• Non ci sono risultati.

Nel modello burocratico razionale che considera, come abbiamo esposto, la pubblica amministrazione come una macchina efficiente, un’organizzazione basata su apparati e funzioni, il cambiamento è soltanto una questione interna e viene letto strumentalmente in relazione a criteri oggettivi e neutri che vengono fissati a priori o, come diranno i critici del modello weberiano, in

connessione alle inefficienze prodotte da un certo tipo di organizzazione razionale. Non esiste rapporto tra ambiente e istituzione, tra cittadini e amministrazione, che appare al contrario chiusa e sovraccaricata di norme e regole che aumentano la distanza tra se stessa e i suoi membri. Conseguenza di tale paradigma è stato lo studio della pubblica amministrazione attraverso la questione burocratica e il punto di vista giuridico, delle norme, filone egemone in Italia (Bifulco, de Leonardis, 1997, Fedele, 1998). In questa ottica le tradizionali inefficienze della pubblica amministrazione vengono lette come eccezioni alla regola, come disfunzioni di una macchina che comunque viene considerata efficiente.

A partire da Selznick, al contrario, la macchina burocratica è stata considerata, grazie all’incorporazione di scopi e valori, come mezzo recalcitrante resistente e impermeabile agli obiettivi prestabiliti. Le più recenti teorie neo-istituzionaliste considerano il mancato o cattivo funzionamento della burocrazia come un fattore fisiologico di fondo, una componente inerziale delle organizzazioni che va considerato e analizzato per poter cogliere le dinamiche e i meccanismi di riproduzione quotidiana. Si tratta dunque di un lavoro di “svelamento” di quello che la teoria classica considerava ‘autoevidente’, dato per scontato, componente naturale dell’ingranaggio burocratico.

Affrontare il tema del cambiamento per il neo-istituzionalismo, lo abbiamo esaminato, significa dunque entrare in quelle zone grigie, di latenza (Pipan, 1996) che rappresentano il lavoro quotidiano dell’amministrazione che riproduce l’organizzazione burocratica e dunque anche le lentezze, le inefficienze, le “distorsioni” a cui gli autori classici hanno fatto riferimento (Merton, 1949; Crozier, 1969). Detto in altri termini una lettura di tipo istituzionalista conduce a considerare la pubblica amministrazione come costruzione sociale, esito sia delle interazioni interne che delle pressioni dell’ambiente istituzionale in cui è inserita. Gli sforzi di cambiamento sono, infatti, ritenuti tanto più improbabili quanto più rigidamente sono prestabiliti direzione, obiettivi e azioni del processo stesso di cambiamento: in altre parole

quanto più le organizzazioni vengono considerate strumenti razionali (Bifulco, 2002) e trattate di conseguenza.

Più che all’amministrazione dunque è importante, secondo noi, porre attenzione all’amministrare e cioè a processi, pratiche, culture e al rapporto con l’ambiente a partire dai soggetti (Bifulco, de Leonardis, 1997). Come direbbe la Zucker (1991, p.83) per capire le istituzioni “

il processo

fondamentale è quello in cui il ‘morale’ si trasforma in ‘fattuale’

“.

Allo stesso tempo è andata maturando una differente concezione del cambiamento: non viene più concepito come qualcosa che avviene in conseguenza ad un’imposizione esterna o dall’alto, ma il mutamento, quando sussiste veramente, é inteso come innovazione organizzativa che nasce a livello intersoggettivo, culturale e cognitivo. Così mentre si indebolisce il modello razionale dell’attore e dell’organizzazione, si afferma la prospettiva che siano le interazioni sociali ad avere proprietà generative e l’idea che, per capire il cambiamento, occorra partire proprio dallo studio di queste ultime attraverso l’analisi della dimensione cognitiva dell’organizzare e dei dispositivi messi in atto per regolare le azioni fra i soggetti (Bifulco, de Leonardis, 1997). E’ attraverso l’analisi dei processi che si possono, infatti, comprendere i modi di vedere e le concezioni organizzative che si formano, i linguaggi condivisi così come i modi di pensare e di agire, i repertori simbolici e le pratiche concrete dell’organizzazione.

Il mutamento oltre che origini di tipo storico, politico ed economico ha infatti anche una componente culturale, di confronto delle idee, come sostengono March e Olsen sottolineando l’importanza della dimensione culturale e cognitiva delle trasformazioni:

“…i principi di regolazione

dell’organizzazione e dell’azione pubblica sono anche dei modelli culturali, che

sottendono valori, visioni del mondo, linguaggi, teorie causali e interpretazioni

di problemi di funzionamento dei sistemi pubblici fra loro diversi, la cui capacità

di influenzare le decisioni e le riforme politiche e istituzionali dipende dalla loro

coerenza con la cultura politica corrente e con lo Zeitgeist

” (March, Olsen, 1992).

Come abbiamo evidenziato la teoria istituzionalista occupandosi dello studio dei motivi per cui le istituzioni anche inefficienti continuano a riprodursi sostiene che ciò che conta sono le relazioni sociali, culturali e politiche che si instaurano e da cui si dipanano le azioni. Non conta dunque se un’istituzione è inefficiente per il paradigma processuale, come al contrario conta per il modello dell’equilibrio della teoria economica, ma quanto sono riprodotte quelle relazioni, condizione di partenza su cui attecchiscono le azioni degli attori31.

In quest’ottica allora anche la burocrazia assume tutt’altro significato: non viene vista come un oggetto inerte, reificato in cui tutto è predefinito e cristallizzato al punto che non vi è alcuna incidenza, alcuna forma di influenza sulla struttura organizzativa, sugli attori, sull’ambiente ecc. Al contrario il fenomeno burocratico viene concepito come un processo “vivo”, che “attiva” significati (Weick, 2001), che costruisce se stesso e l’ambiente con il quale interagisce, attraverso selezioni, operazioni di messa in ordine e di ritenzione di significati (Bifulco, 1997). E’ un processo di costruzione intersoggettiva della realtà organizzativa.

Quello che ci interessa analizzare, soprattutto nella parte empirica, saranno quindi proprio la dimensione culturale e cognitiva del cambiamento insieme ai dispositivi organizzativi che da essa discendono e che vengono messi in atto come strumenti e processi che neutri non sono, e che anzi condizionano e “impressionano”, come la luce su una pellicola fotografica, gli esiti dell’azione amministrativa. In altre parole quella prospettiva che ci permette di studiare, indagare e concettualizzare le organizzazioni come costruzioni sociali, simbolicamente costruite e riprodotte attraverso le interazioni (Berger e Luckmann, 1969; Bifulco, 1997; de Leonardis, 2001). O detto altrimenti quella dimensione fluida, interattiva e in movimento che consente di portare a galla le

31 Secondo il “modello dell’equilibrio” la società è vista come un insieme di individui autonomi che

perseguono la propria utilità individualmente, stabilendo grazie a ciò un equilibrio e una stabilità sociale. Nel “modello della riproduzione” la società viene considerata, al contrario, come un insieme di relazioni, politiche, sociali, culturali che tengono insieme gli individui e che condizionano le scelte che vengono effettuate dagli attori. In questo senso gli attori non sarebbero orientati a massimizzare l’utilità, attraverso scelte più o meno convenienti, quanto piuttosto a garantire od ostacolare, la riproduzione di queste relazioni e dunque a ricreare le condizioni per la loro rigenerazione (Lanzalaco, 1995).

anomalie quotidiane superando l’immagine dell’organizzazione come ingranaggio meccanico, immobile dalle azioni prevedibili a cui il modello razionale ci aveva abituati.

Prima di giungere a tali approfondimenti, intendiamo di seguito affrontare (capitolo 2) il tema legato ai processi di espansione e di “dimagrimento” della pubblica amministrazione, che insieme alle spinte partecipative all’azione amministrativa, portano al fiorire di una pluralità di attori e interlocutori di riferimento che non attengono più soltanto alla sfera dello stato o del mercato, ma anche a quella della società civile. L’emergere di un ambiente più complesso e frammentato rispetto al passato, richiede, infatti, nuove modalità di coordinamento e regolazione sia della stessa organizzazione amministrativa, che più in generale dell’azione e delle politiche pubbliche. E’ il tema della

governance

, insieme a quello del nuovo ruolo degli enti locali, che affronteremo

per tracciare la cornice entro la quale si vanno sviluppando quei processi partecipativi di tipo inclusivo che coinvolgono, in nuovi rapporti, pubbliche amministrazioni e popolazioni. L’obiettivo rimane sempre quello di verificare se e come, in che modalità e termini, l’innovazione amministrativa possa passare attraverso tali processi partecipativi ovvero attraverso nuove modalità di rapporto tra amministrazione pubblica e pluralità degli attori in campo che tentano di trovare nuove strade per coordinarsi, organizzarsi e arrivare a matrici comuni di significati. Per fare questo, come detto, ci concentreremo sull’analisi dei processi nei quali attori e strutture prendono forma.

Capitolo 2

Crisi della pubblica amministrazione e modelli post-

burocratici di governance

2.1. Introduzione

Il tema centrale che verrà sviluppato in questo capitolo è quello del cambiamento della pubblica amministrazione a partire dall’analisi delle trasformazioni sul terreno della

governance

. A fronte di una crescente importanza della dimensione locale, come luogo di cittadinanza, identità e soggettività, il modello tradizionale della pubblica amministrazione, basato sulla centralizzazione istituzionale e su relazioni di tipo gerarchico, non pare più sufficiente ad affrontare i problemi legati alla complessità e alla frammentazione della società. Al modello gerarchico tradizionale, in cui un unico soggetto interveniva nella formulazione e implementazione delle politiche - l’istituzione pubblica responsabile delle decisioni - si sostituisce un modello a rete basato sulla cooperazione tra i molteplici soggetti, pubblici e privati, attori statuali e non statuali che si affacciano sulla scena.

A partire dagli anni ’80 emerge un nuovo modo di fare governo e si afferma una diversa concezione della pubblica amministrazione, che stenta tuttavia nella pratica concreta ad essere attuata senza problematiche e rischi anche importanti, dove i modelli di comportamento e le influenze del contesto istituzionale assumono rilevanza nel definire le stesse organizzazioni.

Diverse sono le forme e i modelli di

governance

che tentano di essere messi all’opera: da quelli più orientati al mercato a quelli di stampo comunitario che si fondano su un diverso tipo di autorità e rapporti, oltre che su una differente

concezione dell’azione pubblica. In questo capitolo, facendo riferimento anche all’Italia, analizzeremo i modelli del

new public management

adottati dalla pubblica amministrazione che hanno ripreso, in un processo di tipo isomorfico, i comportamenti e le strutturazioni organizzative tipiche del settore privato insieme ad altre forme organizzative ibride che si basano sull’intermediazione e sulle cosiddette politiche della fiducia.

Da ultimo verrà preso in considerazione il tema della

governance

e dei suoi effetti a livello di governo locale e a livello di politiche che questi ultimi sono chiamati a trattare e gestire.

2.2. La crisi del government e dei sistemi tradizionali di regolazione