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8.2 Risultati

8.2.2 Competenze acquisite e socializzazione

Domanda 5: Oggi conosci il tuo dialetto? Se sì, di che dialetto si tratta? Lo sai parlare o sei solo in grado di capire quando qualcuno lo parla?

Un primo sguardo alla competenza dialettale presunta rileva delle contrapposizioni nette tra gli studenti del Liceo Classico e gli studenti dell’Istituto Tecnico, con ulteriori differenze tra fasce d’età e sesso dei soggetti (v. tabella 6). Sono gli studenti dell’Istituto Tecnico, senza distinzione di sesso, a guidare gli altri nella maggiore competenza dialettale. Solo uno di loro dichiara di avere solo competenza passiva, sebbene le ragazze spesso dichiarino di non essere pienamente in possesso del dialetto. La differenza tra studenti del Classico e del Tecnico diventa ancora più evidente andando a confrontare nel dettaglio alcune risposte estrapolate dai questionari. Gli studenti dell’istituto tecnico non hanno problemi nell’ammettere la propria competenza dialettale, anzi:

“Conosco il dialetto lametino, sono in grado di parlarlo e anche di usarlo, credo che sia stupido non saperlo siccome è l’unica cosa che può accomunare tutti” (RC)

Stessa cosa non può dirsi per i ragazzi del Liceo Classico, i quali molto spesso mostrano disagio e imbarazzo nel dichiarare di saperlo parlare:

“Gizzeroto e nocerese, lo so parlare ma mi vergogno” (MVP)

“Ho dimenticato quasi tutte le parole che conoscevo, sono solo in grado di comprendere quando è parlato da altri” (MV)

Sembra inoltre che, per entrambe le scuole, siano i ragazzi più giovani, attorno ai 15 anni, a dichiarare con più facilità la propria competenza sia attiva sia passiva, annullando quella differenza fra i sessi che risalta con più forza fra i ragazzi più grandi.

Tabella 6 – Le competenze linguistiche dichiarate dagli studenti dei due istituti, suddivisi per sesso e fascia d’età.

Competenza attiva e passiva Scarsa competenza attiva Sola competenza passiva M F M F M F Liceo Classico Biennio 3% 8% 2% 10% 1% 4% Triennio 9% 2% 1% 10% 1% 4% Ist. Tecnico Commerciale Biennio 17% 4% 0% 6% 0% 0% Triennio 4% 10% 0% 3% 1% 0%

Domanda 6: Se fin da piccolo hai avuto l’italiano come lingua materna, quando hai incominciato a parlare / capire il dialetto? Pensi ci siano state delle persone o delle situazioni particolari, come ad esempio i tuoi amici?

Le risposte alla domanda n. 2 mettevano in evidenza la mancata trasmissione del dialetto da parte dei genitori. Se però non è attraverso il nucleo familiare che questa competenza viene acquisita e trasmessa, chi o cosa può essere chiamato in causa per giustificare questo profondo scarto registrato fra la conoscenza del dialetto e gli atteggiamenti, a volte censori, della famiglia e della scuola? Si può affermare che due sono gli istituti che governano l’acquisizione del dialetto, e cioè i nonni (21%) e gli amici (47%): da un lato la trasmissione di un codice privato, di una lingua legata al patrimonio tradizionale tramandata dai nonni a volte in forma di gioco, dall’altro lato il gruppo dei pari.

“Ho appreso il dialetto quando ero piccola dal momento che allora vivevamo da mia nonna; lei parlava prevalentemente dialetto in quanto, essendo a mio parere la lingua del passato, le veniva più facile e congeniale” (MR)

“Particolarmente ha avuto un ruolo importante mia nonna, perché non parla molto l'italiano e per parlare con lei ho imparato il dialetto” (SP)

I ragazzi sembrano concordi nell’individuare come momento decisivo per l’acquisizione e l’uso del dialetto il passaggio dalle scuole elementari alle scuole medie. L’appropriarsi di una lingua giudicata ‘da grandi’, motivo di sanzione da parte delle autorità del mondo adulto – famiglia, scuola – spiega tutto il suo valore simbolico e favorisce così il processo di appartenenza al proprio gruppo, segnalando così il limite invalicabile fra il mondo privato dei ragazzi e il mondo dell’autorità scolastica.

“Si, ho iniziato a bazzicare la lingua e a stento pronunciare qualche termine in tenera età, colpito dalla frequenza con cui essa si rivelasse al mio udito nel comprensorio. Ma soprattutto a scuola, a causa dell’assidua ripetizione di parole che destano attenzione. Dunque oserei dire le elementari per quanto riguarda l’accesso alla lingua, le medie per l’orribile e soffocante utilizzo di questa dai compagni e gli ambienti di frequentazione di questi ultimi, ma mi sono sempre astenuto da riferimenti in ambito scolastico. Il linguaggio a cui facevano capo i compagni della scuola media era volgare e spesso esasperava la pronuncia di diversi termini. Ovunque potesse essere utilizzato, lo si parlava” (MV)

“Ho incominciato a capire e parlare un po' il dialetto alle scuole medie. I miei amici hanno sicuramente contribuito al mio apprendimento del dialetto” (MC)

“Il dialetto ricordo di averlo sentito parlare bambina, ma lo vedevo come un qualcosa "da grandi", quindi ho sempre evitato di parlarlo. Crescendo poi, frequentando persone sempre nuove, anche i miei coetanei lo parlavano, quindi ho iniziato a non intenderlo più come un "reato". Quindi cominciavo a parlarlo, anche non sapendolo fare. Poi alla scuola superiore praticamente tutti parlavano il dialetto quindi con l'abitudine ne ho appreso parole sempre nuove” (MCr)

“Ancora oggi pur non avendo mai parlato il dialetto, non riesco ad apprenderlo. Lo capisco però non so parlarlo, infatti fra amici mi sento sempre a disagio perché sono l'unica a non saperlo parlare” (AGG)

Le risposte evidenziano perciò le possibilità simboliche del dialetto, e il ruolo fondamentale degli amici e del gruppo dei pari nell’acquisizione linguistica.

Domanda 7: Hai mai notato se ci sono differenze nel tuo modo di parlare in base alle persone che ti trovi di fronte o alle situazioni (es. parlare con un anziano / con un ragazzo / con una ragazza, a scuola / al pub)? Sai identificare degli ambiti d’uso in cui tu pensi di utilizzare di più il dialetto?

Passiamo ora a considerare le risposte relative agli ambiti d’uso e agli atteggiamenti psicologici del dialetto (v. tabella 7).

Tabella 7 – Gli ambiti d’uso privilegiati del dialetto, distinti per composizione dell’uditorio, luogo della conversazione, atteggiamenti psicologici.

COMPOSIZIONE DELL’UDITORIO

Con la famiglia 16%

Con le persone anziane 26% Con gli amici / con persone con cui si ha confidenza 40% LUOGO DELLA CONVERSAZIONE

Al pub/in discoteca/allo stadio 6% ATTEGGIAMENTI PSICOLOGICI E FUNZIONI COMUNICATIVE

Per scherzare o fare battute 8% Quando si è arrabbiati 3% Nessuna distinzione 1%

I dati contenuti nella tabella mostrano che il dialetto sembra essere il codice preferito fra gli amici, all’interno della comunicazione informale e quotidiana: poter parlare in dialetto con qualcuno è come un sugello identitario, una sorta di passaporto che permette l’ingresso nel gruppo dei pari.

“Penso di riuscire a capire quando c'è bisogno di parlare italiano, anzi, credo che ci siano delle situazioni in cui non è affatto indiscreto parlare il dialetto. Credo che parlare il dialetto e, soprattutto, capire quando poterlo parlare, contribuire ad acquisire la consapevolezza di aver preso confidenza con qualcuno. Parlare il dialetto con qualcuno, in poche parole, equivale per me a capire di aver stretto con costui un rapporto confidenziale stretto” (SC)

“Si ci sono tante differenze in particolare con gli anziani che con persone che non sono del mio stesso paese. Io utilizzo di più il dialetto quando sono con i miei

compagni che scherziamo. Di solito con la mia compagna di banco per ridere un po' usiamo il dialetto di Scordovillo” (SG)

Tre sono gli assi che governano l’emergere del dialetto:

1. la composizione dell’uditorio, per cui il dialetto è preferito all’interno di una comunicazione ‘privata’, per parlare con gli amici o per comunicare con i nonni, e diventa necessario con anziani dialettofoni, per permettere la comprensione reciproca (“Con gli anziani al fine della comprensione è necessario” AR);

2. la situazione comunicativa in cui ci si trova, per cui il dialetto può essere usato nei luoghi frequentati dai giovani, quali i pub, le discoteche, gli stadi;

3. lo stile, dato che il dialetto compare come registro ulteriore della tastiera linguistica per offrire il giusto arricchimento espressivo nella comunicazione scherzosa fra amici, o per sottolineare particolari condizioni emotive (es. un’arrabbiatura).

Domanda 8: Ti piace la varietà che si parla a Lamezia Terme? Come la giudichi?

Conoscenza e utilizzo non significano però corrispondente apprezzamento linguistico. La cosa che colpisce, nella risposta alla domanda n. 8, è la netta preponderanza di risposte negative relative al gradimento nei confronti della varietà linguistica parlata nel territorio lametino42 (65% di risposte negative, a fronte del 30% dei soggetti che rispondono positivamente). Gli aggettivi scelti per descrivere la varietà parlata nella propria zona si concentrano attorno al campo semantico dell’asprezza (15%) connotando la varietà come rozza, volgare o ‘tamarra’ (20%). La minoranza dei sostenitori giustifica invece il proprio apprezzamento definendola una varietà musicale o squillante (18%), divertente e piacevole (4%), per alcuni addirittura ‘troppo bella’ (8%). Nella tabella sono state sintetizzate le percentuali dei giudizi (v. tabella 8). Alcuni studenti hanno usato più di un aggettivo per definire il dialetto della propria

42 Date le diverse provenienze geografiche dei ragazzi, principalmente di piccoli paesi gravitanti attorno a

Lamezia Terme, avevo chiesto loro di rispondere riferendosi genericamente alla varietà parlata nel proprio paese di residenza.

zona, ma i campi semantici riconducono tutti principalmente alle sfere dell’asprezza dei suoni. Alcuni sembrano invece accettare passivamente il fatto che, sebbene il dialetto parlato nella zona non sia dei migliori, si tratta di dover accettare le proprie radici.

“Aspra e noiosa da una parte, ma dall’altra squillante e musicale, del resto sono le radici della mia terra e devo saperle apprezzare” (MPi)

Il dato più interessante riguarda però come si distribuiscono questi giudizi sulle due scuole, nelle due fasce d’età e nella differenza tra maschi e femmine. In questo caso, sembra che fino ai 15 anni di età il pregiudizio non sia ancora perfettamente attivo: maschi e femmine di questa fascia d’età sono molto più propensi a giudicare positivamente il dialetto, ed è anzi solo tra loro che si trovano risposte totalmente positive.

“Trovo il dialetto lametino molto musicale e affascinante, mi piace” (IG)

Tabella 8 - Giudizi sul dialetto, suddivisi per scuola e classe

GIUDIZI NEGATIVI

Aspra, antipatica, aggressiva, pesante, poco consona al buon costume, rozza, scostumata, sgradevole, tamarra,

27% (di cui 13% triennio del classico, 6% biennio del classico, 4% triennio di ragioneria, 3% biennio di ragioneria)

GIUDIZI POSITIVI

Armoniosa, musicale, ritmata, squillante 22% (di cui 5% triennio classico, 15% biennio classico, 2% biennio ragioneria)

Divertente, troppo bella, piacevole 29% (di cui 1% triennio classico, 3% biennio classico, 12% triennio ragioneria, 13% biennio ragioneria)

GIUDIZI INTERMEDI

Non sempre bella, a seconda delle situazioni o dei concetti da esprimere

7% (di cui 3% triennio del classico, 3% biennio ragioneria, 1% biennio classico

Meglio di altri dialetti, sono le proprie radici 8% (di cui 5% triennio classico, 2% biennio classico, 1% biennio ragioneria)

Indifferente, né bello né brutto 7% (di cui 6% biennio ragioneria, 1% triennio ragioneria)

I ragazzi del Liceo Classico sono invece quelli che tendono a giudicare il dialetto più negativamente, mediando però molto spesso i loro giudizi con considerazioni più generali sulla sua manifestazione sonora.

“Non amo affatto la varietà lametina, ma se si esclude il mio giudizio di parte, la dichiarerei musicale, come una partitura metrica senza, però, alcuna logica di impostazione: molto flessibile ed aperta a nuove modifiche impartite dalla lingua italiana” (MV).

“Non è certamente armonioso ma è piacevole da parlare e facile da capire, alcune parole però che risultano cacofoniche fanno pensare che sia un dialetto tamarro e grezzo” (CR)

Le ragazze invece, e in maggior numero le studentesse del Liceo Classico, tendono a fornire risposte più negative, nelle quali emerge una forte connessione tra utilizzo del dialetto e cattiva educazione, comportamenti sanzionabili e volgarità.

“No, non mi piace. È aspra, dissonante, rozza. A me dà una sensazione sgradevole” (GD)

“No, la reputo poco consona al buon costume” (GM). 8.2.3 La percezione dello spazio linguistico

Dopo aver visto la percezione che i soggetti hanno del proprio comportamento linguistico, di seguito ci concentreremo su quello che i parlanti avvertono a proposito del loro spazio linguistico. Di seguito verranno perciò analizzate le risposte alle domande che vanno dalla n. 9 alla n. 13 (v. Appendice). L’intenzione era di invitare i soggetti a indirizzare il proprio sguardo sempre più lontano, concentrandosi sul rapporto tra repertorio linguistico e organizzazione spaziale.

Domanda 9: Secondo te, in questa città il dialetto si parla? Quanto?

Per quanto riguarda la domanda n. 9, che aveva come oggetto percezione dell’uso del dialetto nella città di Lamezia Terme e dintorni, si nota come dei 90 soggetti che

hanno risposto, solo uno dichiara che il dialetto in generale non si parla, precisando comunque che viene parlato dagli anziani.

“No, in generale lo parlano gli anziani” (FT)

I restanti 89 soggetti affermano all’unanimità che il dialetto viene parlato, aggiungendo a questa informazione indicazioni sulla quantità d’uso e sui suoi parlanti. Se escludiamo le quattro risposte nelle quali i soggetti si limitano a rispondere affermativamente ma senza quantificare, il quadro che ne risulta è comunque uno in cui il dialetto viene percepito come molto parlato. Il 33% dei soggetti risponde compattamente con “sì, abbastanza”, mentre i restanti offrono giudizi ben più complessi e inaspettati: alcuni affermano infatti che “è il linguaggio più diffuso” (AR), precisando come

“il dialetto è parlato sempre e, per lo meno sulla base della mia esperienza, quasi in ogni luogo. Anche da professionisti in ambito sanitario, didattico, culturale e giuridico. Naturalmente l’inflessione vocale è notevolmente diversa, con poco utilizzo della lingua dalle classi istruite” (MV)

Leggendo attentamente tra le risposte date, si notano inoltre opinioni latenti su questo frequente utilizzo del dialetto: in molti affermano che il dialetto è parlato soprattutto tra i giovani per motivi di ostentazione e sfacciataggine,

“Sì a Lamezia il dialetto si parla molto, soprattutto tra ragazzini ormai si fa esclusivamente uso del dialetto” (JD)

“Sì, secondo me il dialetto è parecchio usato qui a Lamezia, anche se spesso i ragazzi lo utilizzano più che altro come ostentazione e non per abitudine e quindi spontaneità” (SR)

mentre altri riconducono questo comportamento a un forte attaccamento alle tradizioni tipico delle regioni meridionali italiane.

“Sì, parecchio, soprattutto al sud, siamo legati alle nostre origini, anche se talvolta, errando, crediamo siano motivo di regressione” (MVe)

“Sì, si parla ed è frequente e trovo bellissimo il fatto che sia conosciuto da tutti” (RC) “Sì, a Lamezia è molto usato il dialetto, sicuramente e principalmente per valorizzare quella che è la CALABRIA” (GPa)

Il quadro complessivo che si delinea è un quadro di forte vitalità: i ragazzi percepiscono un utilizzo vivo e costante del dialetto tale da non permetterne la scomparsa, riescono ad identificare un uso variabile dei diversi codici e delle diverse competenze linguistiche

“Per dare una percentuale, che comprenda sia chi parla il dialetto in modo sporadico, sia chi lo parla in ogni occasione, credo che si aggiri intorno al 75%” (SC)

e notano anche comportamenti di code-switching legati alle situazioni comunicative e alla composizione dell’uditorio.

“Sì, si parla molto in base ai contesti” (AF)

“Sì, ragazzi lo conoscono ma lo usano poco a seconda delle persone con cui rapportarsi” (CR)

Domanda 10: Immagina di trovarti per strada e di sentire parlare qualcuno. Pensi che saresti in grado di riconoscere la sua zona / quartiere di provenienza? Se sì, sapresti farmi degli esempi? Quali elementi ti aiuterebbero a riconoscerlo?

Il tentativo di indirizzare la riflessione degli studenti sull’esistenza di particolari marche linguistiche che permettano di identificare la provenienza geografica di un parlante ha portato a delle risposte non sempre facilmente interpretabili. Non tutti i ragazzi sembrano in grado di riconoscere un ipotetico parlante dal suo modo di parlare: per il 34% dei soggetti questo sembra impossibile, e il restante 66%, che invece dichiara di esserne in grado, spesso non sa fare esempi, limitandosi solo a riportare la propria capacità di riconoscimento e fornire un elenco di località giudicate come particolarmente identificabili. Per molti sembra avvenire un processo di

differenziazione, per cui l’altro si riesce a identificare nel momento in cui il suo modo di parlare non corrisponde al proprio dialetto.

“Non saprei riconoscere il luogo di appartenenza ma capirei se è di Lamezia o no, perché ci sono diversi accenti” (MDF)

Quando invece la risposta fornisce anche degli appigli linguistici, questi spesso si limitano a indicazioni generiche che fanno riferimento a termini come ‘accento’ o ‘cadenza’, relegando quindi la percezione a fattori di tipo prosodico-accentuale o a differenze puramente lessicali.

“Penso di sì. Ad agevolarmi la comprensione non sarebbero tanto i termini quanto l’accento” (MR)

“Dipende, qualche volta capisco che non si tratta di dialetto lametino per l'accento e poi anche perché sento per la prima volta termini differenti da quelli che usiamo noi” (JD)

Per il 26% degli studenti la cifra della differenziazione linguistica risiede invece in particolari fenomeni linguistici, tutti di tipo fonetico, rapportati a paesi o quartieri ben precisi. L’attenzione si concentra sulle differenze più prossime e, nello specifico, sul dialetto parlato nella frazione di Sambiase, varietà stigmatizzata e riportata più volte nel questionario come esempio di dialetto ‘rozzo e tamarro’. Lo shibboleth riguarda l’esito della sibilante, la cui palatalizzazione (confluente in una fricativa post-alveolare sorda se seguita da consonante sorda, o suo corrispettivo sonoro se seguita da consonante sonora, v. §7.2) avviene non solo nei nessi consonantici ma anche in contesti intervocalici:

“Per esempio la pronuncia della 's' con 'sh'. Per esempio il detto irrisorio ‘è vero che a Sambiase parlano con la sh’ e la famosa risposta ‘No, shuolu i viacchi’” (RDM) “Credo di saper riconoscer la cadenza dialettale di una determinata persona in base alla posizione dell’accento, alcune zone hanno caratteristiche proprie: ad esempio pronunciare SSH al posto di S, tipico del dialetto di Sambiase” (GPe)

L’esito della sibilante viene chiamato in causa anche come marca tipica del dialetto di Gizzeria, riconoscibile dalla presenza di una ‘esse impura’ che però non sembra essere assimilabile allo stesso esito sambiasino. Non è del tutto chiaro come mai i parlanti differenzino i due esiti che, almeno intuitivamente, parrebbero riguardare lo stesso fenomeno (dando per scontato che nella terminologia in uso nelle grammatiche con ‘s impura’ si intendono quei casi in cui la sibilante precede un’altra consonante). Uno sguardo alla classificazione di Trumper, Maddalon & Chiodo (1995) potrebbe indurre a credere che si tratti dello stesso fenomeno, attestato proprio in quest’area, della palatalizzazione di /s/ in posizione davanti ad altra consonante. Le differenze con Sambiase sarebbero quindi da rintracciare non tanto nell’esito quanto nei contesti: a Sambiase infatti il fenomeno sembra attivo non solo nei nessi ma anche nei contesti intervocalici.

“Non penso riuscirei a capire da quale zona proviene, solo in alcuni casi. Ad esempio la sh è tipica sambiasina. Oppure la s impura del dialetto di Gizzeria” (CRo)

Si trovano inoltre indicazioni riguardanti gli esiti variabili dei nessi variabili dei nessi latini LT, LD (cf. Trumper 1997), per cui sembra che a Nicastro sia in atto un vero e proprio dileguo, di contro all’esito di Sambiase con velarizzazione della laterale.

“Sì ad esempio i ragazzi di Nicastro dicono ‘atu’ che significa alto, a Sambiase dicono ‘autu’” (SP)

Meno chiari sono i riferimenti a una maggiore presenza della /r/ nei dialetti di Falerna e di Reggio Calabria: per Reggio si tratta forse di una spia di quel processo per cui “la r iniziale viene pronunciata con un forte appoggio della voce (come rr-) […] cf. il calabrese (particolarmente nella provincia di Reggio) rracina, rrizzu, rribba, rrunca, di Rriggiu ‘di Reggio’” (Rohlfs 1966: 223).

“Sì, per esempio se mi trovassi di fronte a una persona di Reggio lo capirei dall'utilizzo marcato della R e della E” (GR)

“Sambiasino per la s, gizzeroto per la s impura, il dialetto di Falerna paese per l’uso frequente della r” (LG)

È da notare inoltre come molto spesso si trovino accenni al fenomeno dell’aspirazione delle occlusive e delle affricate sorde, ma sempre e solo in riferimento al dialetto parlato nella città di Catanzaro e spesso portando come esempio affricate e non occlusive. Come vedremo più avanti, l’aspirazione delle occlusive sorde è presente anche nel dialetto e nel corrispettivo italiano regionale parlato nella zona di Lamezia Terme, sicché sembra insolito trovare questo tratto come elemento che permetta di riconoscere un parlante proveniente da Catanzaro. Probabilmente non si tratta tanto di non notare l’aspirazione nella propria varietà, quanto riconoscere al catanzarese una presenza più sistematica del fenomeno: questo può significare sia maggiori contesti d’uso, sia maggiore frequenza delle variabili aspirate o semplicemente una maggiore forza del segmento con aspirazione.

“A volte sì, le vocali e il raddoppiamento di alcune consonanti mi aiuterebbero a riconoscerlo” (CP)

“Il dialetto di Catanzaro fa sentire più la z” (GC)

“Non credo, anche se so che a Catanzaro è marcata molto la Z, a Maida e Jacurso le