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I grandi cambiamenti determinati da fattori storici e strutturali che stanno avvenendo nella società contemporanea sul terreno della

governance

ci mettono oggi davanti a una questione tutta da approfondire: e cioè se si stia assistendo alla scomparsa della funzione pubblica dello Stato e alla perdita incontrastabile di peso della pubblica amministrazione e delle sue istituzioni, o piuttosto ad un processo – semmai difficile e impervio, ma anche ricco di opportunità - di riconversione del ruolo e delle funzioni pubbliche32. In altre parole se si sia di fronte al declino irrecuperabile dello Stato o più semplicemente a una sua trasformazione verso nuovi assetti (Pierre, 2000).

Terminato il monopolio della politica e dell’amministrazione degli Stati nazionali (Bobbio, 1996) il dibattito sui nuovi modelli di regolazione delle politiche pubbliche verte oggi sulla comprensione e sull’analisi di ciò che significa il passaggio da sistemi di

government

a sistemi di

governance.

Government

, che racchiude tutti gli elementi di una visione della burocrazia

32 Il dibattito su questo tema è più che mai aperto: non mancano infatti studiosi (Rhodes, 1996, Le Galés,

2002, Stoker, 1998, Kettl, 2000) che riflettono sulla perdita di centralità dello stato e sull’emergere di processi di autorganizzazione tra pubbliche agenzie e soggetti della società civile e sulla coesistenza di istituzioni e reti in una logica di tipo top down e processi bottom up. Alcuni invece (Kooiman, 2003, Cepiku 2005) insieme ad altri studiosi della pubblic governance dei paesi europei continentali, sono invece altamente scettici nei confronti di teorie che sovrastimano l’indebolimento dell’autorità statuale.

tradizionale e statica, considerato come insieme di istituzioni e come modello di governo gerarchico e centralizzato oggi profondamente in crisi, e

governance

33

che, al contrario del primo, si manifesta come elemento attivo (Benington, Geddes, 2001), come processo del governare e racchiude tutte le attività e le prassi reticolari che concorrono, con il contributo di una pluralità di attori a formulare e a mettere in campo politiche pubbliche (Bobbio, 2002a). La formula

from government to governance

” indicherebbe dunque il processo che

conduce all’indebolimento delle basi tradizionali del potere politico e della forza istituzionale dello Stato nazione (Pierre, 2000) oltre che al venire meno delle capacità di governo delle istituzioni pubbliche che hanno operato, soprattutto nel secolo passato, secondo una logica verticistica e in base a schemi rigidi e derive autoreferenziali (Girotti, 2007). A tale sopraggiunta inadeguatezza si aggiunge lo svuotamento dello Stato dovuto ad una sua ristrutturazione interna che perde sul terreno dell’accentramento di funzioni verso una maggiore articolazione e frammentazione delle funzioni di governo, sul terreno sopranazionale e a livello locale (Girotti, 2007).

Agli inizi del ‘900 la pubblica amministrazione, come abbiamo analizzato nel primo capitolo, appariva come una macchina perfetta. La burocrazia pubblica con la sua organizzazione razionale e “cristallina” ben incarnava insieme alla grande industria dalla gerarchia verticale e integrata, la razionalità occidentale. Un modello organizzativo fondato su regole semplici e precise che scandivano ogni comportamento e azione, erano gli elementi fondamentali per garantire la massima prevedibilità dell’azione rispetto all’ambiente (Weber, 1961). Nell’epoca della produzione di massa, della crescita e dello sviluppo industriale, il modello meccanico e razionale della pubblica amministrazione trovava una sua legittimità, una sua plausibilità e operatività: imprese e pubblica amministrazione potevano essere organizzate come macchine asettiche, incontrovertibili. Le stesse persone venivano considerate alla stregua di

33 Naturalmente il concetto di governance può racchiudere diversi significati che analizzeremo più avanti

meccanismi, ingranaggi che contribuivano al funzionamento del sistema, ubbidendo agli ordini imposti dall’alto (D’Albergo, 2002). Era l’epoca della democrazia di massa, della manodopera scarsamente qualificata degli Usa e del Regno Unito, che si affacciava al mondo delle imprese per la prima volta dopo la seconda rivoluzione industriale, spesso contadini provenienti dall’agricoltura e immigrati dei paesi europei più poveri. Tale modello, che nel tempo si è andato modificando e applicando anche in maniera distinta a seconda dei contesti e delle singole culture amministrative (Pollit, Bouckaert, 2002), non riesce ovviamente ad avere la stessa ragione d’essere in un’epoca come quella odierna postindustriale, in una fase del ciclo definito frammentario in cui la società si caratterizza per essere destrutturata, individualizzata e sempre più differenziata. Non senza qualche semplificazione possiamo allora dire che dal modello di pubblica amministrazione di ispirazione weberiana basato idealtipicamente su un agire razionale rispetto allo scopo, si passa oggi ad un nuovo modello di pubblica amministrazione fondato sulla “flessibilità amministrativa” che è il risultato dei cambiamenti in atto nel sistema economico, produttivo e sociale.

Il nuovo scenario è quello di una pubblica amministrazione che si espande e si dilata sia a livello orizzontale, creando nuovi servizi e nuovi settori di politiche pubbliche, che verticalmente attraverso le spinte verso la regionalizzazione dei poteri pubblici con la creazione o la maggiore responsabilità attribuita a centri di governo a livello locale, e la mondializzazione con la creazione di centri di governo a livello sovra-nazionale. Nasce così una galassia di apparati semi- autonomi che riscontra problemi di integrazione in considerazione della profonda differenziazione in termini di forme giuridiche, logiche d’azione e finalità. Un insieme di enti istituzionali e di politiche settoriali, connessi tra di loro in modo lasco (Bobbio, 1996).

A questo processo di espansione si unisce oggi il processo di snellimento, che interessa lo stesso mondo imprenditoriale postfordista, almeno nei paesi industrializzati, e che coinvolge la pubblica amministrazione che tende a “dimagrire” e a imitare i comportamenti tipici del privato e che in sintesi potremmo dire, diviene post-burocratica. Si comincia a parlare, infatti, di

managerializzazione delle organizzazioni amministrative e dell’azione pubblica (D’Albergo, 2002) in vista di processi di

contracting out

e di

outsourcing

relativi alla erogazione di beni e servizi34. Azioni di imitazione dell’impresa tradizionale che tra l’altro, mentre investono la pubblica amministrazione e la sua organizzazione, anziché renderla più efficiente, puntando sulla qualità, la flessibilità e la cooperazione, spesso ne rafforzano i meccanismi e le procedure burocratiche, le gerarchie e i processi decisionali

top-down

(Bifulco, 2002).

Naturalmente nell’analizzare questo passaggio le cautele non sono mai troppe. Come afferma infatti Battistelli (Battistelli, 2002) saremmo oggi in un momento di cambiamento delle retoriche: da quella vecchia del

government

, impostata su valori gerarchici e autoritativi a quella nuova della

governance

, fondata su valori della competitività, efficienza – efficacia – economicità e autogoverno (D’Albergo, 2002). Come se il nuovo management pubblico fosse implicitamente buono, mentre quello vecchio implicitamente cattivo (Pollit, Bouckaert, 2002). Il concetto di

governance

, oltre a essere tra i più abusati (Borghi, 2006) e ambigui e a racchiudere significati distinti, di per sé non contempla, infatti, una positività dell’azione (Le Galès, 2002) o esiti di successo della regolazione, ma al contrario questi ultimi vanno continuamente ricercati e perseguiti a seconda delle configurazione istituzionale entro cui la stessa

governance

trova spazio. Inoltre occorre fare attenzione per non ridurre il concetto di

governance

ad una tecnica manageriale, attenendosi strettamente al piano descrittivo per evitare derive ideologiche (Borghi, 2006).

Per capire, allora, i cambiamenti avvenuti e in corso nella pubblica amministrazione dal punto di vista dei modelli amministrativi e dei regimi di azione pubblica ci pare interessante partire proprio dall’analisi delle retoriche35 (vedi tab. 1) . Dietro i nuovi modelli di regolazione dell’azione pubblica risiedono, infatti, dimensioni cognitive e culturali, sistemi di credenze condivise, retoriche e “mitologie razionali” (March e Olsen, 1992) che stanno alla base di

34 Ma potremo qui citare altre tecniche e concetti introdotti dal mondo delle imprese e relativi alla

flessibilità organizzativa come la certificazione di qualità, il controllo di gestione, il just in time e la

customer satisfaction ecc. (D’Albergo, 2002).

35 Utilizziamo qui il concetto di retorica di Battistelli (2002) ovvero di retorica come comunicazione top-

prescrizioni normative, di processi interpretativi e di costruzione sociale. Retoriche che si declinano anche in saperi pratici e soluzioni strumentali dando vita a modelli competitivi e a volte anche incompatibili tra di loro, utilizzati spesso come teorie assolute, come

one best way

(Hood, 1998). Retoriche che si sono susseguite nel tempo sino ad oggi e che hanno apportato modificazioni a partire dal terreno dei linguaggi e dei codici comunicativi (Battistelli 2002).

Nel dopoguerra, erano gli anni della ricostruzione, il tema della riforma burocratica della pubblica amministrazione era la parola d’ordine trasmessa dalle classi politiche attraverso un linguaggio di tipo giuridico (Battistelli, 2002). Le riforme avvenivano attraverso l’adozione di nuove regolamentazioni e normative e proprio su queste basi legali razionali si fondava la legittimità di tale modello. Il parametro per valutare l’azione amministrativa era quello dell’appropriatezza giuridica, della conformità alla norma e attenersi pedissequamente alla regola diventava, appunto, l’obiettivo da perseguire. Malfunzionamenti, lentezze burocratiche, ritualismi ne erano i conseguenti corollari (vedi cap.1). Tale modello ben descritto dalla metafora della piramide la cui regolazione era di tipo burocratico –gerarchico, si fondava sull’autorità e sulla centralizzazione istituzionale. Se, però, rigidità e immobilismo sono stati riconosciuti e criticati come caratteristiche negative del modello, altrettanto risalto non è mai stato dato a qualità, al contrario positive, come la continuità, l’imparzialità, la neutralità, l’onestà e un’elevata attenzione all’equità dei rapporti con i cittadini (Pollit, Bouckaert, 2002; Girotti, 2007).

Per tutti gli anni ’60 e ’70 si è assistito, invece, a una retorica che esaltava tutto ciò che era intervento pubblico e pianificazione: la superiorità dell’impresa pubblica orientata a finalità sociali rappresentava, infatti, un indiscusso luogo comune (Fedele, 1998). Il linguaggio utilizzato era in questo caso di natura economica mentre il rinnovamento della pubblica amministrazione trovava la sua retorica nei discorsi connessi alla programmazione statale. Il modello era quello di un’amministrazione pianificata, un’amministrazione che forniva servizi e prestazioni pubbliche, attraverso la nazionalizzazione di industrie un tempo private (si pensi all’elettricità, alle ferrovie ecc.), rilanciando l’idea dell’impresa

pubblica attraverso la costituzione dell’Iri36. Un modello che già, dando ampiamente fondo a tutte le risorse disponibili, conteneva in sé i prodromi per l’emergere del successivo modello aziendale di pubblica amministrazione. In questo modello spicca l’attenzione anzi l’apologia verso ciò che è pubblico: durante i gloriosi anni trenta lo Stato mantiene, cioè, ancora saldi le redini del comando e del controllo.

Tab. 1 - modelli amministrativi37

amministrazion e burocratica amministrazio ne pianificata amministrazio ne aziendale amministrazio ne condivisa, intermediaria retorica riforma della pubblica amministrazione programmazion e, pianificazione statale managerializzazi one partecipazione linguaggio

della retorica giuridico

economico; tecnico manageriale, - organizzativistico socio-culturale principio di legittimazione dell’azione pubblica autorità professionalità/

tecnicismo negoziazione deliberazione

metafore piramide impresa

pubblica impresa rete

parametro di valutazione dell'azione amministrativa conformità alle regole, appropriatezza giuridica prestazione/risu ltato in base ai programmi efficienza, rapporto costi/benefici inclusività forma delle relazioni duale (pa - cittadini) duale triangolare (pa, fornitore, cittadino) reticolare (pa, fornitore, cittadino, soggetti privati e pubblici) forma delle responsabilità amministrativa diretta diretta, stato interventista, imprese di stato indiretta processuale

destinatario utente utente

consumatore, cliente comunità, cittadino anni di riferimento  ‘50 ‘60 – ‘80 ’80 – ‘90 ’90 – 2000 

Note: *nostra elaborazione da Bifulco, Vitale (2005) e Battistelli (2002)

36 Si parlò di processo di “irizzazione” che coinvolse numerosi settori industriali a partire dalle

telecomunicazioni fino ad arrivare all’agroalimentare (Fedele, 1998).

37 I modelli amministrativi illustrati in questa tabella non vogliono descrivere semplicemente un percorso evolutivo e lineare degli assetti e delle trasformazioni che la p.a. ha assunto negli anni. Non si tratta dunque del passaggio che va dal modello burocratico a quello partecipativo: le configurazione della p.a. riflettono, infatti, specificità del contesto di appartenenza determinate da culture, pratiche e configurazioni organizzative interne e dal quadro politico, dalle risorse e dai vincoli di carattere ambientale.

A partire, invece, dagli anni ’80, con l’affermarsi di politiche conservatrici neoliberiste38 in Gran Bretagna e Stati Uniti incomincia la crisi del pubblico che appare superato e messo da parte a favore di tutto ciò che, al contrario, è iniziativa privata. Gli effetti concreti di queste politiche non tardano a sentirsi neanche in Europa portando a un contenimento della spesa pubblica, a un ridimensionamento del

welfare

a favore di una spinta alla privatizzazione delle attività produttive pubbliche e alla liberalizzazione dei monopoli (Battistelli, 2002). Questo mutamento di attenzione viene spiegato non soltanto in base alle misure economiche adottate come risposta alla situazione critica del momento, ma anche a partire da una diversa concezione dell’individuo e delle sue aspirazioni orientate al raggiungimento di un grado più elevato di autonomia (Inglehart, 1998). Nell’ambito della pubblica amministrazione questa spinta verso tutto ciò che è privato, trova il suo corrispettivo nella managerializzazione, ovvero nell’imitazione all’interno del settore pubblico di criteri e principi di tipo aziendalistico e non solo in quei settori che producono direttamente servizi ai cittadini come la sanità e il sociale, ma anche in ambiti come la giustizia, il fisco, la sicurezza ecc. (Battistelli, 2002).

Si parla di amministrazione azienda (Bifulco, Vitale, 2005) in cui prevale il linguaggio organizzativistico, manageriale. La forma delle relazioni non è più duale o prevalentemente duale, ma si inserisce la figura del fornitore che cambia radicalmente il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. Dalla cultura della legalità e della programmazione si passa così a quella del risultato, che aumenta le funzioni di controllo della pubblica amministrazione a scapito dell’erogazione dei servizi e dell’autonomia, riducendo il cittadino a cliente e consumatore ed esaltando allo stesso tempo l’attenzione della p.a. nei suoi confronti come punto di riferimento da tenere in considerazione. Ma, ricordiamolo, un cittadino solo con capacità di

exit

e non di

voice

e cioè autorizzato a cambiare semmai chi fornisce il servizio, ma non a concorrere alla definizione della prestazione e alle scelte ad essa connesse (Bifulco, Vitale, 2005).

Attualmente il modello che le retoriche propongono è quello di un’amministrazione condivisa o partecipata ovvero uno stile di

policy

che favorisca le reti orizzontali, le

partnership

. Uno stile deliberativo che spinga, al di là dei cittadini e degli

shareholders

verso l’inclusività, di una serie di portatori di interessi specifici e diffusi (Pellizzoni, 2006).

Si sviluppano infatti differenti formule operative e procedimenti amministrativi orientati alla

partnership

, alla negoziazione e alla mediazione tra soggetti pubblici e privati che hanno come destinatari i cittadini, intesi non come singoli ma come comunità. L’obiettivo diventa quello della risoluzione dei problemi più che un’ottica orientata al controllo delle istanze dei gruppi di riferimento (Bifulco, de Leonardis, 2002). La razionalità su cui si basano questi mutamenti è di tipo processuale ed insiste sulla trasversalità, sul dialogo e sulla connessione orizzontale per portare avanti progetti specifici su materie definite, altrimenti scarsamente integrate e disarticolate. Sul piano della retorica diventano cruciali i discorsi legati alle funzioni promozionali della pubblica amministrazione, le richieste di partecipazione da parte dei cittadini e la spinta all’auto-governo della società civile.

Nessuno dei modelli è stato realizzato in modo puro tuttavia nei documenti relativi alle riforme della pubblica amministrazione e nelle strutture organizzative pubbliche di ogni paese si possono intuire le diverse connotazioni. Tali modelli giocano un ruolo importante nel creare la dimensione retorica della riforma, anche se un conto è ciò che viene professato e un conto è la sua realizzazione pratica, il compromesso. Anche coloro che sostengono una particolare visione culturale devono confrontarsi con le forze della tradizione, dell’inerzia e dell’opposizione più dura. Le dichiarazioni, le decisioni e le azioni infatti spesso divergono (Peters, 1996).

Per fare innovazione, infatti, come ci ricorda Battistelli, occorre che la retorica con il suo carattere gerarchico di relazione/trasmissione dall’alto verso il basso si incontri, dialoghi, scambi idee con la persuasione che è il discorso

che proviene dal basso con le sue caratteristiche di soggettività incontrollata39. Che il cambiamento, cioè, non sia solamente dettato dall’esterno e dall’alto, ma riconosciuto e condiviso anche dalla base organizzativa40. Se infatti il cambiamento normativo è programmabile, relativamente tempestivo e conduce all’approvazione di norme con le conseguenze che la prescrittività comporta (soprattutto inizialmente), il cambiamento socio-culturale è un processo di lunga durata che richiede pratiche locali elaborate per rispondere ad un mutamento venuto dall’ambiente o dall’interno dell’amministrazione. L’innovazione culturale è come un’interpretazione locale di un messaggio ispirato dal centro o da un altro ambito locale e dunque si configura come processo di “assaggio, verifica, reinterpretazione e correzione, apprendimento” (Battistelli, 2002 p. 35) e soltanto alla fine di questo complesso processo si può parlare di acquisizione da parte dell’amministrazione. La retorica del mutamento, infatti, per la sua natura gerarchica di relazione sociale che si muove lungo la direttrice alto/basso pur potendo essere sistematica e coerente nel trattamento delle questioni, tuttavia nasce “estranea” e difficilmente interiorizzabile da parte dei soggetti organizzativi. E’ per tali motivi che parlare oggi di partecipazione (sono ormai tanti i dispositivi che vengono messi in opera e che coinvolgono un universo molteplice di soggetti…si pensi a tavoli, consorzi, authorities, agenzie miste privato pubblico che sono nati in Italia o ancora ad accordi, patti, carte, convenzioni ecc.) (Bifulco, de Leonardis 2002) di per sé, pur esprimendo sicuramente una nuova concezione dell’azione amministrativa e dei rapporti tra questa e i cittadini, non significa molto e soprattutto non è necessariamente indice di innovazione e mutamento della pubblica amministrazione

tout court

. Occorre, infatti, andare a verificare nelle pratiche e nelle culture le condizioni e la natura di questi percorsi, la cornice istituzionale in cui la partecipazione e l’inclusività vengono attuate e

39 Narcisismo, caoticità, opportunismo (Battistelli, 2002).

40 Anche Weber nella sua teoria sulla burocrazia riconosceva che le regole se vengono imposte non sono

altrettanto efficaci di quelle che vengono accettate. Gouldner partendo da questo presupposto individua tre modelli di burocrazia: apparente, quando le regole imposte non sono riconosciute né dalla direzione né dai dipendenti; coercitiva quando le regole sono imposte unilateralmente; rappresentativa quando le norme vengono accettate sia dalla direzione che dai dipendenti e quindi quando si è in grado di disporre della legittimazione e della coesione sufficienti a garantire vera innovazione.

naturalmente il ruolo della pubblica amministrazione e il cambiamento che questi processi innescano.