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Osservare, percepire e categorizzare il proprio spazio linguistico

Gli sviluppi più recenti della dialettologia percettiva vedono innanzitutto un incremento nell’utilizzo delle mappe linguistiche come strumento utile per studiare la variazione sociolinguistica in aree più o meno estese. A questo proposito, i primi studi condotti principalmente in aree anglofone tendevano a esaminare – secondo le parole di Preston (2010: 128) - “broad, non-local assessment of dialect distinctions”. Al contrario, di recente va imponendosi sempre di più la tendenza a considerare aree più ristrette (almeno per l’America, cf. Benson 2003 per l’Ohio, Bucholtz et al. 2007, 2008 per la California). Gli studi che fanno uso delle mappe linguistiche hanno come scopo principale il far emergere la conoscenza comune in merito alla variazione linguistica di tipo diatopico. Fondamentali in questo senso sono i lavori di Pearce (2009, 2011) sui confini dialettali percepiti del nord dell’Inghilterra, in cui si mira a indagare la “common folk knowledge” in relazione alla variazione linguistica. Le mappe divengono il riflesso diretto di uno spazio percepito non solo in base al paesaggio, ai flussi economici o al tipo di industria presente nella zona, ma (comparate con i dati provenienti dalla dialettologia classica) mostrano come gli informatori rispondono a una variazione linguistica reale. I parlanti non si orientano perciò solo su categorie geografiche per classificare lo spazio linguistico. Nell’indicare similarità o differenze, essi registrano infatti una variazione linguistica realmente esistente: l’elemento puramente linguistico si associa perciò a una differenziazione geografica, ed è saliente e percepito, per quanto l’identificazione dei confini linguistici percepiti dai parlanti spesso non corrisponda alle isoglosse tracciate dai linguisti.

Grazie ai lavori di tipo percettivo, infatti, si può provare a fornire una possibile risposta alla domanda di lungo corso riguardante la realtà dei confini linguistici: “crucially, by building on the tenets of perceptual dialectology, some familiar geolinguistic concepts take on a partially new shape, particularly the notion of the language border” (Iannàccaro & Dell’Aquila 2001: 266). Uno sguardo che si pone

dalla parte del parlante permette di verificare il rapporto tra i confini “etici” dei geolinguisti e dei dialettologi e i confini “emici” di chi in quello spazio linguistico, geografico e culturale è inserito. Nella ricca raccolta di Long & Preston (2002), un approfondimento di questo aspetto si ritrova ad esempio nel lavoro di Moreno Fernández & Moreno Fernández (2002), dedicato alle attitudini linguistiche dei cittadini di Madrid. In Spagna coesistono quattro lingue principali (Castigliano, Catalano, Basco e Galiziano), e vi è inoltre grande differenziazione dialettale. Gli autori sottopongono a un numero non specificato di madrileni, differenziato per sesso, età e scolarizzazione, una mappa della Spagna sulla quale viene chiesto di indicare – con una scala da 1 a 4 – quanto la parlata della determinata regione sia più o meno simile a quella di Madrid. I risultati fanno emergere come le attitudini non siano omogenee, ma seguano una differenziazione sociolinguistica: mentre i soggetti di sesso maschile identificano come più distanti dalla varietà madrilena le regioni bilingui, le donne percepiscono come più distanti le regioni che hanno dialetti più innovativi (come Murcia, l’Estremadura e le Canarie). Un risultato simile si ritrova nello studio condotto in Turchia da Demirci (2002), dove la percezione delle differenze regionali è vista in rapporto con categorie sociolinguistiche come il sesso dei parlanti. Anche per la Turchia, maschi e femmine rispondono diversamente al compito di compilazione delle mappe linguistiche. Le isoglosse tracciate dai due gruppi sono infatti diverse: mentre le donne tendono a individuare meno sottogruppi linguistici, gli uomini sono in grado di elencare un maggior numero di differenziazioni regionali. La differenza tra i due sessi, secondo gli autori, è probabilmente da considerare anche in rapporto alla struttura sociale della Turchia, e in particolare con la diversa possibilità di accesso alla scolarizzazione, al lavoro e alla carriera da parte di soggetti maschili e femminili.

Lo studio della percezione dei confini dialettali permette di comprendere meglio le complessità e il significato intrinseco della variazione linguistica. L’utilizzo di diverse metodologie, provenienti non solo dalla linguistica ma anche dalla

psicologia, ha permesso di evidenziare come le persone percepiscano 10 , concettualizzano e decodificano la variazione linguistica (Clopper & Pisoni 2005: 319). Non solo: lo studio della variazione linguistica e della sua distribuzione geografica nel territorio, andando di pari passo con lo studio delle valutazioni e della loro distribuzione attraverso particolari gruppi sociali e regionali, permette di rivelare le dinamiche che agiscono nelle comunità di parlanti in merito ai pregiudizi a favore o contro varietà sociali e regionali (Garrett 2002: 630). Questo permette di gettare luce non solo sui processi linguistici, ma anche su meccanismi che regolano i sentimenti di appartenenza verso il proprio gruppo sociale, favorendo così l’analisi e le interpretazioni delle relazioni sociali ben oltre il solo punto di vista linguistico. Le attitudini e il sentimento linguistico del parlante possono inoltre essere utilizzate come guida nello studio del mutamento linguistico: come nota Goeman (2002: 145), “the subjective evaluation of ‘own’ and ‘foreign’ (scil. language) is an important factor in language behaviour besides other language internal and language external factors”. Riepilogo

In questo secondo capitolo si sono date le coordinate del secondo quadro teorico all’interno del quale si muove questa ricerca. Si è mostrato in che modo la percezione ‘ingenua’ dei parlanti possa offrire delle informazioni di natura sociolinguistica sulla percezione del codice linguistico e sulla sua distribuzione areale. Questo tipo di informazioni è importante sia per il dialettologo sia per il sociolinguista. Per quest’ultimo, chiedere ai parlanti di fornire dei giudizi metalinguistici è da considerarsi come uno strumento in più a disposizione di chi cerchi di spiegare la variazione linguistica realmente presente nella produzione. Il dialettologo potrà invece mettere in discussione il concetto di isoglossa e la realtà dei confini linguistici tracciati dai linguisti nel momento in cui si trovi di fronte ai giudizi dei parlanti sulla percezione della variazione diatopica.

10 Il termine “percezione” in questo caso non fa riferimento specifico alla percezione psicoacustica delle

differenze fonetiche e fonologiche tra gli accenti. Per un approfondimento bibliografico di questo aspetto si rimanda a Long & Preston (2002), Thomas (2002).

CAP. 3 - IL REPERTORIO LINGUISTICO ITALIANO

Introduzione

Il capitolo tratta nel dettaglio la situazione sociolinguistica italiana e il rapporto che vige tra lingua standard e dialetti. Nel §3.1 si ripercorreranno gli studi sull’architettura variazionale dell’italiano: in particolare, nel§3.1.1 ci si concentrerà sul modello proposto da Berruto (1987); nel §3.2 si introdurranno i concetti di diglossia, dilalìa e diaglossia, esponendo le proposte terminologiche di Berruto (§3.2.1), di Trumper (§3.2.2) e Auer (§3.2.3), e si tratterà dei rapporti che intercorrono tra le varietà presenti nel territorio italiano (dialetti, dialetti di koinè, italiano regionale, italiano standard). Nel §3.3 si descriveranno le tastiere linguistiche dell’italiano e si affronteranno nel dettaglio le definizioni di dialetti di koiné (§3.3.1) e italiano regionale (§3.3.2), concentrandosi sui livelli di interferenza tra italiano e dialetti (§3.3.2.1), sui problemi teorici e metodologici posti soprattutto dall’individuare dei confini specifici per la nozione di italiano regionale (§3.3.2.2), e sui problemi tutt’ora non risolti (§3.3.3.3). Infine, nei §3.4 e §3.5 si affronterà il problema delle sopravvivenze dialettali nell’Italia contemporanea, gli ambiti d’utilizzo del dialetto e le sue valenze pragmatiche e comunicative.

3.1 L’architettura variazionale dell’italiano