• Non ci sono risultati.

5.2 La percezione esplicita

5.2.1 La percezione dello spazio linguistico

Il secondo ambito, di diretta filiazione della dialettologia italiana, definito dialettologia percettiva o percezionale, vede dalla sua una storia più antica. Del resto fare dialettologia ha sempre implicato un ricorrere alla consapevolezza dei soggetti intervistati, per cui i dati raccolti sono inevitabilmente filtrati, oltre che dalla competenza linguistica dei soggetti, dalla loro percezione e riflessione metalinguistica26. Ricorda Telmon (2002) come la ricca tradizione dialettologia italiana abbia inevitabilmente portato a riflessioni sul ruolo del parlante e sulla sua percezione dello spazio linguistico. A proposito della coscienza linguistica degli attori sociali, indubbio è il ruolo fondamentale di Benvenuto Terracini nell’aver teorizzato quello che da lui stesso viene definito ‘sentimento linguistico’: “si intende con questo termine il sentimento intuitivo che i parlanti hanno della propria lingua che, quando è aiutato dalla riflessione si eleva a coscienza; altra cosa è la sensibilità percettiva di differenze linguistiche esercitate da osservatori estranei in grazia di un’acutezza di osservazione differenziale che è addirittura l’opposto del sentimento di cui si parla” (Terracini 1963: 210 n. 27). Nella contrapposizione esplicita tra sentimento intuitivo (dei parlanti) e sensibilità percettiva (dei linguisti), Terracini ritiene che il “fare linguistica” passi solo attraverso il secondo. La svolta avviene perciò solo quando la percezione che i parlanti hanno del proprio codice linguistico diventa esplicito oggetto di studio.

Attraverso questionari e interviste dichiaratamente autovalutativi si può infatti accedere a quella consapevolezza esplicita che corrisponde al livello immediato dell’esperienza (Iannàccaro 2002: 88). A metà strada tra percezione cosciente e

26 “Meillet […] per definire rigorosamente il cambio di lingua non troverà di meglio che ricorrere al

giudizio intuitivo, si pone quella percezione diatopica presente continuamente nell’esperienza del parlante, sia nel momento in cui si accosta ad altre lingue, sia nella sua quotidiana esperienza comunicativa nella sua comunità linguistica di appartenenza (Telmon 2002: XXVIII). La percezione e identificazione delle varietà linguistiche che caratterizzano lo spazio che ci circonda è un concetto familiare a qualsiasi parlante; si tratta di un riconoscimento di grana fine nello spazio a noi più prossimo, sempre più indistinto e sfocato man mano che ci allontaniamo dal nostro spazio comunicativo, tanto che “la percezione della diversità parte dal pianerottolo di casa propria, e spesso lì si ferma” (D’Agostino et al. 2002: 178). Non diversa è la percezione del cambiamento diacronico, che permette di offrire un quadro della rappresentazione mentale che i parlanti hanno del modo di parlare di generazioni precedenti.

La situazione sociolinguistica italiana, con il suo intreccio di varietà dal differente status sociolinguistico, è un ottimo punto di osservazione per studi che pongano il parlante con il suo vissuto linguistico al centro dell’indagine. Gli scarti, intrinseci in dati di questo tipo, tra dichiarazioni esplicite e comportamento linguistico effettivo rivelano una contraddittorietà che, lungi dall’essere considerata come ‘rumore’ che sporca il dato, va analizzata e spiegata grazie all’aiuto di strumenti appositamente calibrati, come il questionario o l’autobiografia linguistica. Quest’ultima infatti risulta indispensabile per comprendere e spiegare i risultati ottenuti dalle indagini di tipo percettivo; una “buona ricerca sociolinguistica è infatti una ricerca che utilizzi insieme le produzioni linguistiche e le reazioni dei parlanti alla variazione linguistiche per interpretare il comportamento linguistico e il senso della variazione medesima” (Berruto 2002: 355).

Nella storia della disciplina i principali momenti di riflessione sulla dialettologia percettiva in ambito italiano possono essere ricollegati a due importanti convegni svoltisi agli inizi degli anni 2000, e cioè il convegno di Bardonecchia “Che cosa ne pensa oggi Chiaffredo Roux? Percorsi della dialettologia percettiva all'alba del nuovo millennio” (Cini & Regis 2002) e il convegno di Carini-Valderice “I parlanti e le loro storie. Competenze linguistiche, strategie comunicative, livelli di analisi”

(Amenta & Paternostro 2009). In seguito a questi due incontri, lavori di tipo percettivo o percezionale continuano a essere condotti dai gruppi di ricerca che ruotano attorno al cantiere dell’Atlante Linguistico Siciliano (ALS) e dell’Atlante Linguistico Etnografico del Piemonte Orientale (ALEPO). È negli atti di questi due importanti convegni che si trova una ricca rassegna delle principali metodologie utilizzate – e cioè gruppi di discussione, questionari e autobiografie linguistiche. Secondo Iannàccaro (2002: 88):

“una ricerca volta allo studio della consapevolezza linguistica potrà avvalersi di metodi diretti ed espliciti, in quanto focalizzata sull’aspetto esterno, comunicabile e razionalizzato – dunque disponibile – della percezione del cambio. Sarà dunque lecito […] l’impiego anche palese di questionari «ingenui», ossia dichiaratamente autovalutativi e ideologici, così come di tecniche, anche discorsive, che stimolino il livello immediato e stereotipo dell’esperienza linguistica: si può insomma chiedere quali sono le varietà più belle, più pure, o più uguali o più diverse, o chiedere di imitare la lingua dei vicini o anche francamente di raccontarci perché questi vicini parlano […] peggio, più «strascicato» o più «rozzo» o al contrario più «slavato» e così via”.

Un esempio di un lavoro che mira a far emergere il livello più immediato dei parlanti è in D’Agostino et al. (2002), un lavoro nato dall’esperienza della raccolta dati dell’Atlante Linguistico Siciliano con lo scopo di far emergere “pratiche territoriali e pratiche linguistiche, territorio e lingua come insiemi di saperi in costante trasformazione che si collegano in forme complesse e non sempre facilmente identificabili”. All’interno del complesso protocollo d’inchiesta dell’ALS una parte è infatti dedicata a un questionario autovalutativo, nel quale si chiedono ai parlanti informazioni sui codici d’uso, sulle relazioni tra codici e particolari domini sociolinguistici, percezioni del cambiamento diatopico. Nell’articolo gli autori si concentrano su una parte di domande del questionario sociovariazionale che si riferiscono agli usi linguistici del parlante e della sua famiglia, e del parlante in rapporto allo spazio linguistico circostante. I risultati mostrano come sia innanzitutto radicato il sentimento della diversità linguistica: il 97% del campione risponde infatti

affermativamente alla domanda sulla percezione dello spazio linguistico (“Nota delle differenze tra il siciliano che si parla nel suo paese e il siciliano che si parla nei paesi vicini? Saprebbe dirmi per quali paesi specialmente lei nota delle differenze?”), e vi è inoltre una reciprocità nell’individuare il dialetto diverso – come l’informatore A identifica nel paese B un dialetto diverso, così l’informatore B di solito identifica in A il suo antagonista linguistico -. Inoltre, i soggetti sono coscienti anche della propria stessa diversità, tanto da rispondere affermativamente nel 70% dei casi alla domanda sull’identificazione della propria provenienza geografica (“Immagini di essere in un altro paese della Sicilia: pensa che, sentendola parlare in siciliano, si accorgerebbero che lei è di...”), e sempre il 70% è in grado di riscontrare differenziazioni anche per l’italiano (“Ha avuto qualche volta l’impressione che l’italiano che si parla in altre zone della Sicilia, per esempio a (…), sia in qualche modo diverso da quello del suo paese?”). Gli autori pongono l’accento quindi come “nella percezione dei parlanti […] le isoglosse, i confini linguistici, passino […] molto vicino a casa propria, anche nell’anno 2000 e dintorni” (D’Agostino et al. 2002). La percezione di queste distanze spaziali è da vedere non solo in rapporto con l’alterità, ma anche in rapporto alla creazione della propria immagine di parlanti: lo sguardo verso l’esterno sottintende un movimento di autopercezione del proprio comportamento linguistico.

Il lavoro di Romanello (2002) si concentra invece sullo spazio percepito della città, partendo dal presupposto che essa, più che essere considerata come un ‘punto’ linguistico, vada considerata come un’‘area’, in virtù della sua complessità. L’esperimento presentato nel lavoro del 2002 è stato condotto nelle città di Brindisi e Lecce per sondare le percezioni dei parlanti della propria città natale e le sue divisioni interne in termini sia geografici sia linguistici. L’autrice identifica in entrambe le città quattro subaeree secondo la percezione degli abitanti e il tipo di servizi disponibili: a Lecce Piazza Mazzini, San Lazzaro, via Palmieri e via Balmes, a Brindisi il centro commerciale, Sciabiche, l’area attorno al Monumento al Marinaio d’Italia e il Villaggio Pescatori; per ogni zona l’autrice seleziona tre informatori adulti considerati rappresentativi della popolazione residente, ai quali sottopone in forma di intervista un questionario suddiviso in quattro parti, per elicitare la percezione della propria città e

delle suddivisioni interne in termini di geografia urbana e linguistica. La prima parte mirava a ottenere informazioni sulla conoscenza della propria città (con domande sul numero degli abitanti, il numero e i confini dei quartieri, l’identificazione di un’area più tipicamente leccese/brindisina, la zona nella quale si vorrebbe/non si vorrebbe trasferirsi). La seconda parte era dedicata alla varietà linguistica presente nella città, e a come essa era percepita (Si parla ancora il dialetto in città? Se sì, quando e da chi? Parli il dialetto, o almeno lo capisci? Pensi che il dialetto della tua città sia diverso da quello dei paesi circostanti? I dialetti di Brindisi e Lecce sono diversi? Ci sono differenze nel modo di parlare italiano tra brindisini e leccesi? Ci sono delle aree della tua città in cui si parla un particolare dialetto? Conosci il significato della parola sciabbicotu (Brindisi)/ rusciaru27 (Lecce)? Conosci dei soprannomi per identificare i parlanti di Lecce/Brindisi?). La terza parte consisteva in un compito di traduzione di parole appartenenti a un repertorio lessicale tradizionale, per verificare la competenza dialettale. Infine, nella quarta e ultima sezione, veniva valutata la capacità di orientarsi su una mappa, chiedendo di indicare il proprio quartiere di provenienza, l’area considerata più brindisina/leccese e il tragitto per arrivare da casa propria in due piazze cittadine. Nella seconda e terza parte del questionario, tutti gli informatori riconoscono l’utilizzo del dialetto nella propria città e sono in grado di capirlo, ma non tutti affermano di essere in grado di parlarlo; l’utilizzo del dialetto è legato ad alcune variabili extralinguistiche, come il tipo di partecipanti alla conversazione (il dialetto è preferito fra amici e in famiglia), il luogo (preferito nei piccoli negozi, al mercato) e lo stato emotivo del parlante (il dialetto è il codice preferito per scherzare o insultare). La differenza tra giovani e anziani non è tanto nel tipo di dialetto usato, quanto nella sua frequenza d’uso. Il dialetto della propria città è considerato migliore rispetto a quello dei paesi circostanti; rispetto alle altre città della Puglia per Lecce il proprio dialetto è il migliore e il più chiaro, e sia Lecce sia Brindisi sono unite nel giudicare il dialetto di Bari e Foggia come incomprensibile. A Brindisi viene riconosciuta la presenza di un dialetto particolare - parlato dai pescatori - vicino al mare, nelle zone di Sciabiche e a Villaggio Pescatori, , ma non vengono identificate le particolarità linguistiche di questa

27 I due nomi indicano le più antiche varietà dialettali parlate a Brindisi e a Lecce, collegate in particolare

varietà; a Lecce invece gli informatori identificano delle aree in base alla maggiore frequenza d’uso del dialetto, come nelle parti vecchie della città o nelle aree più povere di edilizia popolare, come Santa Rosa. Per quanto riguarda la conoscenza dei termini sciabbicotu e rusciaru, i parlanti sono concordi nel riferirli non tanto a una specifica varietà dialettale, quanto a un particolare tipo di persone, volgari, ignoranti o più rurali. Inoltre, nella terza parte del questionario si nota come il rapporto tra italiano e dialetto sia percepito come una migrazione di tratti fonetici: piuttosto che scegliere i lessemi dialettali, gli informatori preferiscono infatti tradurre le parole in veste fonetica dialettale. In conclusione, per l’autrice i risultati dei questionari mostrano come la percezione sia un’operazione che si riferisce non semplicemente a un oggetto definito, bensì è causata dalla somma di diversi fattori, che derivano dalle proprie esperienze del mondo; la città è interpretata come un territorio sociale e come uno spazio variazionale eterogeneo. I giudizi sulla lingua passano perciò attraverso i giudizi sulle persone, e così vi è una stretta correlazione tra status socioeconomico, lingua usata e stereotipo sociale.

Come si è visto, i lavori che tengono in considerazione lo spazio geografico non solo come mero spazio linguistico ma come spazio antropico permettono di raccogliere informazioni importanti sul comportamento dei parlanti e sulle loro valutazioni attorno ai fatti di lingua. Il rilevare particolari giudizi espliciti sulla lingua permetterà quindi al sociolinguista di interpretare con più accuratezza e, in alcuni casi, anche di spiegare il senso dei dati linguistici raccolti: l’associazione tra un determinato dialetto e una determinata categoria di persone – magari stigmatizzata – potrà quindi essere uno strumento in più per osservare e spiegare il comportamento linguistico degli stessi soggetti che producono questi giudizi.

5.2.2 L’autobiografia linguistica come strumento di indagine sociolinguistica