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La necessità di una valutazione dei suddetti elementi dialettali all’interno del parlato giovanile ha fatto sì che, accanto agli studi interessati precipuamente al lessico, si sviluppasse una linea di ricerca mirata a indagare nello specifico il rapporto esistente tra i giovani e l’utilizzo del dialetto all’interno della comunicazione tra pari. Ricerche di questo tipo hanno interessato in maniera più o meno uniforme tutta la penisola

italiana, concentrandosi principalmente nelle aree urbane e con conseguenti risultati diversi a seconda delle differenti situazioni sociolinguistiche.

L’attenzione dedicata ai giovani viene motivata anche da considerazioni più generali riguardanti la sopravvivenza dei dialetti in territorio italiano. Dato che “la fascia d’età cruciale per le sorti del dialetto è naturalmente quella giovanile” (Berruto 2006: 104), l’analisi del linguaggio giovanile ha soprattutto tenuto conto del ruolo e delle funzioni del dialetto nel repertorio linguistico. Sempre secondo Berruto (2001: 40) “le indagini sul linguaggio dei giovani, infittitesi in questi ultimi anni, non mostrano nel registro giovanile una grande rilevanza del dialetto, se non in situazioni particolari”. A tale proposito sarà sufficiente citare un lavoro svolto nella città di Torino che mostra che per un gran numero di giovani la lingua principale è l’italiano, sia perché il campione intervistato non è stato abbastanza esposto a un dialetto in modo da acquisirne una competenza attiva, sia perché le persone che compongono il gruppo dei pari provengono da differenti regioni italiane e non condividono quindi lo stesso dialetto (Ruggiero 2004).

Mossi da scopi simili, ma approdanti a risultati diversi, sono i numerosi lavori di Alfonzetti dedicati ai giovani siciliani (Alfonzetti 2001, 2012, 2013, 2015), i quali mostrano una situazione quanto mai in movimento, tanto da permettere all’autrice di definire la varietà giovanile da lei presa in esame22 - e cioè la varietà parlata dai giovani di diverse classi socioeconomiche provenienti da Catania centro e periferia, e da una serie di centri di diversa dimensione della Sicilia centro-orientale (Alfonzetti 2013) - come un vero e proprio caso di polylanguaging (Blommaert 2013, Vertovec 2010, Jørgensen et al. 2011). Il concetto di polylanguaging ha avuto particolare successo negli studi di sociolinguistica grazie ai lavori di Jan Blommaert, e rimanda direttamente alla nozione di polylingualism sviluppata da Jørgensen et al. (2011: 34), per i quali “language users employ whatever linguistic features are at their disposal to

22 La metodologia d’inchiesta è varia, e va dal questionario autovalutativo, alla registrazione di parlato

spontaneo in diverse situazioni comunicative, per concludersi con un corpus raccolta di un corpus di testi scritti ma vicini all’oralità, per via di alcune caratteristiche di produzione e ricezione, come sms, messaggi di forum, chat, blog, social network, ecc.

achieve their communicative aims as best as they can regardless of how well they know the involved languages”). I lavori di Alfonzetti mettono soprattutto in luce come i comportamenti linguistici, e quindi anche l’utilizzo di elementi dialettali, siano da correlare strettamente a variabili sociolinguistiche quali il luogo di provenienza (centro urbano vs. zone periferiche più disagiate o centri minori) e lo status socioeconomico dei parlanti. Entrambi i gruppi oggetto di analisi (e cioè i giovani del centro urbano catanese di status medio-alto vs. i giovani della periferia catanese e della provincia di status socioeconomico basso) producono meno spesso una commutazione intrafrasale rispetto a una commutazione di tipo interfrasale: la prima infatti richiede una maggiore compenetrazione tra sistemi linguistici ed è pertanto un tipo di alternanza di codice più complesso della semplice commutazione interfrasale (Alfonzetti 2001). La commutazione interfrasale però è direttamente correlata con lo status socioeconomico dei parlanti. Infatti, nel caso dei giovani catanesi appartenenti alla classe media, il dialetto è usato per fini stilistico-pragmatici (fare battute, insultare ecc.) e il code- switching è caratterizzato dall’inserzione di brevi battute o termini isolati in una struttura linguistica di base italiana. Si veda l’esempio riportato in Alfonzetti (2001: 244), un’interazione tra studenti universitari:

F: Ma perché tu non credi che si possano amare due persone contemporaneamente? M1: Anche di più!

[Ma picchì ddui suli? ddui tri, da::i! ((ride)) {ma perché due solo? due, tre}

Tra i giovani delle periferie, dei centri più piccoli e di classe socioeconomica bassa, invece, l’uso del dialetto continua a essere utilizzato come normale mezzo di comunicazione, e viene alternato all’italiano attraverso blocchi più estesi di frasi.

“Il rapporto dei giovani con il dialetto è permeato, come tutti i rapporti profondi, da una forte ambivalenza: attaccamento affettivo verso un oggetto sentito come parte delle proprie tradizioni, ma allo stesso tempo parzialmente censurato perché non del tutto scevro da connotazioni di provincialità e subalternità sociale; salvo però a riappropriarsene come codice della comunicazione ludico-espressiva in testi in cui i frammenti del proprio dialetto non a caso co-occorrono e si mescolano liberamente con quelli di altri dialetti e di altre lingue.”

Gli studi di Alfonzetti risultano quindi paradigmatici poiché mostrano come già il mettere in gioco diverse variabili, come lo status socioeconomico o la provenienza geografica (centro vs. periferia vs. paesi distanti dalla provincia) renda il quadro dell’utilizzo del dialetto più vario e più complesso. Se è vero che “i giovani, anche sul piano linguistico, tendono a costruirsi un proprio ‘spazio sociale’, delimitandolo mediante l’uso di particolari registri linguistici” (Radtke 1992: 11) e che proprio per questo sono i più attivi bricoleurs, essendo in grado di manipolare elementi di lingue diverse (che siano dialetto, italiano o forestierismi) e renderli risorse simboliche per la creazione di particolari identità sociali, è quanto mai necessaria un’indagine che non veda la lingua dei giovani intesa come un compartimento stagno in opposizione alla lingua degli adulti per via di un lessico che questi ultimi spesso non comprendono. Riepilogo

Nella rassegna di studi presentata nella seconda parte del cap. 1 si è mostrato come i lavori condotti in ambito sociolinguistico – prevalentemente nei paesi di lingua inglese – abbiano messo in risalto alcune specificità degli adolescenti nel proprio comportamento linguistico. È necessario chiedersi a questo punto quanto si sappia della situazione sociolinguistica degli adolescenti italiani, e se si possano fare dei confronti con la bibliografia di stampo angloamericano. A quanto risulta dalla bibliografia consultata e riassunta in questo capitolo, gli studi sulla lingua giovanile in Italia sono molto spesso limitati all’aspetto lessicale e al mutamento di codice, ma non coprono gli ambiti della variazionistica esplorati nel cap. 1. Si tratta soprattutto di studi condotti principalmente su fonti scritte – e molto spesso datate – molto disomogenee tra loro, quali riviste dedicate a un pubblico giovanile, fanzine, romanzi

che offrono un colore di linguaggio giovanile come “Altri libertini” di Vittorio Tondelli, scritte sui muri, post su blog e su Facebook, oppure fonti orali mimetiche, come programmi televisivi o film; molto spesso il materiale di prima mano proviene dalla somministrazione nelle scuole di questionari scritti (cf. Banfi 1992 per Milano e Trento, Marcato & Fusco 1994 per il Friuli, Franceschini & Schwarze 2000, 2001 per la Toscana), usati con l’obiettivo di raccogliere principalmente lessico giovanile e fraseologia. Sappiamo quindi come i giovani italiani facciano uso del dialetto per fini espressivi, attraverso la commutazione di codice, e come in alcune regioni vigano rapporti diversi col dialetto, in virtù del suo essere o meno ancora vitale (a tale proposito si veda anche il cap. 3 sulla situazione sociolinguistica italiana), e sappiamo che spesso i giovani italiani sembrano utilizzare un lessico in opposizione al lessico degli adulti. Non sappiamo però, innanzitutto, se i giovani italiani possono essere considerati come l’incubatrice delle innovazioni del mutamento linguistico (fonetico) come nelle comunità anglosassoni analizzate dai variazionisti, se sono soggetti al fenomeno dell’age-grading, se il loro attingere al dialetto sia solo valido per il lessico o se sia riscontrabile anche tra gli adolescenti italiani un utilizzo di tratti locali per veicolare determinate affiliazioni socioculturali. Sembra perciò necessario approcciarsi allo studio degli adolescenti italiani mutuando gli strumenti dalla sociofonetica di stampo angloamericano, quali l’approccio etnografico, l’individuazione di eventuali comunità di pratica nel campione studiato, la considerazione di diverse fasce d’età. Inoltre, si è ripetuto come l’età – intesa come variabile sociolinguistica – sia una categoria culturale prima ancora che anagrafica: in virtù di questa considerazione, la situazione degli adolescenti italiani potrebbe far emergere delle differenze rispetto agli schemi che conosciamo, poiché questi sono basati essenzialmente su studi fatti sulla società anglosassone. Per questo si crede che sia massimamente importante osservare il comportamento variabile degli adolescenti almeno a livello fonetico. La situazione linguistica italiana, interpretabile come un continuum di continua (Berruto 2011), sembra inoltre un banco di prova ideale per testare l’uso che i parlanti fanno di variabili locali. Un’analisi di questo tipo permetterà inoltre di confermare, o smentire, i risultati ottenuti dagli studi sociolinguistici su campioni di parlanti principalmente anglofoni: il rapporto diverso che intercorre tra lingua e dialetti in Italia implicherà

necessariamente la ricalibrazione degli strumenti fornitici dalla sociolinguistica, e proprio per questo permetterà di testarne l’efficacia.

CAP. 5 – LO STUDIO DELLA DIALETTOLOGIA

PERCETTIVA IN ITALIA

Introduzione

Secondo Telmon (2002), in Italia la linguistica dalla parte del parlante ha due settori d’elezione privilegiati: nel primo ambito si possono ascrivere quegli studi che hanno mirato all’identificazione e alla valutazione delle voci, settori privilegiati della psicologia sociale della lingua e della sociolinguistica, mentre nel secondo ambito rientra quel ricco settore, nato in seno alla dialettologia “oggettiva”, che ha come obiettivo primario lo studio di “stereotipi, blasoni popolari, prove di riconoscimento, intercomprensione, marche di appartenenza, traduzioni, mappe mentali […]” (Telmon 2002: 39). Si tratterebbe cioè di due linee parallele che mirano a indagare la percezione implicita – come negli esperimenti di valutazione delle voci - e esplicita – come nel caso dei questionari o delle mappe mentali. Di seguito si discuteranno entrambi i settori e si offrirà una breve panoramica degli studi più significativi. Nel §5.1 si affronteranno quegli studi che hanno avuto come oggetto la percezione implicita e, in particolare, ci si soffermerà sugli esperimenti condotti con la tecnica del travestimento di voci (§5.1.1); nel §5.2 ci si soffermerà invece sugli studi che hanno avuto come oggetto la percezione esplicita, concentrandosi sugli studi dedicati alla percezione dei confini linguistici (§5.2.1) e sull’utilizzo dell’autobiografia linguistica come strumento di indagine (§5.2.2).