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Sopravvivenze dialettali in una situazione di italofonia: le sorti del dialetto

In un noto esercizio di linguistica prognostica condotto agli inizi degli anni Novanta, Gaetano Berruto si era interrogato su quale sarebbe stato, nel futuro, il rapporto tra italiano e dialetti nel repertorio della comunità parlante italofona (Berruto 1994). Sulla base dei dati Istat e Doxa l’autore proponeva quattro scenari possibili, e cioè:

- mantenimento della situazione attuale, con “coesistenza di italiano e dialetto con rilevante spazio di sovrapposizione nella conversazione quotidiana”, visto però come poco probabile (ibidem: 29);

- trasfigurazione dei dialetti, in altre parole una situazione in cui “i dialetti vengono ancora usati, anche ampiamente, ma in una forma tale che hanno ormai poco a che vedere col tradizionale dialetto locale, e sono debitori nella loro struttura e nel loro lessico della lingua nazionale, a cui sono in un certo senso parassitari” (ibidem: 30), uno scenario preconizzato anche da Sobrero (1978: 214), per il quale “gli odierni dialetti sarebbero sostituiti dalle varietà regionali – o sub-regionali – della lingua […]” e “l’antico rapporto italiano-dialetti locali in altri termini, lascerebbe il posto al nuovo rapporto: italiano-varietà regionali della lingua”;

- morte dei dialetti, in un caso non tanto di language death quanto di language suicide19 e cioè uno di quei casi “in cui una lingua decade e scompare di fronte ad un’altra di prestigio in concorrenza nel repertorio”, con assorbimento totale dei dialetti nelle varietà regionali di italiano e passaggio da una situazione di diglossia

19 La differenza tra gli scenari di language death e language suicide è ben esposta in Denison (1977: 21),

per il quale la situazione di suicidio linguistico occorre in quei casi in cui genitori bilingui considerano non più proficuo o necessario per il futuro dei propri figli trasmettere loro una varietà di lingua di basso prestigio. Di conseguenza i bambini non sono più motivati ad acquisire una competenza attiva di una varietà che viene giudicata negativamente sul piano della modernità, dell’avanzamento tecnologico, del successo materiale, scolastico e lavorativo.

come quella vigente fino all’Ottocento a una situazione di polidialettismo o ‘dialettìa sociale’(ibidem: 33), ossia quella situazione sociolinguistica, in Italia presente in Toscana e probabilmente a Roma, in cui all’interno del repertorio vi sono una varietà standard e diverse varietà regionali e sociali possedute entrambe dalla popolazione - sebbene nella conversazione quotidiana si utilizzi di più la varietà regionale e sociale di propria pertinenza - la cui vicinanza strutturale impedisce una reale coscienza di promozione di B come lingua alternativa, e favorisce la frequenza degli usi commisti di A e B (Berruto: 2011 [1995]: 209); - una situazione di crescente differenziazione regionale tra “Italie”

sociolinguisticamente diverse fra loro (ibidem: 38), con una contrapposizione tra zone in cui il dialetto parrebbe morto (Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Umbria, Sardegna) e zone in cui il dialetto sembra vitale (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto-Adige), accanto a delle situazioni incerte meno favorevoli (Marche, Abruzzo, Puglia) o più favorevoli (Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia) al mantenimento del dialetto.

A distanza di oltre quindici anni dagli scenari proposti da Berruto (1994) emerge un elemento di vitale importanza. Come ricorda D’Agostino (2007: 178) l’analisi longitudinale dei dati Istat e Doxa mostra come i parlanti vadano sì muovendosi, ma in direzione sia dell’italiano sia dei dialetti: il numero degli italofoni esclusivi pare infatti essere aumentato di un solo punto percentuale dal 1995 al 2006, mentre risulta stabilizzato il rapporto tra i due codici, con l’utilizzo alternato di italiano e dialetto nelle diverse situazioni comunicative20. A tale proposito del resto già Berruto (2002: 48) notava come “un motto di molti parlanti nell’Italia alle soglie del terzo Millennio sembra essere ‘ora che sappiamo parlare italiano, possiamo anche (ri)parlare dialetto’”. L’ormai raggiunta unità linguistica nazionale permette così al dialetto di guadagnare nuovi spazi e comparire in settori della comunicazione inattesi: “nell’Italia contemporanea, almeno per una fetta della popolazione giovanile, il

20 “Una parte dei ragazzi che a dieci anni dichiarava di non parlare dialetto, neanche in alternanza con

l’italiano, in nessun dominio comunicativo, a dieci anni di distanza non si percepisce più come monolingue italofona” (D’Agostino 2007: 178).

dialetto può essere recuperato (o forse solo attivato) nella fase adolescenziale o ancora dopo” (D’Agostino 2007:179).

La situazione, profondamente mutata rispetto a vent’anni fa, vede il dialetto comparire in nuovi spazi quali il mondo dei fumetti e dell’enigmistica (Berruto 2006, Trifone & Picchiorri 2008), nelle radio e le televisioni locali, nei nomi e nelle insegne di bar e trattorie (Berruto 2002, Cortelazzo 2003), nel settore eno-gastronomico (Stellino 2012), nei testi e nei nomi di gruppi musicali - soprattutto legati al mondo del rap o del folk (Sottile 2013, Nodari 2014) -, nella comunicazione mediata da computer (Grimaldi 2004). Come osservato da Berruto (2006), alla diminuzione dei parlanti dialettofoni corrisponde un parallelo aumento degli ambiti d’uso. Questo non significa un recupero tout court della dialettofonia, bensì una ripresa del dialetto come “veicolo di evocazione e attivazione di mondi di riferimento e valori particolari, diversi da quelli associati (o che si vorrebbero associare) all'italiano (a volte, certamente, anche in chiave nostalgico-rivendicativa21)” (ibidem: 121). Ma non solo. Le vecchie e nuove sacche di resistenza in cui emerge l’uso del dialetto possono essere ricollegate a quattro ambiti ben definiti a seconda dei valori assunti da questo: accanto al (i) valore comunicativo effettivo (per cui il dialetto è lingua d’uso quotidiana), il dialetto potrà perciò assumere il valore di (ii) risorsa espressiva con funzione ludica (come nelle radio e televisioni locali o nell’uso che di esso ne fanno i parlanti più giovani), (iii) di sottolineatura simbolica e ideologica di mondi di riferimento e valori socioculturali (come nel mondo della pubblicità o delle insegne dei locali) e, infine, (iiii) un valore museografico/folkloristico (come in alcuni siti internet di raccolta e testimonianza di parlate locali). È implicito il rapporto che intercorre tra ognuno di questi settori e la vitalità: un dialetto utilizzato ai fini della comunicazione quotidiana sarà di certo ben più vivo e in salute di un dialetto ridotto a mero richiamo folklorico.

21 A tale ambito è da rapportare quel fenomeno già osservato da Lombardi Satriani (1974: 17): “il dialetto

viene riutilizzato, ieri come oggi, da parte borghese in senso conservatore (vedi il fenomeno attuale dei circoli «regionali» che si trovano nelle grandi città dell’Italia centro-settentrionale, quali ad esempio circoli dei calabresi, le famiglie abruzzesi, le famiglie meneghine ecc., frequentate esclusivamente dai borghesi).

È indubbio come lo scenario presentato, per quanto non esaustivo, ponga l’accento su un mutamento in atto nella situazione odierna, per cui viene meno – almeno in alcune regioni (Ruffino 2006) – quel pregiudizio linguistico legato al dialetto, visto come lingua dei ceti più bassi (Benincà 1994); anzi, la consapevolezza del calo della dialettofonia (almeno in alcune regioni) pare alimentare una volontà di riscoprire il dialetto (Moretti & Stähli 2011), visto inoltre come una risorsa in più per aumentare il potenziale di variazione a disposizione dei parlanti (Moretti 2006: 44). Si ritrovano osservazioni analoghe, per quanto relative alla sola situazione sociolinguistica di un quartiere di Torino (borgo Vanchiglietta) in Cerruti (2003), il quale mostra come per gli adulti e i giovani coinvolti nella sua indagine la competenza dialettale attiva non sia più indice di un’inferiorità socioculturale, bensì pare abbia guadagnato, accanto ai contesti privati, spazi pubblici e circostanze tradizionalmente sfavorevoli all’uso del dialetto. Inoltre la condotta linguistica dei i giovani di istruzione medio-alta “testimonia […] l’interesse per una riscoperta dell’impiego del dialetto; un recupero che si vuole però circoscritto ad esplicite strategie ludico- espressive” (Cerruti 2003: 82). Non dissimile la situazione pugliese descritta da Tempesta (2015), in cui si mostra come i giovani si avvicinano al mondo del dialetto in quanto “codice dell’ilarità, della vivacità, del cameratismo” (ibidem: 57), per cui esso diviene un “contrassegno tribale” e una vera e propria marca di appartenenza al gruppo dei pari. Così è anche in Cortelazzo (2003), per il quale la presenza di messaggi in italiano e dialetto all’interno di un settimanale distribuito in Salento è da vedersi in rapporto con quella ricerca espressiva e quel voler sottolineare la propria appartenenza a un mondo con specifici valori simbolici e culturali.

I nuovi ambiti d’uso che il dialetto continua a guadagnare fanno emergere, a ormai quasi dieci anni di distanza, come sia ormai necessario riconsiderare le quattro costellazioni di valori proposte in Berruto (2006). Un’analisi di Paternostro & Sottile (2015: 220) sulla diffusione tra i bambini di alcune parodie in dialetto presenti in rete fa infatti emergere la possibilità che “per il tramite di altri ambiti comunicativi all’interno dei quali il dialetto non avrebbe valore d’uso effettivo (ma solo comico- parodico), la presenza del dialetto si rafforza e si ristruttura anche nella comunicazione

quotidiana grazie alla comparsa nell’uso effettivo dei bambini di pezzi di lingua modellati sulle parodie”. Serve così andare a indagare con più attenzione quel settore in cui il dialetto ha valore di uso effettivo, cercando di mettere in relazione i diversi settori elaborati da Berruto (2006) ed evitando di vederli isolatamente, ma piuttosto in continuo interscambio nella comunicazione faccia a faccia.