In questo paragrafo ci soffermeremo sul concetto di
sfera pubblica
(Ku, 2000; Pellizzoni, 2005b; Bifulco, de Leonardis, 2005) considerato come base sulla quale poggiano le fondamenta dei disegni e dei progetti di tipo partecipativo che abbiamo analizzato nel dettaglio nei paragrafi precedenti.Interrogarsi e capire le condizioni per cui un semplice abitante di un territorio acquista un suo statuto “pubblico” ha costituito la chiave di volta che ha aiutato i ricercatori impegnati in una comunità, Chelsea negli Stati Uniti, a risollevare le sorti di una cittadina attraverso la costruzione di un percorso che
ha coinvolto gli abitanti, finalizzato all’elaborazione di un nuovo statuto della città102. Secondo la definizione di Mathews (1994, p.11) “
quando gli individui di
buona volontà si riuniscono per impegnarsi volontariamente nell’indagine e
valutazione delle opzioni possibili allo scopo di risolvere un problema comune
diventano ‘pubblico’
”. Il processo deliberativo avrebbe dunque per sua stessa natura la capacità di fare nascere, di fare emergere finalità pubbliche ampie e vincolanti che mutano il semplice interesse personale in ricerca del bene comune. Gli individui si trasformerebbero così da semplici privati, a pubblici cittadini, da persone a attori politici (Mathews, 1994).Detto in altre parole si tratta della questione della sfera pubblica che sta alla base del tema della partecipazione e dell’innovazione della pubblica amministrazione, ad esso strettamente intrecciato. Come abbiamo in precedenza sottolineato di fronte ad un indebolimento delle istituzioni e dell’influenza dello Stato (vedi capitolo 2) occorre indagare più in profondità il concetto di pubblico. Pubblico non si identifica, infatti, né con la nozione di politico, se per politico intendiamo un sottosistema funzionale e specializzato, né con la dimensione statuale
tout court
(de Leonardis, 1997). In definitiva quando accenniamo, oggi, al concetto di pubblico non possiamo fare riferimento alla tipologia del soggetto erogatore di beni e prestazioni e al suo statuto, dato che attori privati e pubblici possono essere allo stesso modo coinvolti in tale funzione. In realtà il carattere pubblico dell’azione amministrativa viene spesso dato per scontato anche laddove accade che il servizio pubblico si risolva, ancorché erogato da soggetti pubblici, in una relazione che riproduce i caratteri del privatismo (de Leonardis, 1997): infatti “Ciò che è pubblico non è dato,
bensì è una proprietà emergente, che prende forma da processi nei quali un
regime di azione diventa – se diventa – pubblico
” (Bifulco, de Leonardis, 2005,p. 196). Per comprendere ciò che è pubblico occorre passare, infatti, dall’analisi dei soggetti alle interazioni, ai regimi di azione (Boltanski, Thévenot, 1991) cercando di cogliere ciò che li contraddistingue e che ciò che essi generano.
102 Si rimanda per approfondimenti al testo “Chelsea Story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la
Considerato che non dipende dalla natura di chi eroga le prestazioni, chiariamo innanzitutto che cosa distingue pubblico da privato. Se la natura di pubblico si caratterizza per la visibilità, la comunicazione, assumendo perciò il significato di collettivo, sociale, comune, al contrario privato si contraddistingue per l’opacità delle relazioni, la segretezza, la chiusura, il particolarismo, il rimando a quanto attiene alla sfera personale.
In questa prospettiva sarà denotata come pubblica quell’azione amministrativa, quella produzione di servizi che tiene conto della relazione che si instaura tra cittadini e istituzioni pubbliche nelle diverse articolazioni (Stato, amministrazioni locali ecc.). Relazione che non abbia i caratteri della strumentalità, che non sia orientata all’efficienza
tout court
, al soddisfacimento della coerenza della domanda con l’offerta, all’orientamento al cliente. Una relazione che, al contrario, per essere ritenuta pubblica, contenga quei valori e fini sociali, collettivi che generano cittadinanza,civicness
, legame sociale, bene comune: che indicano, appunto come si diceva, il senso, il significato e la sostanza della dimensione pubblica a discapito di un’azione che si connota per venire considerata una questione del tutto privata, personale.Quello che va protetto, salvaguardato e tutelato, allora, sono proprio questi ambiti cruciali che attengono alla discussione pubblica, che rimandano a un orizzonte comune di significati, linguaggi, codici, definizioni di problemi e soluzioni, ma anche a fini e valori sociali. Discussione civica, aperta e partecipata sui temi che dovrebbe ingenerare comunicazione pubblica, corresponsabilità, cooperazione e cittadinanza (de Leonardis, 1997). Come afferma anche Cefaï (2002, pag. 54)103 pubblico indica una forma di vita collettiva che “
emerge attorno a un problema nel momento stesso in cui lo
costituisce. Degli attori individuali, organizzativi e istituzionali si impegnano in
uno sforzo collettivo di definizione e di trattamento della situazione percepita
come problematica. Essi esprimono, discutono e giudicano opinioni; individuano
problemi, lanciano segnali d’allerta o d’allarme; entrano in dispute, polemiche e
controversie; configurano giochi di conflitto, risolvono crisi e realizzano
compromessi. La cosa pubblica allora non è più monopolio dello Stato
”.In questa ottica, a seconda del tipo di architettura amministrativa e tecnica, si genereranno sia culture e pratiche pubbliche che di tipo privatistico. Queste ultime si svilupperanno laddove ciò che si riproduce attraverso l’erogazione di servizi, ad esempio, è una transazione fra soggetti privati, individui isolati, separati dai loro contesti sociali, che ricrea le condizioni perché si sviluppino blocchi comunicativi, relazioni gerarchiche tra individui che non operano sullo stesso piano104 e che spesso partono da condizioni contrattuali deboli (Bifulco, de Leonardis, 2005). E’ la situazione tipica della burocrazia che diventa fine a se stessa, uno strumento razionale che si autoriproduce perdendo di vista quei fini pubblici e collettivi per i quali era stata creata (Merton, 1949). Burocrazia con i suoi requisiti legati alla razionalità tecnica, che in Weber denotano appunto la sua superiorità, che disattiva, essa stessa, la dimensione pubblica, il suo carattere istituzionale, di servizio e di bene pubblico (de Leonardis, 1997). Il punto rilevante, come sottolinea MacIntyre (1992) è l’operazione che svolge la pubblica amministrazione quando confonde o declassa questioni di scelte, fini e valori a materie di tipo tecnico, risolvibili e trattabili come problemi esclusivamente pratici, quotidiani, di amministrazione “spicciola”. E’ il caso tipico, come abbiamo visto analizzando le criticità delle pratiche deliberative, di quando la questione partecipativa viene risolta, derubricata, considerata solamente come una questione tecnica, metodologica, di competenze, concentrandosi sugli aspetti di costruzione dell’architettura, del “marchingegno”, del dispositivo partecipativo e trascurando le questioni legate al contenuto, alla qualità e alla sostanza della partecipazione (Borghi, 2006).
Se il servizio pubblico allora genera o dovrebbe generare relazioni di tale natura, connotandosi per essere un sistema di interazioni che forgia, lavora e crea materiale intersoggettivo costituto da comunicazione, interscambio e legame sociale (Barbier, 1995), le pratiche partecipative di tipo inclusivo, anche
104 Si pensi soltanto al conflitto che Merton (1949) descrive tra il burocrate e il pubblico, all’orgoglio di
considerando le criticità e i rischi in cui possono incorrere, possono essere considerate dei modi attraverso i quali la pubblica amministrazione che li adotta, può contribuire a generare e moltiplicare discussione e relazioni pubbliche, senso civico su problemi e soluzioni di interesse collettivo, coinvolgendo i cittadini e più in generale gli attori sociali. Si delinea, dunque, una concezione della pubblica amministrazione, che abbiamo chiamato condivisa105 o partecipativa, che si distingue da quella di stampo aziendalistico, in cui scarsa, invece, è l’inclinazione a sviluppare relazioni con i cittadini se non improntate ai valori economici di mercato e cittadinanza. Un nuovo tipo di amministrazione dunque che, almeno nella sua versione idealtipica, potrebbe fondarsi e promuovere relazioni di tipo partecipativo, inclusivo nel rapporto con i cittadini e la società (Bobbio, 2004), che potrebbe cioè fungere da “acceleratore” di
pubblicness
, ovvero sostenere e portare avanti quell’idea di pubblico, di ricerca di senso, di responsabilità civica, di elaborazione collettiva dei significati su cui si alimentano l’apprendimento collettivo, lacivicness
e la vita pubblica. In sostanza la qualità della vita sociale di ogni cittadino.In questa ottica il ruolo dello Stato e della pubblica amministrazione rimane di fondamentale rilevanza: la terzietà dovrebbe essere garantita, permettendo quel binomio neutralità – responsabilità di cui parlava Weber, proprio da quella logica dell’intermediazione che sta alla base di tali processi deliberativi. Le cornici regolative stabilite dalla pubblica amministrazione permetterebbero lo sviluppo di forme di
governance
in grado di stimolare il potenziale organizzativo e autorganizzativo della società civile. Società civile che mette in comune interessi per la produzione di beni di tipo sociale, che parla il linguaggio dell’interesse generale, senza ripiegare su modalità comunitarie solidaristiche che non riconoscono il mercato, ma neanche il ruolo delle istituzioni e si fondano esclusivamente sulla propensione morale delle persone verso i singoli e non verso l’altro generalizzato, costruendo relazioni a partire dalle virtù proprie della sfera privata (de Leonardis, 1997; de Leonardis 1998; Bifulco, de Leonardis, 2005). In più le cornici e i dispositivi regolativi permetterebbero di
contrastare la conflittualità diffusa, che tende a trasformarsi in prove di forza dei diversi attori presenti tramutando i vocabolari, i linguaggi, le giustificazioni e le istanze da privati a pubblici, scongiurando così rischi di balcanizzazione (Fung Wrigh, 1999). Ridurrebbe, inoltre, l’incertezza (Pellizzoni, 2005a), stabilizzando la discussione attorno a interessi e beni riconosciuti come collettivi e comuni (Bifulco, 2005). Nelle arene pubbliche la terzietà, dunque, riveste un ruolo importante: le istituzioni e le cornici normative stabilite incidono con il loro peso sull’andamento dei processi, sulla loro regolazione e mediazione, purché naturalmente l’attenzione non si concentri esclusivamente sulle modalità di governo di tali pratiche. Il successo di molte esperienze, come noto, emerge, infatti, in funzione del ruolo giocato dalle pubbliche amministrazioni a livello territoriale. Molte ricerche condotte su esperienze di tipo partecipativo anche in paesi in cui il capitale sociale e la tradizione al dialogo sono pressoché assenti106 hanno rilevato come più che la presenza di un associazionismo diffuso e di pratiche di tipo cooperativo, ciò che appare influente è la natura del
disegno
istituzionale
. Un disegno che deve venire strutturato in modo da favorire la deliberazione. “La maledizione del deficit originario di capitale sociale non è del
tutto insuperabile
” (Bobbio, 2002b, p. 18) dunque e ciò su cui si fa affidamentoè il cosiddetto
deliberative
setting
che permette di strutturare adeguatamente, con le sue regole, i rapporti tra i partecipanti, di garantire trasparenza e inclusività accanto a funzioni di mediazione (Bobbio, 2002b). Anche sul terreno locale, tra le pratiche deliberative maggiormente innovative, troviamo quelle in cui la pubblica amministrazione ha svolto una funzione essenziale, in cui cioè ha messo alla prova le proprie abilità di costruire il proprio ruolo e le relazioni con gli attori coinvolti, di sostenere e promuovere le capacità partecipative dei diretti interessati, di negoziare e mediare i dissidi e i conflitti, di riformulare problemi e soluzioni e di apprendere dall’esperienza (Bricocoli, Cementeri, 2005). Anche nei contesti in cui le relazioni sia orizzontali (tra cittadini) che verticali (tra cittadini e istituzioni) risultassero logore e deteriorate, una cornice
106 Basti pensare all’esperienza di Bilancio partecipativo condotta in Brasile (Allegretti, 2001; della Porta,
regolativa e una pubblica amministrazione che siano in grado di garantire processi trasparenti, potranno sfidare e vincere la diffidenza della comunità locale (Bobbio, 2002c). Con questo naturalmente non si vuole sottovalutare l’incidenza sul buon esito di tali sperimentazioni del grado di vivacità sociale di un territorio, dello sviluppo di capitale sociale, della
civicness
, della capacità della società civile di attivarsi, di organizzarsi, di mobilitarsi di fronte a questioni di interesse pubblico (Bifulco, 2005). Viceversa sia a livello teorico107 che di ricerca empirica sembrerebbe emergere il peso delle pratiche deliberative sullo sviluppo di capitale sociale: partecipare a tali pratiche indurrebbe a una conseguente maggiore attività delle persone in campo civico (almeno nel breve periodo), apprendimento sociale, produzione culturale e nuove relazioni con gli attori (Bobbio, 2002c). I vincoli semmai, a questo tipo di sviluppo, come si accennava in precedenza, attengono al limitato coinvolgimento numerico delle persone e all’estemporaneità che spesso caratterizza le arene deliberative che non si istituzionalizzano.Affrontare i temi legati all’interesse pubblico e alle modalità che tengono attivo, aperto e vivo nel tempo questa attenzione (Donolo, 1997), anche nella pubblica amministrazione, appare oggi più che mai importante, nel momento in cui tanti soggetti si affollano sulla scena e si assiste a una metamorfosi dell’azione pubblica che decreta la fine del monopolio dell’autorità pubblico- statuale, almeno nelle forme a noi note, sul trattamento di beni e problemi collettivi. Di fronte, infatti, al depotenziamento della dimensione nazionale e al crescere dell’importanza del contesto locale che diventa spazio di cambiamenti nell’organizzazione politica della società (Bagnasco, 2003), sempre più caratterizzato da politiche, formule e modelli di orientamento deliberativo, si assiste paradossalmente anche all’emergere, nello spazio pubblico, di logiche e stili che si alimentano di privatismo108. Occorre dunque fare attenzione a tutto
107 Si tratta delle teorie contemporanee della democrazia deliberativa (Cohen, 1986; Fearon, 1998; Cooke,
2000).
108 Nina Eliasoph (2003) in una ricerca condotta su alcune associazioni americane sottolinea il paradosso
per cui più ci si trova in contesti pubblici, meno il discorso ricalca logiche di tipo pubblico e vi è l’incoraggiamento delle stesse associazioni a parlare come privati cittadini, a nome proprio, delle questioni
ciò che, anziché potenziare e sviluppare la dimensione pubblica, tende a eroderla: basti pensare ad alcune forme di
governance
in cui l’istituzione pubblica non acquista il suo ruolo intermediario, ma rimane uno dei soggetti tra gli altri, non esercitando cioè la sua capacità di mediazione, coordinamento e ricomposizione degli interessi sul campo, non comportandosi da istanza terza riconosciuta come tale. Uno dei rischi in cui può incappare lagovernance
si verifica proprio quando il treno delle istituzioni non viaggia su binari pubblici, laddove cioè si formano interessi collusivi di stampo politico-affaristico, o le scelte che emergono da arene pubbliche di tipo deliberativo vengono offuscate e rese opache da linguaggi esperti e da procedure amministrative di tipo tecnico (Bifulco, 2005).Perché le esperienze e le pratiche partecipative possano produrre l’accumularsi, nelle istituzioni pubbliche, così come nella società civile, di un patrimonio di conoscenze e competenze e di una cultura di stampo partecipativo, producendo quell’innovazione sperata sia al suo interno che nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, occorre che tali esperienze, al di là delle ambiguità, delle incertezze e delle instabilità che possono essere considerate fisiologiche, presentino determinati caratteristiche e parametri che tenteremo di analizzare nel prossimo paragrafo.