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5.1.1 Le valutazioni delle varietà linguistiche: travestimenti di voci a confronto

Solo negli ultimi decenni del XX secolo gli studiosi italiani hanno cominciato a occuparsi della percezione implicita che il parlante ha del codice linguistico proprio e altrui. Pioniere a tale proposito è lo studio di Baroni (1983), il primo a importare in territorio italiano la tecnica del matched-guise23 nella sua versione modificata (verbal–

23 Il matched-guise, spesso tradotto in italiano come “travestimento di voci a confronto” (Berruto 1995:

guise24), mutuata dai lavori di psicologia sociale di Lambert e colleghi (Lambert et al. 1960), e che aveva come scopo l’analizzare

«l'effetto della lingua usata sull'immagine del parlante che un ascoltatore si costruisce unicamente in base alla voce. In questo senso il linguaggio è trasparente, e rivela all'ascoltatore tutta una serie di caratteristiche extralinguistiche del parlante» (Baroni 1983: 19).

Per rilevare l’esistenza di stereotipi sia regionali, sia socioeconomici, l’autrice si è avvalsa della collaborazione di sei locutori professionisti – due di area veneta, due di area siciliana, uno di area milanese e uno di area bolognese – ai quali è stato chiesto di leggere quattro testi di argomento diverso in dialetto, italiano regionale e “italiano alto senza accento”. Gli stessi testi sono stati poi sottoposti al giudizio di 240 valutatori - suddivisi in 10 gruppi in base al loro sesso, età, grado di istruzione, provenienza regionale, città in cui si svolgeva l’esperimento -, i quali hanno valutato le 24 voci per aspetti riguardanti la presunta personalità e lo statuto socioeconomico della persona cui tale voce poteva appartenere. I risultati hanno mostrato come i valutatori tendessero ad associare uno status socioeconomico più alto alle voci sovraregionali rispetto alle corrispettive voci dialettali. Queste ultime godevano però di un certo giudizio positivo al livello dei tratti di personalità, ottenendo maggiori risultati sul versante “simpatia” o “affidamento”25. Risultava inoltre come la discriminazione fosse più grave verso le donne che parlavano in dialetto e verso i parlanti di area meridionale: nei confronti di questi ultimi i valutatori più severi erano i giudici sottoposti a dei brani registrati presentati loro come provenienti da locutori diversi, i quali devono essere giudicati per alcune caratteristiche (lavoro svolto, livello di istruzione raggiunta, tipo di macchina posseduta, simpatia, sicurezza di sé ecc.). I soggetti partecipanti non sanno che invece i brani sono prodotti da uno stesso parlante che “si traveste” e che imita spontaneamente diverse pronunce: in questo modo si può dedurre che i giudizi elicitati non riguardano tanto i soggetti quanto la varietà di lingua.

24 Negli esperimenti condotti con la tecnica del verbal-guise si risolve il problema, implicito nel matched-

guise, di trovare un parlante che abbia competenza attiva di tutte le varietà da indagare; in questo caso vengono registrati tanti parlanti quante le varietà di lingua da indagare.

25 L’idea che a determinate voci o stili di parlato (ma anche a modi di comunicazione non verbale)

possano essere fatti corrispondere attributi della personalità del parlante quali la simpatia (“sympathy”), il calore (“warmth”) o, all’opposto, la competenza (“competence”) e la capacità di leadership è molto diffusa e studiata nell’ambito della psicologia sociale e della sociologia già a partire dalla metà del XX secolo (e.g. Ash 1946); per la linguistica, si può fare riferimento a Lakoff (1975).

meridionali, i quali facevano emergere come il pregiudizio antimeridionale fosse ben più radicato proprio fra loro.

Risultati molto simili sono emersi dal noto studio di Galli de Paratesi (1984), un’inchiesta svolta nei tre centri di Milano, Roma e Firenze con lo scopo di misurare il processo di standardizzazione in atto, valutare la vitalità del dialetto e rilevare le opinioni linguistiche di 270 parlanti di 18 anni (90 di Milano, 90 di Firenze, 90 di Roma) a proposito di cinque varietà regionali d’italiano, e cioè l’italiano sovraregionale – l’”accento della RAI” -, milanese, fiorentino, romano e meridionale. Obiettivo dello studio era però “non tanto misurare le reazioni al parlato su nastri, quanto piuttosto discutere con gli intervistati la qualità e il modo di articolazione delle loro opinioni, fossero essi stereotipi negativi o stereotipi positivi” (Galli de' Paratesi, 1984: 146). Per ottenere questi dati l’autrice ha chiesto ai 270 soggetti di rispondere a un questionario e di condurre delle interviste per far emergere le opinioni linguistiche in merito all’accettabilità dei diversi codici e al loro essere in connessione con determinati stereotipi sociali. Anche in questo caso i valutatori erano concordi nell’attribuire la massima accettabilità alla pronuncia sovraregionale e nel porre sul gradino più basso dell’accettabilità la pronuncia meridionale: secondo le parole dell’autrice, “[…] l'accento meridionale è il meno accettabile, sempre meno mano a mano che ci si muove verso il nord e verso l'alto lungo l'asse socio-educativo: l'accettazione più bassa, in certi casi zero, è a Milano. È interessante il basso livello di accettazione tra le donne, e soprattutto la differenza tra donne e uomini nel campione romano» (Galli de' Paratesi, 1984: 149).

Pochi anni dopo la tecnica del verbal-guise è stata ripresa da Volkart-Rey (1990) in un’indagine effettuata a Roma e a Catania, volta a identificare gli indicatori sociali associati ai vari accenti locali (nello specifico, pronuncia romana e pronuncia catanese). L’autore si è avvalso di locutori maschi romani e catanesi, ai quali ha fatto leggere un breve bollettino meteorologico per Catania e un listino prezzi per Roma. I brani, letti da 10 diversi locutori (6 per Roma e 4 per Catania) in 6 stili diversi per accuratezza (dalla pronuncia più controllata e vicina allo standard a una pronuncia più marcatamente regionale, sono stati valutati da 102 insegnanti di scuole medie,

superiori o università della stessa provenienza geografica (22 per Catania e 80 per Roma), i quali dovevano compilare un questionario a risposte chiuse (con domande del tipo “Secondo Lei, come il parlante potrebbe passare il suo tempo libero?”, “Secondo lei, il parlante va a teatro, ai concerti, al cinema, ai musei?”) e aperte (“Che tipo di macchina potrebbe avere il parlante? Come potrebbe passare le sue ferie?”). I risultati sono in linea con le indagini precedenti: i valutatori valutano positivamente la pronuncia standard e la associano a un maggiore status socioeconomico e culturale; al contrario, le pronunce più marcatamente regionali sono svalutate e associate a stereotipi negativi, in maniera più accentuata nel catanese: si conferma quindi quel carattere autodenigratorio già identificato da Baroni (1983), che però viene visto da Volkart-Rey come più generica espressione del pregiudizio antidialettofono (Volkart- Rey 1990: 131).

La stessa tecnica del guise viene scelta nei più recenti lavori percettivi del gruppo di Calamai e colleghi (cf. Calamai & Ricci (2005) per Pisa, Livorno e Firenze, Calamai (2012), per la percezione dell’accento straniero). Biliotti & Calamai (2012) mostra i risultati di un’indagine condotta su 43 studenti tra i 18 e 19 anni di Arezzo e provincia. I dati provengono da un questionario suddiviso in tre parti – di cui ne vengono analizzate solo due - per indagare la percezione della varietà parlata ad Arezzo, in termini di opinioni scoperte e attitudini, comparata con quella parlata a Firenze. Nella prima parte viene chiesto esplicitamente un giudizio sulla varietà parlata ad Arezzo (“ti piace la varietà parlata ad Arezzo? Come la giudichi? Pensi che la varietà parlata ad Arezzo sia simile ad altre varietà? Riscontri delle differenze tra la varietà parlata dai giovani e quella parlata degli anziani? Pensi che la varietà aretina vada perdendosi? Pensi che sia importante per un impiegato dell’anagrafe di Arezzo conoscere il dialetto del posto?”);. Nella parte di esperimento verbal-guise, ai soggetti vengono fatti ascoltare dei brevi brani provenienti da un dialogo in stile map-task tra un soggetto di Arezzo e uno di Firenze e viene poi chiesto di giudicare le due voci per diversi tratti (condizione socioeconomica, personalità, distanza o prossimità sociale). I risultati del questionario fanno emergere come il 53% dei soggetti apprezzi la varietà parlata ad Arezzo, descrivendola come rozza e divertente, e che per quasi la metà

(41%) essa sia simile ad altri dialetti italiani (toscani o umbri). La seconda parte, di percezione implicita, mostra invece come la voce di Arezzo sia percepita come appartenente a una persona piacevole, socievole, virile, umile, sicura di sé e amichevole, ma al contempo rude, disordinata, non molto intelligente, non di successo, di bassa scolarizzazione e impiegata in un lavoro manuale sottopagato; contrariamente la voce di Firenze è giudicata come appartenente a una persona ordinata, sicura di sé, affidabile, intelligente, elegante, socievole, con un livello di scolarizzazione intermedia e con un lavoro di tipo impiegatizio e ben pagato, ma al contempo effemminata e non amichevole. In sintesi. un lavoro di questo tipo fa emergere, similmente al lavoro di Galli de Paratesi (1984), il sottile equilibrio esistente tra prestigio ‘coperto’ e prestigio ‘scoperto’: la voce di Arezzo viene infatti valutata positivamente per i tratti di ‘solidarietà’, mentre la voce di Firenze è preferita per i tratti di ‘status’.

Come sottolineato in Calamai & Ricci (2005) gli studi che fanno uso dei verbal- o matched-guises hanno per loro stessa natura delle limitazioni causate dal tipo di compito che il parlante deve svolgere. In primo luogo la tecnica del matched-guise pone dei limiti dato che non è sempre possibile reclutare parlanti perfettamente bilingui per registrare gli stimoli; il verbal-guise d’altro canto, risolvendo l’impasse di trovare soggetti perfettamente competenti in più varietà, rende meno sicura l’interpretazione dei dati poiché i partecipanti all’esperimento si trovano di fatto di fronte a tante voci quante le varietà indagate. In entrambe le modalità è inoltre molto difficile isolare gli elementi linguistici specifici (di pronuncia, del lessico etc.) che inducono l’ascoltatore a fornire un certo giudizio piuttosto che un altro. Quest’ultimo problema è facilmente risolvibile con la tecnica del matched-guise modificato, in cui si può agire direttamente sulla stringa sonora: nel caso di Calamai e Ricci (2005) ad esempio, le autrici decidono di superare il problema del reperimento di parlanti con competenza in più varietà andando a modificare direttamente i valori frequenziali e temporali delle vocali in esame, manipolando direttamente gli stimoli per modificare direttamente la variabile fonetica indagata. Rimane però il problema di una valutazione linguistica che avviene molto spesso in un setting artificiale come quello del laboratorio; in questo senso il matched-guise si configura come un compito astratto e

che si basa “su una concezione statica del rapporto fra comportamento linguistico, atteggiamenti e contesto situazionale” (Berruto 1995: 115), dunque ben distante dall’esperienza quotidiana dei parlanti nella comunicazione spontanea.