Riquadro 6: L’albero della valutazione
4. IL QUADRO SUI SERVIZI SOCIALI E LO STATO DELL’ARTE DEL WELFARE SOCIO-SANITARIO ATTUALE IN ITALIA
4.1 Dal centralismo sociale al federalismo solidale
4.1.3 Terzo settore e partecipazione
L’ ex Agenzia per il Terzo Settore (oggi Ministero del lavoro e delle politiche sociali) ha pubblicato nel 2011 il documento “Linee guida sulla definizione di criteri e di modelli per la partecipazione
del terzo settore alla determinazione delle politiche pubbliche a livello locale”.
«Le […] linee guida, che trovano nel livello locale l’ambito preferenziale di riferimento per la loro applicazione, hanno la finalità di dettare principi che possano indirizzare e sviluppare le pratiche partecipative presenti o in via di sperimentazione sul territorio. Lo scopo è quello di declinare al meglio il tema della responsabilità delle decisioni pubbliche che si vanno ad assumere e di promuovere e rafforzare le forme attraverso cui liberamente si articola la società civile, aiutandola nell’interlocuzione con le istituzioni pubbliche per superare pratiche non inclusive o di chiusura»
[www. http://www.lavoro.gov.it/AreaSociale/AgenziaTerzoSettore/LineeGuida/Pages/default.aspx]. Il tema è di grande rilevanza visti i molteplici ambiti nei quali il ruolo del Terzo settore interagisce e tenendo conto dei vari momenti di confronto con le amministrazioni che esso ha. Il tema richiama da vicino meccanismi già sperimentati a proposito della partecipazione della società civile ai processi decisionali europei, lasciando emergere la difficoltà di stabilire un confine tra la libertà di
autodeterminazione del Terzo settore e la volontà regolatrice delle istituzioni coinvolte.
Il documento definisce il Terzo settore come «una delle più chiare espressioni delle capacità auto- organizzative della società» [Agenzia per il terzo settore, 2011: 5], riconoscendone altresì la legittima aspirazione a partecipare alla definizione delle politiche pubbliche. Ciò ha dato luogo ad una serie di esperimenti in cui diversi soggetti hanno iniziato ad interloquire con le istituzioni pubbliche al di fuori di un sistema condiviso di regole. È infatti fondamentale definire la natura di tale partecipazione, stabilendo una netta distinzione tra i livelli di partecipazione [cfr cap. 2]. A seconda dei livelli di partecipazione, si pongono infatti questioni di legittimità e rappresentatività dei soggetti coinvolti, nonché di verifica delle reali possibilità di incidere sui processi decisionali. I principi guida che dovrebbero definire i processi partecipativi sono rintracciati nel testo costituzionale e in particolare nel principio di solidarietà, sancito dall’art. 2, nel principio di uguaglianza sia nella sua dimensione formale che sostanziale, legata all’impegno della Repubblica a rimuovere eventuali ostacoli che potrebbero impedire “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Richiamando il principio di sussidiarietà orizzontale, descritto nel paragrafo precedente, il documento afferma che «un principio di particolare rilevanza che apre a sviluppi al momento
ancora inesplorati e che interroga il tema della partecipazione del Terzo settore ponendo gli enti che lo costituiscono sullo stesso piano di altri soggetti privati: il riferimento alla autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati consente ed impone infatti una lettura indifferenziata della molteplicità di soggetti potenzialmente coinvolti, all’interno della quale il terzo settore deve essere riconosciuto con una propria specificità» [Agenzia per il terzo settore, 2011: 8] Sembrerebbe
quasi che la legge, nella descrizione del principio di sussidiarietà, equipari la posizione del Terzo settore al ruolo delle istituzioni pubbliche nella definizione dell’interesse generale. Questo può essere secondo alcuni molto discutibile: le istituzioni pubbliche sono democratiche, cioè rappresentative di tutti i cittadini; di converso, un soggetto del terzo settore non avrebbe le caratteristiche democratiche e quindi rappresentative della cittadinanza, ma solo di un settore ben specifico. Tutto ciò è dimostrabile dal fatto che, molto spesso, le associazioni nascono su un tema specifico (soprattutto in sanità): associazione somatizzati, malattie rare, disabili psichici ecc; quindi non potrebbero stare alla pari.
Alla luce dei principi fondamentali, trasparenza e responsabilità divengono uno dei nodi centrali di tutta la riflessione. Nel momento in cui i soggetti del Terzo settore sono chiamati a partecipare alla definizione delle politiche pubbliche, è necessario che tale processo avvenga nella totale trasparenza e salvaguardando il principio di responsabilità politica nei confronti dei cittadini, che in realtà apparterrebbe in maniera esclusiva alle istituzioni ma, previo accordo preventivo e attraverso un
patto con i cittadini, può essere condiviso.
Il documento asserisce che «la partecipazione del terzo settore alla definizione delle politiche
pubbliche deve essere favorita grazie alla creazione di sedi strutturate di partecipazione, da coinvolgere nell’ambito dei procedimenti di tipo amministrativo o legislativo, o più in generale in tutti i procedimenti programmatori, al fine di contribuire alla determinazione delle politiche pubbliche» [Agenzia per il terzo settore, 2011: 12]. Il riferimento successivo a comitati, conferenze,
consulte e osservatori, quali luoghi deputati alla partecipazione del Terzo settore, capaci di garantire una stabilità e una continuità nel tempo al dialogo con le istituzioni, appare riduttivo seppure ovviamente può essere considerato un primo passo verso la partecipazione. Il rischio che si corre è il radicamento verso la rappresentanza da parte delle istituzioni non profit che rischiano a loro volta, così come le amministrazioni, di essere portatrici di un interesse proprio spacciandolo per un interesse della comunità. Il documento sostiene inoltre che sia «l’amministrazione interessata
(all’adozione di un determinato provvedimento o comunque all’elaborazione di indirizzi progettuali o politiche) ad attivare le modalità partecipative, senza che questo valga ad escludere la possibilità di richieste ed istanze provenienti dal mondo del Terzo settore, da tenere in adeguata considerazione» [ibidem].
A partire da ciò si delineano tre diversi modelli partecipativi:
a) la partecipazione organica, strutturata nelle sue forme e modalità di intervento;
b) la partecipazione procedimentale, non strutturata e tendente a privilegiare forme di dialogo diretto tra società civile e istituzioni pubbliche;
c) la partecipazione diffusa, priva di rappresentanza e aperta a tutti i soggetti del Terzo settore. Il documento auspica la creazione di una rappresentanza unitaria del Terzo settore che veda la partecipazione di tutti i vari segmenti, quale unico interlocutore dell’amministrazione pubblica.
«Deve trattarsi di una sede organizzata di rappresentanza, che riunisca tutti gli enti operanti in un determinato territorio e venga interpellata in riferimento a tutti i settori di interesse. In tal modo viene rafforzata ed amplificata la voce del Terzo settore e, al tempo stesso, reso più semplice e snello il procedimento partecipativo, che vede il confronto dell’amministrazione pubblica con un’unica sede strutturata» [ivi: 14].
Contrariamente a quanto auspicato nel capitolo dedicato ai processi partecipativi e alla definizione di partecipazione, vale la pena sottolineare che «rappresentanza unitaria non può significare una
rappresentanza unica, che escluda altri ambiti o settorializzi eccessivamente il Terzo settore, sottoponendolo ad una sorta di sindacalizzazione che nuocerebbe sia allo spontaneismo creativo che lo contraddistingue, sia alla sua capacità di dare voce agli interessi dei cittadini» [Ferla