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Lo Stato-nazione, come abbiamo visto, almeno nelle configurazioni tipiche della modernità industriale ha definitivamente perso la sua capacità di strutturare e dominare i flussi, i gruppi, di organizzare le istituzioni, di imporre la sua cultura (Le Galès, 2006) e grazie alla mondializzazione della economia,

ma anche dell’informazione e della cultura, ciò ha prodotto effetti anche in campo istituzionale. Sono nati nuovi centri di governo sia sul piano mondiale o continentale, che nazionale e locale e cresce la rilevanza dei governi sub- nazionali quali le regioni, i comuni e soprattutto le grandi città (Bobbio, 1996). Il paradosso che emerge è che lo Stato mentre sembra da un lato troppo grande per dare le giuste risposte ai problemi e alle richieste contingenti emergenti sul piano locale, dall’altro risulta troppo piccolo e con poca forza per poter pesare sugli scenari globalizzati e per controllare gli attori economici sovranazionali (Davico, 2006). In questo scenario si apre spazio per un rinnovamento radicale del ruolo dei governi locali e delle città stesse che vengono a trovarsi al centro di una doppia tensione dialettica: da una parte la dimensione globale e quella locale, dall’altra le spinte alla cooperazione e alla competizione. Gli amministratori locali si trovano oggi a gestire una serie di problematiche che il decentramento e la tendenza verso la differenziazione delle politiche pubbliche ha riversato sui territori, spesso con poche risorse, pressati dai cittadini e dagli interessi organizzati che hanno aspettative sempre più elevate. E d’altra parte non bisogna dimenticare che i destini delle città spesso vengono giocati a livello sovralocale in genere sovranazionale, ma anche continentale e comunque in un’ottica sempre più globale57. Tra attori del territorio e governi locali nasce la possibilità di elaborare forme di

governance

particolari e di organizzarsi anche come soggetti della

governance

europea poiché le città diventano poli di aggregazione e di rappresentazione privilegiati di interessi, gruppi, associazioni, organizzazioni, abitanti58. Se da un lato si aprono questi scenari dall’altro appare evidente che questi processi di aggregazione, relazione, scelta, conflitto, rappresentanza ecc. creano situazioni frammentate che richiedono capacità politiche degli amministratori e del governo locale della città che sono chiamati ad affrontare anche temi scottanti che una volta erano regolamentati a livello centrale: basti pensare solamente alle questioni legate allo sviluppo economico, alla povertà, all’inquinamento, alla

57 Si pensi ad esempio alle conseguenze sul territorio della perdita di un polo produttivo, di una sede

istituzionale o di un evento a carattere nazionale ecc.

sicurezza ecc… E d’altra parte le città vengono considerate anche società locali incomplete proprio per sottolineare il legame delle strategie dei gruppi e degli attori locali alle trasformazioni più ampie del contesto (Le Galès, 2006).

Se è vero che i governi locali risultano essere caratterizzati dalla dimensione più ridotta e da limiti finanziari e funzionali imposti dai governi centrali, allo stesso tempo però risultano essere strategici per almeno cinque motivi (Bobbio, 2002). Il primo riguarda la democrazia: i governi locali sembrano essere ancora il baluardo di tali principi, caratterizzandosi sicuramente per un più stretto rapporto con i cittadini. Mentre nelle grandi città americane e della Gran Bretagna a partire dagli anni ’80 si va assistendo ai primi segnali di un distacco tra governo e comunità e di un indebolimento dei principi democratici (crescita dell’astensionismo, declino della legittimità dei rappresentanti politici dei cittadini, aspettative e richieste sempre più eterogenee da parte dei gruppi e dei cittadini ecc.) l’Europa sembra per ora resistere: la partecipazione sebbene in calo rimane tuttavia elevata (Le Galès, 2006). Anche in Italia, però, è il livello nazionale che viene riconosciuto dai cittadini come il vero spazio di confronto con un suo peso politico determinante: è qui, infatti, che si mettono in discussione le scelte più importanti della vita nazionale al di là della concretezza dei temi che vengono trattati a livello locale. A fronte anche di questa consapevolezza le città si attivano comunque per stimolare il dibattito legato a temi locali e per far rivivere la democrazia promuovendo meccanismi e procedure di partecipazione diretta dei cittadini: nonostante la crisi politica degli anni ’90, infatti, anche in Italia, come già ricordavamo, diverse sono le iniziative di conferenze cittadine, di referendum di iniziativa popolare, di tavoli e consulte di partecipazione ecc. (Le Galès, 2006; Bobbio, 2002; Bobbio, 2004). Iniziative queste ultime di mobilitazione della cittadinanza che nascono (anche se a volte non esclusivamente) per cercare legittimazione e consenso: è il caso di interventi di riqualificazione urbanistica, di elaborazione di piani regolatori, di programmi nati nell’ambito di Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile ecc. (Bobbio, 2004).

Le forme di partecipazione possono comunque essere molto diverse tra loro: vi sono quelle che richiedono un parere di tipo consultivo a cittadini, associazioni e organizzazioni, quelle che invece chiedono ai soggetti di entrare nel merito dei progetti presentati, negoziando con l’amministrazione fino a formulare interamente proposte concrete e quelle che coinvolgono i cittadini per valutare e discutere una politica pubblica (Bobbio, 2002).

Altri motivi che mettono in rilievo l’importanza del governo locale sono la produzione di servizi ai cittadini, la ricerca di innovazione che viene incentivata proprio per la stessa prossimità con i cittadini e il fatto che la dimensione locale sia ritenuta prioritaria perché si intreccia con altri livelli di governo soprattutto nell’ambito delle politiche pubbliche. Infine si mette in luce la rilevanza del locale anche a livello sovranazionale a discapito del nazionale, dovuta al decentramento e alla globalizzazione. Decentramento che non sta avvenendo però solo nei confronti della dimensione micro, ma anche verso la società stessa attraverso un ritiro dello Stato, soprattutto per certe politiche pubbliche, che lasciano il posto a meccanismi di mercato, ai privati o al terzo settore (Bennet, 1990).

Per entrare nel merito e comprendere meglio ciò di cui stiamo discutendo vogliamo fare qui riferimento alle quattro diverse tipologie di governo locale che Bobbio (2002) distingue: si va dal governo di istituzioni territoriali, generaliste e autonome quali i Comuni, a quello di secondo grado che comprende istituzioni generaliste non elette direttamente dai cittadini, ma da altre istituzioni come le Comunità montane, le Unioni di Comuni, ad esempio; alle agenzie locali specializzate su uno stesso ambito di intervento che possono assumere diverse configurazioni giuridiche ed essere elettive o meno come, ad esempio, le Aziende Sanitarie Locali e infine gli apparati locali dipendenti dal centro come, ad esempio, le Prefetture.

Nonostante sussistano differenze nei vari paesi, legati alla tradizione storica e alle strutture economico-sociali di ciascun contesto, tuttavia nell’ultimo decennio tali divergenze si sono molto attenuate. Le tendenze comuni dei sistemi di governo municipalizzato vanno, infatti, verso una direzione

personalistica, efficientistica e antipolitica (Mastropaolo, 2000): basti pensare alla predominanza dell’esecutivo sul consiglio, alla personalizzazione dell’esecutivo che è avvenuta attraverso l’elezione diretta del sindaco59, che perde le sue connotazioni più strettamente politiche e diventa una figura più manageriale, la dimensione a-politica e manageriale dove proliferano figure professionali a cui vengono affidati compiti esecutivi.

Prevale dunque una tendenza al tecnicismo che assomiglia un po’ a quello che era avvenuto negli Stati Uniti mezzo secolo fa.

Allo stesso tempo, però, non bisogna sottovalutare le pressioni che spingono verso la frammentazione e il gioco di ricomposizione tra Stato, mercato e società civile che conducono per reazione a un ritorno alla politica: quella politica che si fa portatrice di istanze di integrazione sociale e di rappresentazione da parte dei rappresentanti politici, dei leader, dei sindaci, con la finalità di ricomporre il quadro, di trovare linguaggi comuni e condivisi, valori, strutture di interazione, di istituzionalizzare l’azione collettiva, di rendere visibile la responsabilità (Le Galès, 2006).

Da una parte dunque manager che si misurano sul fronte interno della pubblica amministrazione, per rammodernarla, renderla più snella ed efficiente, basti pensare ai “nuovi” sindaci italiani delle grandi città, eletti negli anni ’90, che si sono trovati a gestire città e problemi, avendo alle spalle macchine burocratiche lente, rigide e mastodontiche e che quindi, prima di tutto, hanno cercato di avviare processi di riforma della stessa amministrazione (Le Galès, 2006). E dall’altra sindaci e assessori come figure politiche che mediano tra le istanze, che promuovono e cercano di mettere in moto processi di attivazione della società e dei cittadini.

Anche le politiche a livello locale stanno subendo diversi mutamenti. Cambiano le priorità perché diventano centrali rispetto al passato politiche orientate allo sviluppo locale anziché solo al sociale e al territorio

tout court

; si modificano le modalità di gestione dei servizi, si passa infatti dall’attività di “

rowing

” a quella di “

steering

” affidando a terzi servizi con lo scopo di snellire e

flessibilizzare; e infine muta il rapporto con i cittadini che da destinatari passivi diventano soggetti presenti, spesso partecipi soprattutto su alcune scelte (Bobbio, 2002). Rispetto alle politiche pubbliche i tre assi portanti che comunque si muovono a livello locale sono proprio quelli citati relativi allo sviluppo economico, al

welfare

e al territorio (Brugué, Gomà, 1998). Trovano, infatti, ampio spazio, dopo l’esaurimento del modello di stato sociale

keynesiano,

la riduzione degli stanziamenti statali e la crescente competitività tra le città, in uno scenario globalizzato, tutte quelle politiche legate alla promozione e alla crescita del territorio. Le città diventano protagoniste, cercando di sfruttare anche le relazioni e le risorse di possibili partner locali per migliorare il loro posizionamento e il vantaggio competitivo. E’ il successo di strategie di

marketing

territoriale, della pianificazione strategica, delle diverse carte che sanciscono patti per lo sviluppo sostenibile tra città a livello europeo, della promozione dell’immagine delle città che cercano così di attrarre talenti e capitali. Si moltiplicano le strategie per migliorare l’attrattività verso l’esterno, per renderle appetibili, interessanti e il discorso vale non soltanto per le grandi città di interesse storico o artistico, ma anche per i centri più piccoli e fino a qualche tempo fa non erano valorizzati da questo punto di vista60. E molto spesso dalla città intesa come comunità si diffonde l’idea di una città azienda (Bobbio, 2002) da commercializzare e da promuovere. Il linguaggio economico e aziendalistico incombe facendo prevalere un modello di sviluppo che punta forse più sul coinvolgimento dell’esterno che sui cittadini stessi e la loro crescita. Di fronte a questa tendenza da una parte il rischio è quello di alimentare ancora di più fratture, divisioni e disuguaglianze tra diversi livelli di cittadinanza, dall’altro l’attenzione alla valorizzazione delle città e dei loro patrimoni, se fatta con certi criteri che sono quelli del coinvolgimento, della condivisione, della partecipazione, del rispetto della città e dei suoi abitanti, in una logica di apprendimento e riflessione, sono sicuramente elementi interessanti.

Queste tendenze che portano a esaltare strumenti, strategie e visioni di tipo economico sono da ricondurre alla diffusione, un po’ ovunque, del

new public

management

che come abbiamo visto, ha attecchito anche in Italia, un paese in

cui la struttura risulta intrisa e fondata su precetti pubblicistici del diritto amministrativo. Si tratta della nuova concezione antiburocratica del modello di governo locale che ritiene che la pubblica amministrazione debba “timonare” anziché “remare” (Osborne, Gabler, 1992) ovvero fissare le regole e gli obiettivi principali e delegare la funzione di produzione dei servizi. E’ infatti a livello locale che queste spinte post burocratiche trovano terreno fertile per essere sperimentate anche con il rischio di incorrere in un’ulteriore frammentazione dei servizi e del tessuto sociale delle città stesse, con relativa perdita o indebolimento della portata egualitaria e universalistica verso il rafforzamento di una visione e gestione basata sul privatismo (de Leonardis, 1998).

Nonostante queste tendenze e i rischi connessi è indubbio rilevare l’accresciuto ruolo dei governi locali che vedono aumentati i loro poteri, la loro autonomia e le loro responsabilità nei confronti della comunità in un panorama generale, però, che si diversifica e si fa più complesso. Da una prima fase di sperimentazione di pratiche partecipative, che si erano sviluppate soprattutto negli Stati Uniti dove la tradizione democratica diretta é molto forte insieme al diffuso capitale sociale territoriale, e poi successivamente nell’Europa settentrionale e in quella meridionale, si sta passando ad una fase in cui tali processi si stanno lentamente ma inesorabilmente istituzionalizzando, diventando più sistematici, più strutturati e meglio organizzati 61.

Lo sviluppo di tali processi trova ragioni sia di tipo ideale che pratico: la ricerca del consenso su certe materie che cerca di ovviare anche alla debole legittimazione elettorale e di prevenire momenti conflittuali e di dissidio profondi da un lato e dall’altro il tentativo di responsabilizzare i cittadini di fronte a scelte che li riguardano più da vicino. E’ il caso ad esempio della rigenerazione urbana che in Inghilterra ha visto lo sviluppo di un’urbanistica partecipata (Sclavi,

61 Si pensi soltanto alla nuove figure professionali specializzate nella organizzazione di questi percorsi e

nella conduzione dei momenti più strettamente di tipo partecipativo. Per non parlare degli strumenti metodologici adottati per rilevare le opinioni, per assemblare pareri, valutazioni, giudizi.

2002) che poi si è diffusa come modello nelle grandi città europee proprio per la convinzione, non solo, che senza il consenso dei cittadini è molto più difficile, se non impossibile, effettuare certe scelte destinate a cambiare il territorio e migliorare la vita delle città, ma anche nell’opinione che sia giusto far crescere i cittadini stessi, il loro potere e la loro capacità di incidere sulle questioni più rilevanti e che li toccano più da vicino62 (Bobbio, 2002; Ciaffi, 2006).

2.9. Brevi note conclusive

Come abbiamo esaminato nei paragrafi precedenti cambiano le forme di azione pubblica e i sistemi di regolazione: dal modello burocratico basato sulla centralità delle istituzioni si va verso un modello policentrico caratterizzato da una pluralità di attori e interazioni, da una trama reticolare e dall’affermazione di modalità negoziali che sostituiscono una regolazione di stampo gerarchico, autoritativo. La tendenza è quella di creare partenariati pubblico -privati, coalizioni in un’ottica che privilegi la dimensione multisettoriale e multilivello lungo l’asse locale, nazionale, sopranazionale.

Le nuove modalità dell’azione pubblica vanno di pari passo alle trasformazioni e alla diversificazione del ruolo rivestito dalle istituzioni amministrative. Così cambia il ruolo della pubblica amministrazione che da una posizione di comando e controllo che implicava anche una funzione di gestione diretta ed erogazione di servizi e prestazioni, assume sempre di più un ruolo di

enabling

, di sostegno, valorizzazione e supporto dei potenziali sociali di azione e auto-organizzazione di gruppi, organizzazioni, cittadini.

Alla base di tali cambiamenti determinati da tanti fattori come la crisi del

welfare state

, i processi di globalizzazione, di europeizzazione, di

mercatizzazione ma anche l’esigenza di assicurare una maggiore efficacia ai programmi e agli interventi di carattere pubblico (Fedele, 1998), due sono gli elementi che emergono con maggior risalto:

1. il decisore pubblico non detiene più saldamente la prerogativa di individuare gli interessi generali; si sfalda il modello gerarchico fondato su una legittimità di tipo legale razionale in base alla quale si definivano gli interessi generali. Più che di crisi della funzione pubblica si potrebbe, però, parlare di evoluzione della stessa. Il ruolo dell’amministrazione, infatti, si trasforma sostenendo e catalizzando aggregazioni o integrazioni fra gli attori interessati e divenendo, soprattutto a livello locale, promotore di nuove forme di cittadinanza63.

2. assume importanza la figura del cittadino utente non solo come cliente della pubblica amministrazione, ma sempre più come soggetto partecipe, interessato alla costruzione e al mantenimento dei beni comuni, alla gestione della cosa pubblica.

Da questi elementi affiora l’esigenza di individuare nuovi dispositivi in grado di gestire i rapporti tra i nuovi soggetti che emergono sulla scena politica e sociale e l’intrecciarsi degli interessi, parziali e particolari, in finalità collettive.

Nel modello emergente di amministrazione condivisa che abbiamo individuato e in molti campi del

policy making

la negoziazione comincia a rivestire un ruolo fondamentale incoraggiato anche dall’attenzione e dall’emergere di politiche costitutive che tendono a costruire regole riguardo alle regole. E’ la stessa spinta all’integrazione tra attori, politiche e materie che spinge verso la costruzione di cornici regolative, normative e cognitive a supporto del coordinamento (Donolo, in Battistelli F., 2002). E abbiamo visto come, soprattutto in una società complessa dove le precedenti forme di regolazione non sono più in grado di dare risposte adeguate, diventi ancora più importante fare in modo che anche i regimi di

governance

, basati sulla rete, sulla diffusione della responsabilità e sull’integrazione degli interessi si fondino su contesti istituzionali in grado di stabilire le coordinate e i confini di processi e pratiche di tipo pubblico.

63 Diventa cruciale anche il discorso legato alla natura pubblica o meno degli assetti della fornitura e dei

Il crescente ricorso a logiche deliberative sottolinea la fiducia che si ripone sulla possibilità di costruire in itinere intese cooperative, basate su forme dialogiche di razionalità, mentre il fiorire di dispositivi partecipati o partecipativi fa leva sulla mobilitazione dei cittadini e delle comunità locali. Lo stesso spostamento a livello locale64 viene visto come via per individuare una scala di azione e di governo in grado di facilitare l’innesco e lo sviluppo di questi processi nel loro insieme. Bisogna porre attenzione però ai rischi a cui si potrebbe incorrere sottovalutando le tensioni che scaturiscono dal tema della rappresentanza dei soggetti privati e della scarsa legittimazione democratica dei soggetti che fanno parte dei grandi

network

. Tali rischi porterebbero, infatti, ad esaltare la forza e il potere di gruppi di interessi, di posizioni di

lobby

e corporative, innescando conflitti più o meno latenti.

Abbiamo parlato di

governance

e pur nelle sue note costitutive ambigue e vaghe, tale concetto viene a delineare uno spostamento dei riferimenti dell’azione pubblica dalle strutture per il governo (

government

) ai processi del governare. E’ forse possibile individuare nella nozione di

governance

una dimensione statica e una più dinamica. Per quanto attiene al primo aspetto possiamo riconoscere nelle sue configurazioni concrete: interessi e posizioni precostituite, riferimenti regolativi, normativi e cognitivi istituzionalizzati, catene gerarchiche, apparati organizzativi pubblici e privati ecc. Mentre nella dimensione dinamica e processuale, al contrario, ritroviamo razionalità plurali che si confrontano fra loro, logiche dell’incentivazione all’auto-organizzazione, interessi che si definiscono e ridefiniscono contestualmente, nuove regolazioni che costituiscono l’effetto emergente di interdipendenze multiple e di flussi nelle trame reticolari e policentriche (Bifulco, 2006). Come abbiamo sottolineato, però, è sempre importante distinguere tra le retoriche e le pratiche della

governance

. All’interno di tale nozione, infatti, è possibile riscontrare diversi

64 Nel riferimento insistito del livello locale delle politiche derivano discorsi e processi di delegittimazione

dell’orizzonte di generalità storicamente identificato dallo spazio statuale-nazionale, sia fenomeni adattivi di ricentraggio della società a scala locale che lasciano intravedere nuovi punti di equilibrio nel rapporto fra auto-organizzazione sociale e regolazione politico statuale (Bagnasco, 2003).

elementi: da sperimentazioni e pratiche delle decisioni a base consensuale, fondate su forme di legittimazione democratica dal basso a assetti e dinamiche che aumentano gli interessi privati e particolari, non essendo sottoposti ai vincoli della mediazione istituzionale (pubblica) richiesti dal sistema della rappresentanza. Da riorganizzazioni dei sistemi pubblici basati sull’accessibilità e l’ascolto che alimentano o istituiscono modalità condivise di progettazione e realizzazione dell’attività amministrative attraverso una pluralità di linguaggi e attori a opacità, accessi negati, trame nascoste, arene che diventano private caratterizzandosi per rapporti e prove di forza con una debole mediazione e pochi riferimenti di legittimità. In sostanza due

governance

molto diverse tra di loro una legata alle logiche di mercato e basata sugli interessi privati, l’altra su logiche comunitarie basata sulla fiducia (Bifulco, de Leonardis, 2002).

La prima, insieme al

new public management

come suo modello di applicazione concreta, crede nell’equivalenza tra dominio pubblico e spazio di erogazione commercializzata di beni e servizi. Il concetto di consumatore diventa un potente dispositivo di riduzione del quadro di riferimento valoriale, simbolico e normativo in cui è inscritto il concetto di cittadino e la rilevanza posta sulla fornitura dei servizi si affianca alla svalutazione o all’indebolimento della capacità politica di cui si alimenta la democrazia (March, Olsen 1997). E’