• Non ci sono risultati.

Nell’ambito degli studi sociolinguistici italiani l’attenzione volta alle varietà giovanili ha per lo più inteso queste come veri e propri socioletti, e cioè varietà proprie di un particolare gruppo sociale, da porre in contrasto con la lingua comune, e atte a valorizzare sentimenti di in-group, come emerge nella definizione data da Coveri (1992: 60) nella sua panoramica generale sulla lingua dei giovani: “il linguaggio giovanile in senso stretto si può definire […] come la varietà di lingua utilizzata, in modo più o meno ampio e costante, ma quasi esclusivamente nelle relazioni di peer group, da adolescenti e postadolescenti (teenagers)”. Secondo Cortelazzo (1994: 296) l’opposizione verso la lingua comune non è da intendersi come diretto antagonismo:

“se c’è alterità rispetto alla lingua comune, che è la lingua degli adulti, questa nasce fondamentalmente dall’intento ludico e non dall’intenzione di creare un codice linguistico alternativo a quello degli adulti”.

Le definizioni di Coveri e Cortelazzo fanno emergere subito un problema che, secondo chi scrive, ha permeato buona parte della ricerca sociolinguistica italiana sugli adolescenti. Il fatto che i giovani possano essere considerati omogeneamente come un unico gruppo sociale, compatto al loro interno, è infatti stato problematizzato a più

riprese nell’ambito degli studi sociolinguistici. Già per Giacomelli (1996: 62) non esiste

“un linguaggio giovanile a tutto tondo come non esistono ‘giovani’ tout-court: tali categorie formali sono solcate con ogni evidenza da variabili e da tratti particolari che ne fanno porzioni di un continuum sia linguistico sia sociologico. Ma alcuni tratti generali si lasciano individuare e cioè è costituito specialmente da quanto ‘accomuna’ giovani parlanti di origine, ceto, cultura differenti”.

Malgrado l’osservazione di Giacomelli, la tendenza degli studi sociolinguistici italiani è stata quella di interpretare omogeneamente la categoria degli adolescenti, differenziandola al massimo per status socioeconomico o per sesso. Mancano quindi studi che abbiano fatto tesoro dei risultati ottenuti all’interno di cornici teoriche maggiormente orientate all’identità sociale dei parlanti, come si è visto nel §1.6.

Oltre a essere considerato una varietà diastratica, e cioè caratterizzato dall’appartenenza dei parlanti a uno specifico gruppo sociale, il linguaggio giovanile viene anche considerato una varietà di tipo diafasico, usato cioè in particolari situazioni comunicative (e cioè soprattutto all’interno della comunicazione fra amici per parlare di temi particolari come la scuola, lo sport, il sesso ecc.) (Coveri 1988: 134-141; Coveri 1992, Sobrero 1990: 98). Secondo Sobrero (1992), i linguaggi giovanili si differenziano dalle altre varietà della lingua secondo cinque parametri, che sarebbero:

1. ambiti d’uso: il linguaggio viene usato all’interno di gruppi specifici con propri scopi e finalità (scuola, musica, droga, movimenti politici, sport, gruppo dei pari); 2. intenzioni: viene giudicata come funzione prevalente la finalità ludica;

3. finalità di tipo sociale (coesione verso l’interno e contrapposizione verso l’esterno) e personale (affermazione dell’individuo all’interno del gruppo);

4. variabilità: i linguaggi giovanili variano nel tempo (sinistrese del ’68, linguaggio dei paninari degli anni Ottanta, ecc.), nello spazio (grandi città vs. piccoli centri, città del Nord vs. città del Sud), nella società (giovani di status socioeconomico

diverso avranno un linguaggio giovanile differente) e nel tipo di aggregazione (piccoli gruppi di paese, comitive più ampie nelle città medio-grandi ecc.);

5. vitalità, e cioè una dinamica accelerata per cui le voci hanno una vita breve o brevissima, con un ampio ricambio lessicale tra generazioni diverse.

La classificazione di Sobrero (1992) sembra sicuramente troppo schematica e di difficile interpretazione. Si nota innanzitutto come essa sia il frutto di una riflessione che parte da materiale lessicale (v. punto 5), e risulta inoltre difficile capire come vadano interpretate alcune etichette (ad esempio gli ambiti d’uso sembrano spesso sovrapporsi alle finalità, e queste ultime alle intenzioni). Il rilevare la finalità ludica del linguaggio giovanile deriva sicuramente da un’interpretazione che mira a osservare solo fatti di lessico o determinate funzioni sociocomunicative; si è visto inoltre come gli adolescenti siano particolarmente impegnati nella costruzione della propria identità sociale e personale, ma sottolineare come il linguaggio dei giovani sia caratterizzato da una finalità di tipo sociale e personale sembra una precisazione eccessiva, essendo questa una finalità che permea sicuramente tutta la comunicazione, e non esclusivamente quella degli adolescenti.

Come notato per la classificazione di Sobrero (1992) e ripercorrendo la rassegna di Androutsopoulos (2005) (v. §1.4), si può dire che la scuola linguistica italiana si sia concentrata principalmente sul versante lessicale (Coveri 1988, Radtke 1993, Cortelazzo 1994, Binazzi 1997, Marcato 2006). La varietà giovanile, vista come varietà substandard, è perciò descritta come un modo di comunicazione che attinge a diversi repertori lessicali. Un riepilogo di questi repertori è in Marcato (1997: 564), - lavoro che riprende fondamentalmente le considerazioni di Sobrero e Cortelazzo - dove si elencano i diversi elementi caratterizzanti la lingua dei giovani:

1. una base di italiano colloquiale, o scherzoso; 2. uno strato dialettale;

3. uno strato gergale tradizionale; 4. uno strato gergale innovante;

6. uno strato costituito da prestiti provenienti da lingue straniere, in particolar modo l’inglese.

In merito allo strato dialettale, il suo utilizzo è stato spesso interpretato in senso reazionario, vedendo i dialettalismi come una forma di differenziazione rispetto al lessico degli adulti: la presenza di elementi dialettali è comunque minoritaria, secondo le considerazioni generali di Radtke (2003), rispetto all’apporto di altri strati come quello dei neologismi o dei forestierismi. È sempre Radtke (2003) ad affermare come sia comunque necessario tenere in considerazione il fattore diatopico nel giudicare l’apporto di lessico dialettale: gli elementi dialettali avranno valore di recupero antagonista nelle zone in cui la competenza dialettale va perdendosi, come per il caso del Nord-ovest italiano, mentre saranno da interpretare come competenza dialettale attiva in quelle zone in cui il dialetto è ancora vivo (Radtke 2003: 213). Per Coveri (1992: 66) “laddove il dialetto è più tenace, la presenza di forme di linguaggio giovanile dovrebbe essere meno massiccia”, questo poiché l’attingere al patrimonio dialettale assumerebbe un valore oppositivo, straniante, in quelle zone in cui il dialetto è ormai scomparso: “la consapevolezza dell’uso dialettale all’interno delle varietà giovanili è assente in molti parlanti, e la competenza dialettale rimasta viene adoperata nella misura in cui essa serve a coniare un parlare diverso dalle forme esistenti come l’italiano comune o il dialetto” (Radtke 2003: 214). Non si tratterebbe quindi di un tributo alla varietà dialettale, ma di un’ennesima manifestazione di quella contestazione giovanile che passa anche attraverso la contraddizione delle norme linguistiche esistenti.