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8.2 Risultati

8.2.1 La biografia linguistica

Analizzeremo ora nel dettaglio le risposte che si riferiscono alla prima parte del questionario, nella quale si chiedeva ai soggetti di riflettere sulla propria esperienza personale in rapporto alle preferenze linguistiche accordate dai genitori, agli eventuali rimproveri subìti, all’utilizzo del dialetto e ai principali ambiti d’uso.

Domanda 1: I tuoi genitori parlano il dialetto, o almeno lo conoscono? Che lingua usano quando parlano tra di loro? E quando parlano con i loro genitori / fratelli?

Innanzitutto i dati rivelano come il 99% dei genitori sembra almeno conoscere il dialetto. In quanto agli ambiti d’uso, i genitori mostrano un comportamento abbastanza uniforme: pare infatti che l’utilizzo del dialetto abbia un suo spazio privilegiato nella comunicazione con i più anziani. Mentre la comunicazione con i fratelli dei genitori non si distingue particolarmente da quella con i propri genitori, è nella comunicazione tra coniugi che si preferisce l’italiano (v. tabella 4). Solo il 10% dichiara che i propri genitori sono soliti parlare principalmente italiano anche con i propri genitori, mentre quasi si bilanciano quelli che decidono di utilizzare entrambi i codici sia comunicando fra di loro sia parlando con i propri parenti più prossimi. Alcuni studenti specificano inoltre che l’utilizzo è particolarmente legato agli ambiti d’uso, per cui anche fra coniugi si può scegliere di usare il dialetto in particolari situazioni comunicative, come in momenti di rabbia o stress.

“I miei genitori parlano sia in italiano che il dialetto con indifferenza con tutti…” (BM)

“I miei genitori conoscono il dialetto. Maggiormente mio padre avendo vissuto in una realtà più periferica, ma appartenendo a una famiglia meno abbiente e di classe

operaia. Tra loro parlano l'italiano, spesso inserendo termini dialettali, nel momento in cui desiderano un coinvolgimento diretto nel discorso. Non esitano ad utilizzarlo in un momento di stress o di rabbia. Stessa prassi vale per le conversazioni con i rispettivi parenti” (MV)

Tabella 4 - Percentuali di utilizzo del dialetto da parte dei genitori degli studenti

Dialetto Italiano Raramente dialetto

Entrambi Con i genitori 44% 10% 22% 24%

Con i fratelli 41% 10% 23% 26% Fra coniugi 20% 38% 19% 23%

Domande 2 e 3: I tuoi genitori ti hanno insegnato a parlare in dialetto? Ti hanno permesso di utilizzare il dialetto accanto all’italiano o ricordi di qualche rimprovero che ti veniva fatto se utilizzavi termini dialettali? Se sì, da parte di tua madre / di tuo padre / altri parenti? Se ci sono mai state sanzioni per il dialetto, ricordi se l’atteggiamento della tua famiglia è poi cambiato col tempo?

L’alta percentuale di conoscenza del dialetto da parte dei genitori non coincide con un conseguente insegnamento di questo ai propri figli: solo l’8% dichiara di aver ricevuto un insegnamento dai propri genitori, seppur talvolta indiretto.

“Sì i miei genitori mi hanno insegnato qualche parola dialettale, soprattutto mio padre che essendo campano mi insegna i termini dialettali della sua terra. Non hanno problemi se utilizzo il dialetto accanto all'italiano, ma questo avviene solo qualche volta perché non parlo bene il dialetto e conosco solo qualche parola” (GR)

“I miei genitori mi hanno insegnato il dialetto, ritengono sia importante che io lo conosca e se usato a casa non mi hanno mai rimproverato” (IG)

“Sì i miei genitori parlando di tanto in tanto in dialetto mi hanno insegnato indirettamente a parlarlo. Ho imparato il dialetto da amici che lo utilizzano di più

rispetto all'italiano. Sì mi hanno sempre permesso di usarlo poiché ritengono sia parte integrante della cultura popolare” (CR)

Questa ritrosia nella trasmissione del dialetto ben si riflette nelle posizioni, a volte intransigenti, assunte dai parenti di fronte al suo utilizzo (v. tabella 5). I dati riflettono una visione per cui il dialetto è sconveniente in determinate situazioni sociali, e può addirittura essere dannoso per i più piccoli, impedendo loro il corretto apprendimento della lingua italiana.

“In età puerile hanno evitato di insegnarmelo o di parlarlo tra loro perché ritenuto inutile e dannoso, con l'avanzare degli anni mi si è permesso gradualmente di farne uso” (AR)

Tabella 5 – Percentuale di rimproveri ricevuti dai ragazzi delle due scuole

Rimproveri No rimproveri

M F M F

Liceo Classico 8% 18% 9% 20% Ist. Tecnico Commerciale 15% 19% 8% 3%

I rimproveri provengono in egual maniera da entrambi i genitori, e solo raramente sono chiamati in causa altri membri della famiglia come zii o cognati. Correzioni e stigmatizzazioni sembrano essere presenti con più forza fra gli studenti dell’Istituto Tecnico – proprio quelli che, come vedremo più avanti, mostrano una maggiore competenza dialettale - fra i quali sono solo in pochi a non aver mai ricevuto rimproveri da parte della famiglia. Per questi pochi ciò sembra dipendere o da una consolidata padronanza dell’italiano, in virtù del quale il dialetto oramai non spaventa e può non essere più considerato un inciampo per l’apprendimento della lingua nazionale, o da una visione secondo la quale si può relegare il dialetto a un qualcosa di cui si può fare sì uso, ma con moderazione e possibilmente fra le mura domestiche.

“Sì, mi hanno permesso di parlare il dialetto purché non lo parlassi fuori, o comunque sempre, al posto dell'italiano” (MM)

“I miei genitori non mi hanno imparato a parlare il dialetto ma permettono a me di usarlo ma sempre in modo moderato specialmente con i termini e non mi hanno mai rimproverato” (BM)

Più espressivo e profondo valore assumono le sanzioni rivolte alle ragazze di entrambe le scuole: per esse più forte è il senso di stigma dato dal parlare in dialetto, più necessario un adeguarsi alla lingua standard. E l’adeguamento sembra essere accettato di buon grado, con motivazioni che giustificano i suddetti rimproveri e li investono di un valore correttivo positivo.

“Non è stata una sorta di insegnamento ma ho imparato a parlarlo, sentendolo comunemente parlare. Mi hanno spesso rimproverato quando usavo forme dialettali in pubblico, per non passare come una tamarra” (MN)

“È ovvio che i miei non mi hanno insegnato il dialetto, piuttosto è sentendolo che l'ho "imparato". A differenza degli altri dialetti, credo, quello calabrese non è molto bello a sentirsi, ancor meno sulla bocca di una ragazza: infatti, sebbene non mi abbiano mai rimproverata, non sono contenti quando lo parlo” (MR)

“No, non me l'hanno mai insegnato. Più che un insegnamento io l'ho assimilato sentendone parlare soprattutto tra i giovani della mia età e raramente anche a casa. Non mi è mai stato fatto un rimprovero, anzi mi è stato detto da papà che bisogna conoscere il proprio dialetto, anche se non parlarlo troppo spesso, essendo una ragazza potrebbe sembrare poco elegante” (MCR)

Per il 20% di questi ragazzi la crescita ha portato a una diminuzione, se non a una definitiva scomparsa, dei rimproveri, seppure ciò sembri legato principalmente a un adeguamento passivo dei ragazzi stessi, i quali paiono aver scelto di abbandonare il dialetto o di circoscriverne significativamente gli ambiti d’uso.

“Le sanzioni da parte dei famigliari sono state avvertite nel corso dei primi anni di età o durante l'adolescenza, ma l'atteggiamento è poi cambiato nel tempo, anche perché

non sempre è trascurato il dialetto nei loro discorsi. La ragione principale è il mio rifiuto a parlarlo o menzionarlo in qualsiasi conversazione” (MV)

“Le sanzioni ci sono state soprattutto quando ho iniziato a dire qualche parola a partire dalla terza media, adesso qualche parola posso dirla ma senza esagerare” (FCo)

“Ci sono state alcune sanzioni da parte dei miei, anche se ora non c'è più bisogno dato che non lo parlo più” (VM)

“Mamma si è rassegnata man mano che crescevo” (SP)

Per chi si è mostrato più restio nell’abbandonare il dialetto, l’atteggiamento invece non è cambiato. Benché già diciottenni, chi veniva rimproverato da piccolo viene tutt’ora sgridato. Solo per un ragazzo sembra che il comportamento dei genitori sia stato influenzato da agenti esterni, i quali hanno contribuito a modificare l’atteggiamento negativo dei propri parenti nei confronti del dialetto.

“No, l'atteggiamento non è mai cambiato e continuano a rimproverarmi” (VD)

“Si mi gridano anche adesso non vogliono che lo parlo ma non perché sia una lingua volgare ma perché possa trovarmi meglio a scuola sennò penso che non ci sia lingua migliore del dialetto per portare avanti le origini” (RC)

“Con la valorizzazione del dialetto da parte di giornali/riviste/educatori si ha avuto un atteggiamento più aperto verso l'insegnamento della lingua locale” (AR)

Guardando il campione nel complesso, vi è poi un piccolo gruppo che si potrebbe definire dei pacifici code-switcher, i genitori dei quali sembrano possedere una piena consapevolezza delle situazioni comunicative e dei codici linguistici più appropriati: per essi non si ha bisogno di un veto sull’utilizzo del dialetto ma si può serenamente affiancarne la sua conoscenza a quella dell’italiano, senza ricadere necessariamente in atteggiamenti censori o inutilmente precauzionali. Questo ha permesso ai ragazzi di compiere le proprie scelte, fornendo loro un ulteriore bagaglio linguistico dal quale attingere e facendo maturare in loro una competenza variazionale che li rende liberi da stereotipi negativi e pregiudizi linguistici.

“Ho imparato il dialetto perché sono cresciuta con i miei nonni materni e non sono mai stata rimproverata perché in famiglia sappiamo che il dialetto è cultura e non strumento di inferiorità. Col tempo ho scelto di parlare quasi solo italiano” (MVe) “Ho appreso il dialetto sentendolo parlare per anni, non me l'hanno mai insegnato; ciò non toglie che mi è assolutamente permesso di usarlo e non mi è stato fatto mai nessun rimprovero. Anzi loro credono sia una cultura popolare e pertanto sono felici se lo parlo” (GP)

“No crescendo e sentendolo parlare ho imparato a parlarlo da sola, ma non mi hanno mai punita per questo. Credo che non ci sia bisogno di domande del genere, il dialetto non è una forma volgare ma un modo per portare avanti la lingua CALABRESE” (PF)

Domanda 4: Come si è comportata la scuola nei confronti dell’insegnamento dell’italiano? Ricordi di particolari sanzioni o, al contrario, di valorizzazione del dialetto durante le scuole elementari?

Multiforme e ambivalente appare invece l’atteggiamento della scuola nei confronti del dialetto. Dalle risposte si desume un panorama composito, con un piccolo nucleo di insegnanti disposti a valorizzare il dialetto in vari modi, spaziando dalle poesie alla recita (8 soggetti hanno fatto riferimento a questo tipo di attività), in opposizione ad atteggiamenti punitivi adottati da altri insegnanti nei confronti di chi in classe si ostinava a non usare l’italiano. Vengono menzionati nelle risposte degli intervistati anche iniziative più organiche e atteggiamenti positivi, come ad esempio ore dedicate al confronto tra le due lingue e tentativi di studio più organico, spesso destinati a fallire a causa degli ordinamenti didattici.

“In modo diverso: alle scuole elementari il dialetto non si poteva proprio parlare; alle medie spesso qualche "parolina" le professoresse la dicevano ma quando era opportuna, alle superiori la prof ci permette di usarlo, anzi spesso è anche felice perché dice che corrisponde ad una lingua in più che noi conosciamo” (MA)

“Alle scuole elementari ricordo che il dialetto era considerato segno di immaturità linguistica da parte nostra, anche se a volte ne veniva valorizzato il ruolo, come ad esempio cantando in dialetto alle recite” (IG)

“Anche a scuola pur essendo in un piccolo paesino [Soveria Mannelli] non ci hanno mai permesso di parlare il dialetto, ricordo che una mia compagna parlava sempre e solo il dialetto e la maestra la sgridava sempre” (AGG)

“Durante le scuole elementari io non parlavo dialetto ma venivano puniti i bambini che lo parlavano” (AF)

Si intuisce un certo senso di ingiustizia da parte di quei ragazzi che fanno notare a più riprese che il dialetto era vietato per gli alunni ma usato impunemente dagli stessi professori: sembra di percepire il disorientamento, e forse la rabbia, di quei bambini che non riuscivano a capire bene cosa ci fosse di sbagliato in una lingua usata dai più grandi ma considerata tabù per loro piccoli apprendenti di italiano.

“Alle scuole elementari non conoscevo il dialetto, ma le maestre lo parlavano” (TD) “La squola tende a farci parlare in italiano anche se alcune volte i professori parlano il dialetto” (CCa)

Il dialetto, ‘malerba da estirpare’, abbisogna di una lingua che si sovrapponga lentamente a esso, una vera e propria lingua tetto come nella risposta di MV. I piccoli discenti, non ancora consci di ciò che è più appropriato in ambito scolastico, verranno così lentamente abituati a ciò che qualcuno definirà in una risposta successiva come la lingua “più consona al buon costume”.

“Ricordo una totale tolleranza nei confronti del dialetto, sanzionato solo all'interno di documenti ufficiali fino al periodo delle scuole medie. In seguito è stata applicata una formale educazione alla lingua italiana, con relativa sovrapposizione di questa al dialetto stesso. Esso non è censurato mai dai docenti, anzi è valorizzato con riferimenti concreti anche dagli insegnanti di italiano” (MV)

“Alle elementari i bambini sono più propensi a parlare il dialetto dato che non sono ancora stati abituati. Ma dalle scuole superiori è obbligatorio parlare l'italiano” (LP)