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Sebbene i neoistituzionalisti non si siano occupati principalmente di pubblica amministrazione, la prospettiva che abbiamo scelto di adottare in questo lavoro di analisi è proprio quella neoistituzionalista, facendo riferimento in particolare a due elementi:

1) quella dimensione cognitiva e simbolica dell’organizzare che mette in rilievo le opacità, il dato per scontato, gli elementi simbolici e culturali dei rapporti che coinvolgono attori e struttura27;

2) i dispositivi di coordinamento e i processi organizzativi che ne derivano e che dipendono strettamente dalla stessa componente cognitiva e simbolica.

Le nuove teorie organizzative pongono attenzione alla dimensione istituzionale delle organizzazioni e della pubblica amministrazione opponendosi ad una visione razional-strumentale delle stesse. La pubblica amministrazione oltre che un’organizzazione è, infatti, in prima istanza un’istituzione e dunque occorre riscoprirla (March, Olsen, 1992) approfondendo il discorso legato alle componenti istituzionali, ai caratteri costitutivi in relazione al tema del cambiamento, della persistenza e della dimensione pubblica (de Leonardis, 1997b).

L’inerzia, l’incapacità di cambiare nonostante l’inefficienza, la tendenza all’isomorfismo soprattutto rispetto alla sfera economica del privato, l’inadeguatezza dell’azione amministrativa rispetto ai fini istituzionali sono tutti temi analizzati da studi di tipo istituzionalista che hanno messo in evidenza le difficoltà di innovazione e il perseguimento di percorsi di azione differenti di fronte alla cristallizzazione di significati e di modelli di comportamento, che

27 E dunque i frames cognitivi, i processi di categorizzazione, le grammatiche e i vocabolari incorporati

rende ovvie, scontate e naturali pratiche e culture organizzative (Douglas, 1990).

In questo senso anche la tradizionale stasi della pubblica amministrazione per l’occhio istituzionalista non é più qualcosa di naturale e scontato. Per cogliere dinamiche interne e caratteristiche occorre studiare il lavoro quotidiano di riproduzione di quelle condizioni inerziali. Non sono dunque le strutture, gli apparati a interessarci. La pubblica amministrazione, come istituzione, è fatta di interazioni sociali che generano significati condivisi attraverso l’insieme di pratiche, culture e costrutti simbolici di cui appunto si compone. Da un lato acquistano perciò preponderanza i processi tramite i quali tali interazioni si formano e dall’altro anche i dispositivi, che altro non sono che la messa in campo di supporti per il coordinamento e l’azione congiunta degli attori; forme organizzative che influenzano e “plasmano” i contenuti e gli esiti successivi delle azioni, delle pratiche che gli attori metteranno in atto. Tali meccanismi si connotano per avere sia un carattere di riproduzione delle interazioni tra i soggetti, rendendole in tal modo prevedibili (si pensi alle norme legali, alle regolazioni, agli standard ecc.), sia di produzione di innovazione attraverso la costituzione di dispositivi del tutto nuovi (o la trasformazione di quelli esistenti). I dispositivi, inoltre, non sono neutrali ma acquistano rilevanza per la normatività che essi stessi incorporano, condizionando le relazioni sociali tra gli individui che non dipendono soltanto dalla loro qualità, o dalla possibilità di capirsi, ma appunto dalla stessa materialità di questi strumenti (Vitale T., 2002- 2003)28. Tali dispositivi, incorporando e riproducendo la cornice cognitiva dominante, in sostanza creerebbero una realtà loro, in cui il significato dei comportamenti muta29. Ci si imbatte, cioè, nelle dinamiche tipiche di una profezia che si autoavvera, dove le definizioni - vere o false che siano -

28 Il riferimento va qui a Foucault che poneva l’accento sul sottile potere di controllo che ogni società

esercita attraverso i dispositivi di produzione del discorso. Anche Rosenhan (1988) attraverso i suoi esperimenti condotti in alcuni ospedali psichiatrici americani arriva adaffermare che in tali ospedali non si distinguono i sani dai malati di mente perché è il sistema stesso a creare una propria realtà che porta a deformare il significato dei comportamento.

29 Come direbbe Weick è la matrice (leggi cornice cognitiva) che guida i processi organizzativi che attivano

producono una realtà che si modella loro addosso, diventando cioè vere nelle loro conseguenze (Bifulco, 2002 p.58).

Il punto di vista diventa allora quello dell’azione intersoggettiva che possiede proprietà generative attraverso le quali avviene appunto questo processo di cristallizzazione delle esperienze materiali e simboliche, una sorta di patrimonio collettivo delle organizzazioni accumulatosi nel tempo. Tale patrimonio, se concepito come unica alternativa possibile di comportamento, e quindi adottato in maniera ripetitiva e non riflessiva, si trasforma ben presto in zavorra e ottusità anziché in ricchezza e risorsa per l’azione, in sapere accumulato consultabile (de Leonardis in Bifulco, de Leonardis 1997). Solo una rielaborazione intersoggettiva di nuovi significati, che per essere individuata richiede un’analisi concreta dell’organizzazione, permetterà di uscire dall’opacità e dall’ovvio. Una ridefinizione allora dei problemi e delle soluzioni insieme a un nuovo modo di concepire i modi di vedere, di apprendere in modo generativo, di riformulare sistemi di significati condivisi che orientano l’azione organizzativa, potranno condurre ad un cambiamento reale. Cambiamento sia del contesto della pubblica amministrazione che degli stessi schemi cognitivi e culturali utilizzati dagli attori (Bifulco, 1997).

Come abbiamo approfondito allora analizzando le teorie organizzative che si sono sviluppate sulla questione burocratica, si è passati dall’analisi dei criteri di efficienza della pubblica amministrazione come istituzione pubblica, allo studio del potenziale riflessivo ovvero della capacità di autorigenerarsi attraverso un recupero di ciò che si era cristallizzato, del senso e del significato dei propri fini, dei valori e delle scelte, indagando sul lasco, sulle opacità e sulle incongruenze della amministrazione.

Si afferma quindi una nuova prospettiva in cui cambiamento può significare apprendimento ovvero comunicazione e riformulazione intersoggettiva dei significati delle scelte e delle azioni. Quando tutto viene rimesso in discussione tramite un coinvolgimento degli attori (sia interni che esterni) nella tematizzazione e riformulazione dei presupposti impliciti e delle questioni di

senso dei modi di agire, allora si parla di apprendimento delle istituzioni ovvero della capacità di apprendere ad apprendere.

Da questo punto di vista, proprio perché vogliamo trattare il tema del cambiamento nella pubblica amministrazione, acquisisce importanza la dimensione pubblica30 dell’azione amministrativa che ci appare indispensabile per attuare un recupero del senso e della cultura pubblica, attraverso una lettura collettiva dei problemi, e del rapporto tra amministrazione e cittadini che diventa costitutivo del processo dell’amministrare. Sarebbero proprio le tensioni, i conflitti, la dialettica scaturita dal rapporto con questi ultimi, infatti, che induce ripensamenti, approfondimenti e riflessioni, da parte degli attori dell’amministrazione, sul modo di gestire la cosa pubblica, che è patrimonio di tutti e che non dovrebbe prevedere risposte personalistiche, paternalistiche e private a problemi che privati non sono, ma che si connotano come comuni e dunque pubblici (Donolo, 1997; de Leonardis, 1997). Naturalmente il ruolo della pubblica amministrazione oggi è spesso messo in crisi sia dall’interno che da attori esterni che ne sottolineano la sua incapacità di costruire e riprodurre quei valori e quei modelli che la dovrebbero, al contrario, sostenere. Mi riferisco qui al senso civico, al legame sociale, alla partecipazione dei cittadini al discorso pubblico, al trattamento pubblico e alla soluzione dei problemi collettivi. Tutti temi che ci proponiamo di affrontare e di analizzare nella parte empirica della tesi.