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L’evoluzione della pratica valutativa: tra ieri ed ogg

Riquadro 5: mappa concettuale del processo partecipativo Education Equals Economics

3.3 L’evoluzione della pratica valutativa: tra ieri ed ogg

La valutazione, intesa come strumento di verifica dei risultati di un programma politico sulla base di dati scientifici, è nata negli Stati Uniti, un paese, non a caso, caratterizzato da una cultura giuridico- amministrativa in cui prevale l’attenzione all’efficacia dell’azione pubblica rispetto alla conformità alla norma e in cui non è radicata la tradizione burocratica che, in molti Stati europei, deriva dall’adozione del modello centralistico di governo di tipo napoleonico.

Nonostante le prime tracce di un’esigenza di verifica dei programmi pubblici risalgano al XVIII secolo, possiamo considerare il periodo che va dalla fine della Prima guerra mondiale al secondo dopoguerra come l’epoca in cui si attuano le prime esperienze di valutazione, soprattutto nel campo dell’educazione e dei programmi sanitari. Ma l’utilizzo su larga scala della valutazione ha inizio nei primi anni del XX secolo, con le leggi per la costruzione della cosiddetta Great Society5 e per la lotta contro la povertà adottate dalle amministrazioni democratiche dei presidenti Kennedy e Johnson. In quel periodo, infatti, il Governo degli Stati Uniti impegnò somme enormi di denaro per combattere la disoccupazione, la devianza, il degrado delle aree urbane e per offrire servizi sanitari ed educativi pubblici. Le grandi aspettative sui cambiamenti sociali legati a tali programmi, insieme con i dubbi derivanti da una cultura politica tradizionale che privilegiava gli interventi di aiuto sociale promossi dalla società civile e l’autonomia del mercato rispetto all’intervento pubblico, fecero sì che fossero finanziati sistematicamente una serie di studi valutativi per vedere come fosse speso il denaro pubblico. Negli anni settanta, si verificò una svolta importante, con l’affermarsi dell’idea che fosse necessario sperimentare le nuove politiche e i nuovi programmi prima di attuarli in maniera estensiva a tutta la popolazione. Furono così attuati diversi esperimenti su larga scala, il più famoso dei quali è quello su una nuova legislazione fiscale chiamata: “Negative Incombe Tax”6. In tale sperimentazione, i nuovi programmi erano implementati in uno specifico territorio e i loro risultati venivano poi valutati mettendo a confronto cambiamenti ottenuti con quelli verificatisi in popolazioni simili per caratteristiche sociali, ma sulle quali non si erano testati gli interventi. In quegli anni, uno dei pionieri della valutazione, Donald Campbell, immaginò che si potesse costruire una Experimenting Society fondata sulla valutazione sperimentale delle innovazioni. Tale società, che egli definiva un’utopia di processo, sarebbe stata attiva, capace di apprendere, non dogmatica, scientifica, trasparente, attenta ai bisogni della popolazione, decentrata; una proposta che potremmo

5 L'assicurazione contro la disoccupazione, l'assistenza ai bambini delle madri single, il sistema pensionistico pubblico furono introdotte col New Deal dopo la grande depressione, e Franklin D.Roosevelt fu accusato dalla destra americana di essere un pericoloso sovversivo con idee socialiste, mentre le sue riforme si scontravano con gli anatemi della ultra- conservatrice Suprema Corte di Giustizia. Per proseguire nel cammino del welfare bisognò attendere le presidenze di Kennedy e Johnson degli anni 60, quando fu introdotta la sanità pubblica per i poveri e i vecchi nell'ambito del programma della Great Society.

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L ’NIT consiste nel dare ai poveri la differenza in denaro tra quanto guadagnano e un ipotetico reddito per condurre una vita dignitosa (reddito minimo).

definire di “utopia pragmatica” emblematica di una sensibilità presente in una parte della cultura politica statunitense [Moro 2005: 17]. Gli anni settanta, iniziati sotto questi auspici utopici, segnarono, in seguito, la prima grande crisi della società americana e dell’economia dei paesi occidentali dopo la Seconda guerra mondiale; basti ricordare la sconfitta nella guerra del Vietnam, la prima crisi petrolifera in seguito alla guerra arabo-israeliana, l’inflazione crescente, l’aumento delle tasse. Una delle conseguenze più importanti fu il ridimensionamento del processo di espansione delle politiche sociali pubbliche e la necessità di porre mano ai tagli per contenere il deficit dello Stato. Inoltre, il clima politico era cambiato: si iniziava a guardare con sospetto alla continua espansione dei programmi governativi e a porre attenzione più alle promesse mancate e alle inefficienze che alle trasformazioni sociali prospettate. Ciò portò anche a modificare le finalità della valutazione. Da strumento per sperimentare nuove politiche, essa si trasformava in supporto per la razionalizzazione della spesa pubblica: la valutazione doveva guidare le scelte sui programmi da tagliare e sugli sprechi da ridurre. Venne posta un’attenzione particolare all’analisi dei benefici dei programmi pubblici a fronte dei costi sostenuti, alla verifica dell’efficienza del management, alla dimostrazione della responsabilità nel confronti dei cittadini chiamati a finanziare i programmi tramite il prelievo fiscale. Alla valutazione, inoltre, venne chiesto di migliorare il processo di implementazione dei programmi, tenendo sotto controllo le variabili chiave affinché il programma non deviasse dai propri obiettivi e potesse continuamente essere reindirizzato, qualora si fossero verificati effetti non previsti. Nel contempo, l’utilizzo della valutazione diventava sempre più diffuso a vari livelli dell’amministrazione pubblica. Questo processo di espansione ebbe fine all’inizio degli anni ottanta con l’avvento delle amministrazioni repubblicane, guidate prima da Regan e poi da Bush padre. Con l’obiettivo di ridurre il deficit statale e di tenere sotto controllo l’inflazione, questi governi tagliarono drasticamente la spesa pubblica, concentrando i tagli soprattutto sulle spese sociali. Spesso la smantellamento delle politiche sociali fu giustificato evidenziando gli effetti modesti dei programmi di lotta alla povertà, dovuti alla loro cattiva implementazione. Alla luce del paragrafo precedente, i valori in questo caso hanno creato un pregiudizio ideologico contro l’estensione dello stato sociale e a favore della riduzione della pressione fiscale. Una delle conseguenze di tale orientamento politico fu l’assenza di nuovi programmi pubblici, soprattutto sociali, e di conseguenza il ridimensionamento del ruolo della valutazione che, come detto, si era concentrata soprattutto sullo studio degli impatti dei programmi sperimentali. Durante gli anni novanta, con la presidenza di Clinton si assiste a un incremento dei programmi sociali e, di conseguenza, cresce la necessità che essi siano valutati, anche se tali programmi venivano gestiti meno attraverso lo stato federale e più dalle singole amministrazioni statali e locali. I cambiamenti più importanti sono però costituiti dalla nuova prospettiva politica cui vengono ricondotti gli studi valutativi. Essi sono uno degli strumenti per realizzare quella profonda

riforma della pubblica amministrazione che fu uno degli obiettivi principali della presidenza Clinton. Questa prospettiva sarà adottata anche in Europa, in particolare dal primo ministro laburista inglese Tony Blair; se ne avranno echi anche in Italia, con le riforme, seppure parziali, della pubblica amministrazione attuate nella seconda metà degli anni novanta (si pensi soprattutto alle cosiddette Leggi Bassanini). Il problema era legato al fatto che, nelle amministrazioni pubbliche, si desse scarsa attenzione ai risultati. Ovviamente a questo seguì un cambio di prospettiva: da finanziamenti basati sugli input a finanziamenti basati sui risultati [Moro 2005]. In questa prospettiva, l’utilizzo della valutazione nell’ambito dei sistemi burocratici significa privilegiare i temi dell’imprenditorialità, della competizione e della centralità dei risultati piuttosto che quelli delle regole, della qualità dell’offerta e del coinvolgimento degli utenti. In questo modo, la valutazione coinvolge direttamente gli operatori pubblici nella definizione degli obiettivi di un programma e, soprattutto, li rende partecipi del fatto che dal raggiungimento di tali obiettivi dipende la sopravvivenza dello stesso programma. Quanto detto finora sembra dare ragione a quanto sostenuto da Carol Weiss, già citato nel paragrafo precedente, riguardo l’utilizzo politico della valutazione. «Essa è stata adoperata sia dai conservatori sia dai progressisti, però con notevoli differenze: quando i primi sono al governo, l’enfasi della valutazione tende a focalizzarsi sull’efficienza dei programmi, sull’eliminazione degli sprechi e sui conseguenti tagli, sulla migliore determinazione delle categorie destinatarie; quando, invece al governo ci sono i democratici, il criterio più importante della valutazione diventa l’efficacia dei servizi, intesa soprattutto come miglioramento delle possibilità di vita dei beneficiari dei programmi» [Weiss 1998: 35]. La seconda metà degli anni novanta e gli inizi del nuovo millennio hanno fatto registrare nuovi grandi cambiamenti nel campo della valutazione. La globalizzazione, soprattutto economica, ha spinto gli Stati con i programmi di welfare più generosi a tagliare le spese sociali per tentare di rimanere competitivi sui mercati mondiali. Ciò ha contribuito a mantenere viva l’attenzione sull’efficienza della spesa pubblica e sulla necessità di meglio focalizzare e restringere i gruppi sociali destinatari del sostegno pubblico. Nel contempo, nuovi paesi hanno assunto un ruolo da protagonisti sulla scena mondiale: si pensi agli Stati ex comunisti e ad alcune nazioni soprattutto asiatiche, che una volta erano considerate in via di sviluppo. Spesso la crescita e la democratizzazione di questi paesi sono sostenute da politiche pubbliche finanziate sia dallo Stato sia dalle agenzie internazionali; emerge anche, in modo più consistente che nel passato, l’esigenza di valutare tali politiche. In effetti, l’internazionalizzazione della valutazione è probabilmente la novità più rilevante degli ultimi anni. Allo stesso tempo è cresciuta l’importanza della valutazione nel settore privato: le grandi imprese, le fondazioni filantropiche, le agenzie non profit hanno sempre più adoperato la valutazione come strumento per accrescere l’efficacia dei loro interventi e delle loro organizzazioni. Sono nate, in questo periodo, associazioni dei valutatori, oltre che nelle nazioni del continente

americano, anche in Asia, Oceania, Europa, ecc. In particolare, in Europa l’uso della valutazione è divenuto abituale sia a livello dei singoli Stati, sia a livello dell’Unione Europea, anche se vi sono molte differenze fra paese e paese. Seguendo quanto dice la guida Means7, possiamo affermare che lo sviluppo della valutazione in Europa è iniziato nei paesi del nord (Regno Unito, Svezia, Danimarca, Olanda) dove essa è ormai una pratica amministrativa normale, per poi estendersi, con adattamenti che hanno tenuto conto delle differenti culture politiche e giuridico-amministrative, agli altri paesi. Per alcuni di questi, essenziale è stato il ruolo propulsivo svolto dalla Commissione Europea. Nella graduatoria citata, l’Italia (o almeno il Sud) può essere collocata al primo livello, quello più arretrato. Anche se la valutazione nel nostro paese costituisce un approccio recente, essa non è giovanissima in quanto gode di una discreta letteratura specialistica anche se questa, a volte, presenza delle incongruenze [http://www.valutazioneitaliana.it/].