro della valutazione. «Ma il senso di questo incipit è ben diverso dal precedente. Mentre per Marx ed Engels il comunismo era uno spauracchio che incuteva spavento e richiedeva la più ferma opposizione della borghesia, la valutazione è un qualcosa d’auspicato, invocato, atteso e ormai anche imposto da chiunque e in ogni dove» [Saporiti 2001:9-10]. In molti servizi, compresi quelli di pubblica utilità, si evince una letteratura e una pratica anche molto sofisticata della valutazione. Ormai, la valutazione sembrerebbe una componente stabile ed essenziale delle attività di studio e di ricerca, della programmazione delle politiche pubbliche, dei processi decisionali e degli interventi sociali; nel settore pubblico, così come nel privato sociale e nella sfera del privato tout court.
E’ quindi possibile affermare che “Non si può non valutare”, utilizzando metaforicamente il celebre assunto di Watzlawick [1971] sull’impossibilità di eludere qualche forma di comunicazione. Si sostiene come non si possa mai essere esenti dal misurarci con qualche tipo di valutazione [Colasanto 2005]. Le azioni legate al valutare si sono moltiplicate a dismisura nella nostra società, a partire già dagli anni Ottanta del secolo scorso, tanto da non poterci esimere dal prendere in carico il problema del suo peso e del suo impatto sui fatti sociali. Qualunque politica, azione o ricerca sociale, comporta una qualche forma di valutazione. Ogni azione di politica sociale si intreccia con specifici approcci valutativi, che ne indicano il senso e il valore.
Bisogna però ricordare che intraprendere un percorso di valutazione non è affatto semplice. E non solo a causa dei molti approcci teorici, dai molti strumenti a disposizione, ma anche dall’indeterminatezza dell’argomento. La valutazione quindi spaventa e da molti operatori è vista come un vero e proprio “lupo cattivo” da evitare [Berti 2006]. La necessità di valutare i programmi sociali nacque infatti negli Stati Uniti d’America, in quanto una cospicua parte dei finanziamenti proveniva dal settore privato, che aveva il bisogno di capire se i soldi fossero spesi bene oppure no. Si affermava la necessità così della valutazione “sommativa” (summative), attraverso la quale si decideva se proseguire il programma rifinanziandolo, oppure modificarlo, oppure interromperlo. A questo tipo di valutazione, se ne contrapponeva un’altra, definita “costruttiva” (formative), effettuata al fine di capire cosa può essere migliorato nel progetto. La differenza è sostanziale e determina buona parte dell’atteggiamento con cui gli operatori percepiscono la valutazione [Berti 2006].
Nella vita quotidiana continuamente raccogliamo informazioni, le colleghiamo fra loro, le elaboriamo, formuliamo sulla base dei nostri criteri valoriali dei giudizi che ci consentono di prendere delle decisioni e assumere dei comportamenti. Si valuta quindi per conoscere cosa si sta facendo in merito ad una certa questione e cosa ne risulta, per farci quindi una opinione in merito e, se abbiamo l’opportunità e l’interesse, agire, intervenire. Valutare è quindi un’operazione ricorrente della nostra vita quotidiana, per lo più tacita, non tematizzata né esplicitata neppure a noi stessi.
Alla buona salute individuale e dei gruppi sociali giova infatti talvolta prendere coscienza, esplicitare e, nel caso, comunicare l’ “operazione valutazione”. Questo, in particolare, quando la valutazione si esercita su un oggetto di rilievo, o su questioni emergenti, nuove, o quando essa stessa è innovativa e introduce a comportamenti non in linea con opinioni e pratiche precedenti e ricorrenti. Questo vale anche per le Istituzioni Pubbliche, soprattutto quando operano in contesti o su campi tematici complessi e dinamici, che le spingono a innovare e programmare. È allora forte l’esigenza di sapere cosa effettivamente accade, con che risultati e conseguenze, di farsi un giudizio in merito per prendere le decisioni che paiono più opportune per migliorare, per rivedere e correggere, per qualificare, per selezionare azioni e attori, per sanzionare, se è il caso. Quando si tratta di istituzioni democratiche elettive, o quando il campo di azione considerato è popolato da molti attori e relativi interessi, l’esigenza che la valutazione sia trasparente, esplicita anche partecipata è più forte [De Ambrogio 2003].
La valutazione è quindi componente logica e ricorrente di politiche e di interventi che, come anche quelli sociali, presentano caratteristiche di complessità e pluralità di attori. Da molti anni si parla frequentemente di valutazione e la si prescrive anche in atti legislativi. Anche perché quello che nel passato avveniva secondo modalità spontanee e occasionali, oggi può essere effettuato utilizzando metodologie elaborate e strumentazioni specifiche, frutto di ricerche ed esperienze che soccorrono a migliorare nel merito e nel riconoscimento sociale l’utilità della valutazione. Da qui la tendenza ad assumerla come dimensione necessaria della definizione e della implementazione delle politiche, dei sistemi di servizi, di specifici interventi. Soprattutto quando tali azioni vengono ad assumere carattere programmatorio, con il relativo tipico percorso ciclico: analisi, decisione, azione, valutazione.
Accanto a questi fattori, ve ne sono altri che in questi anni hanno con essi concorso all’assunzione e diffusione della valutazione specificatamente, anche se non esclusivamente, nel campo delle politiche e degli interventi sociali, a diversi livelli istituzionali e gestionali. Creando una domanda che ha alimentato la crescita di un’offerta, di centri cioè “produttori” di valutazione o di formazione alla valutazione, nelle sue diverse declinazioni, che a loro volta, ovviamente, tendono ad indurre un’ulteriore espansione della domanda in termini non sempre giustificati.
Ciò che è omai certo è che la valutazione sta entrando sempre più frequentemente nella letteratura scientifica e l’attenzione posta a questo argomento è riconducibile ad un insieme di elementi:
• crisi del welfare state;
• crisi dei modelli organizzativi burocratici, centrati sul controllo delle prestazioni;
• crisi delle ideologie professionali che hanno caratterizzato il confronto interno ad alcune professionalità sociali [Bertin 1996].
(valutazione in base ad un modello teorico) e la value free evaluation (valutazione senza criteri di valore prestabiliti) [Masoni 2002]. Nell’albero della valutazione presentato nel paragrafo successivo si darà ampio spazio a questa distinzione.