Per quanto riguarda il nostro paese, fondato su una cultura amministrativa che appartiene al modello legalistico di tipo
Reichtsstaat
proprio della tradizione napoleonica, mentre tradizionalmente lo Stato riveste nella società un ruolo centrale, il coinvolgimento dei cittadini è limitato. Gli atteggiamenti nei confronti dei modelli manageriali sono stati diversi e anche contradditori tra di loro: si è andati dal rifiuto all’accettazione acritica all’interno di un’apparente ridefinizione dei confini tra logiche burocratiche fondate su una cultura di tipo giuridico e logiche manageriali. La pubblica amministrazione, già in difficoltà nell’affrontare le questioni legate alladeregulation
, si trova, infatti, oggi totalmente impreparata ad affrontare la complessità che si sviluppa quando nasce la necessità di consolidare la concorrenza e il mercato (Fedele, 1998). Ciò spiegherebbe anche la persistenza di un mix di culture amministrative che combinano cultura legalistica e cultura manageriale (Pollit, Bouckaert, 2002). D’altra parte l’Italia è nota anche per essersi sempre caratterizzata, sin dai primi anni dell’unificazione del 1861, per una molteplicità di tradizioni amministrative che sussistevano all’interno dei differenti sistemi locali (Fedele, 1998). Risulta, così, difficile capire a quale tipo di riforma e di quadro amministrativo ci troviamo di fronte e ciò soprattutto negli ultimi anni che hanno visto succedersi molti governi dal carattere instabile e temporaneo. Il risultato è stato quello di una frammentarietà degli interventi e di un andirivienidi riforme prima annunciate e poi annullate dai governi successivi che ha generato una situazione altrettanto spezzettata. Di fronte alla crisi dello Stato, della rappresentatività e della politica anche nel nostro paese si è dato avvio, negli ani ’90, ad un periodo molto intenso di legislazioni di riforma. Il problema della riorganizzazione della pubblica amministrazione è divenuto pressante e centrale all’interno del dibattito pubblico dal punto di vista di una revisione delle funzioni amministrative, della razionalizzazione organizzativa e delle risorse, della lotta agli sprechi, della semplificazione ordinamentale, della gestione manageriale e della modernizzazione del sistema legale (Sepe, Mazzone, Portelli, Vetritto, 2003).
A livello di sistema prima di tutto si è assistito a fenomeni di privatizzazione delle imprese industriali pubbliche e di un’azione di de-statalizzazione dei grandi servizi che un tempo venivano gestiti interamente dal pubblico (le cosiddette “amministrazione parallele” che erano state create negli anni ’20 - ferrovie, poste, strade, telefoni ecc.). Secondariamente si sono registrate spinte verso il decentramento che hanno ripartito le funzioni amministrative residue ai diversi livelli di governo (centrale, regionale e locale) ponendo attenzione verso il livello locale. Alle amministrazioni statali sono state lasciate funzioni di indirizzo, coordinamento, legislazione e monitoraggio, mentre l’esecutività delle materie è stata affidata al livello territoriale. Una terza azione è stata compiuta nell’ambito della revisione dell’organizzazione cercando di semplificare e ridurre la ridondanza di strutture considerate superflue o obsolete (a livello di Ministeri ad esempio) e di razionalizzare i servizi (aziendalizzazione dell’Unità Sanitaria Locale ad esempio): il risultato complessivo non è stato però ottimale e sicuramente inferiore alle aspettative. Si è delineata poi una semplificazione nell’ambito della dimensione dell’attività delle pubbliche amministrazioni. In particolare si è realizzato uno snellimento e una razionalizzazione dei processi amministrativi, delle prassi operative che ha veramente cambiato il volto della pubblica amministrazione, rispetto al passato, anche perché non si è trattato soltanto di modifiche alla legislazione in materia o dell’introduzione dell’informatizzazione, ma di un vero e proprio cambiamento
culturale che ha inciso sulle prassi consolidate, tradizionali, date per scontate. L’introduzione di un sistema di valutazione, almeno sulla carta, relativo all’efficienza dell’utilizzo delle risorse e l’efficacia degli interventi, la separazione tra funzione politica e funzioni gestionali e una dotazione di maggiore responsabilità e strumenti manageriali ai dirigenti e privatizzazione del rapporto di lavoro per i dipendenti pubblici completano il quadro della riforma della pubblica amministrazione attuato in Italia in quegli anni. Responsabilità, flessibilità, risultato, valutazione e oggettività sono tutti i termini appartenenti alla retorica degli anni ’90.
In realtà l’impressione è quella di una spaccatura netta tra le aspirazioni riformiste e la realtà: nonostante il richiamo al mercato e le tendenze isomorfiche nei confronti del mondo imprenditoriale, la pubblica amministrazione, dal punto di vista organizzativo, non sembra ricalcare, per tante caratteristiche, quell’oggettività tanto declamata. Basti pensare soltanto al tema delle carriere legate al merito, alle condizioni dei lavoratori sia in termini di contenuto del lavoro che dal punto di vista delle retribuzioni, della mobilità professionale, delle competenze ecc. E lo confermano anche gli stessi ricorsivi discorsi sulla necessità di riformare la pubblica amministrazione che tutti i governi ribadiscono, oltre che il clima di sfiducia che demonizza massivamente pubblica amministrazione, servizi e personale e che rafforza ulteriormente una logica di tipo privatistico, come unico strumento risolutore di problemi complessi e persistenti.
Alla base di questi processi di modernizzazione sta anche l’idea di un cittadino utente a cui la pubblica amministrazione deve dare risposte53. La novità, infatti, che emerge dalle riforme dello scorso decennio è sicuramente l’attenzione rivolta al cittadino come soggetto che entra a pieno titolo nel panorama delle decisioni riguardanti l’azione pubblica. La maggiore attenzione per aumentare la tutela dei diritti dei cittadini - nella prima metà degli anni ’90 a livello di norme si affermano, infatti, progressivamente ampliandosi i “diritti di cittadinanza” - è andata di pari passo con l’impegno a puntare sul “risultato”
dell’azione amministrativa. Viene meno dunque quell’idea, che ha prevalso nei primi novanta anni del secolo, di un’amministrazione pubblica che si colloca su un piano superiore rispetto ai suoi interlocutori siano essi dipendenti o cittadini o organizzazioni private, in sostanza una concezione unilaterale dell’azione pubblica basata su relazioni gerarchiche (Fedele, 1998). Anche il ruolo e le funzioni dello Stato cambiano e si passa da funzioni di gestione a funzioni di regolazione grazie anche all’orientamento espresso a livello di Unione Europea. Si è andato perdendo il carattere autoritativo delle azioni della pubblica amministrazione per rafforzare il carattere negoziale. Ed è proprio in questa direzione che anche il ruolo dei cittadini acquista spazio e fisionomia insieme all’idea di una amministrazione sempre più partecipata. Anche il decentramento che ha trasferito gran parte delle funzioni pubbliche alle amministrazioni territoriali, da quella regionale a quella locale, va nella direzione di un miglioramento dei rapporti tra poteri pubblici e cittadini.
In sintesi vediamo dunque che gli elementi di fondo su cui le riforme hanno giocato sono stati: meccanismi che ricalcano una logica più strettamente manageriale tipica delle imprese54, elementi di modernizzazione che hanno favorito lo snellimento e la flessibilità della pubblica amministrazione55 e elementi che hanno esaltato la partecipazione tra i diversi soggetti della
governance
soprattutto in alcuni settori come la sanità, il sociale, la cultura, l’ambiente, l’istruzione ecc. Naturalmente di fronte a tutti questi mutamenti che hanno portato ad esaltare un’amministrazione orientata ai risultati, il rischio di perdere sul terreno dell’imparzialità e del principio dell’eguaglianza rimane sempre in agguato (Sepe, Mazzone, Portelli, Vetritto, 2003), laddove soprattutto flessibilità, rapporti fiduciari, modelli manageriali hanno favorito modernizzazioni di facciata, aumentando fenomeni di clientelismo e di dipendenza “insana” delle amministrazioni pubbliche dalla politica.
54 Si parla oggi di “marketizzazione” riferendosi ad esempio all’introduzione dei DRG nella sanità, dei
meccanismi di accreditamento nelle politiche sociali come i buoni scuola ecc.
55 Ad esempio la decentralizzazione, la diffusione di strumenti contrattuali, la divisione per dipartimenti
Come abbiamo visto dunque il panorama dei sistemi amministrativi è molto vario e si connota per il suo carattere ibrido: accanto ad apparati di tipo burocratico, che si fondano ancora sul rispetto delle regole, convivono strutture di tipo aziendalistico che si muovono secondo principi di tipo privatistico e aree e settori che in una prospettiva di
governance
operano secondo una logica partecipativa coinvolgendo nelle decisioni e nelle politiche pubbliche soggetti e attori del territorio. Anche in questo caso non si può dunque fare riferimentotout court
a una linea evolutiva che va dalla burocrazia tradizionale alnew
public management,
fino a sfociare a regimi dipublic governance
, ma occorre sempre tenere conto della natura composita ed eterogenea delle amministrazioni contemporanee (Gualmini, 2003) che in larga parte riflettono le specificità del contesto a loro volta influenzate da assetti, culture e pratiche consolidate. Da questo punto di vista anche il neo istituzionalismo non prospetta, infatti, un modello proprio di riforma amministrativa, ma propende per un’analisi approfondita del contesto e dei processi organizzativi per cogliere tutta la complessità dei processi di riorganizzazione (Girotti, 2007).Inoltre si sta facendo avanti sulla scena amministrativa e politica anche l’idea che il mercato non può autoregolarsi e che dunque occorra un ripensamento anche del ruolo dello Stato verso quelle funzioni di regolazione che se apparivano più moderne rispetto a quelle deputate alla gestione, in realtà venivano anche molto criticate soprattutto dai sostenitori della
deregulation
. Questo cambiamento di prospettiva è stato certamente sollecitatodalla situazione di crisi economica e sociale che pervade tutti gli Stati: a partire dagli attacchi terroristici fino alle conseguenze concrete della finanziarizzazione dell’economia, alla crisi della rappresentatività, al risorgere di sentimenti di nazionalismo e localismo e ai conflitti di civiltà tra nazionalità, religioni ecc... Il crescente e inedito bisogno di sicurezza e le nuove domande sociali di inclusione allarmano le istituzioni democratico-liberali che mostrano difficoltà crescenti a tenere tutto sotto controllo. La fiducia smisurata allora verso il mercato sembra oggi vacillare anche per i più accaniti sostenitori che si accingono a sostenere anziché la
deregulation
tout court
una migliorederegulation,
prospettando addirittura soluzioni che prevedono forme di nuovo protezionismo sia in campo economico - commerciale che sociale56. Il paradigma organizzativo di stampo manageriale che ha prevalso negli anni ‘80 e ‘90 comincia a mostrare dunque le prime incrinature mentre diventa sempre più chiara la sua maggiore utilità nell’ambito imprenditoriale e l’impossibilità di utilizzarlo in un contesto di politiche pubbliche, se non al massimo come elemento esterno e come stimolo critico (Sepe, Mazzone, Portelli, Vetritto, 2003).Se dunque l’amministrazione nazionale deve assecondare il processo europeo e le spinte che da esso vengono nel senso di un alleggerimento dell’amministrazione da più punti di vista, è anche vero che occorre una riqualificazione delle stesse forme di intervento e dunque anziché
meno Stato
, come le stesse ricette liberiste propongono, si deve puntare piuttosto su undiverso Stato
in grado di operare secondo uno stile negoziale nellaprogettazione di nuovi sistemi di regolazione (Fedele, 1998).
Nel prossimo paragrafo analizzeremo più da vicino il tema della
governance
locale quale luogo specifico della cittadinanza, di identità e soggettività istituzionale che contende sovranità allo Stato (Perulli, 2000), saltando sempre più spesso la mediazione nazionale e intrecciando reti di relazione competitive e cooperative con altri attori, territori e livelli di governo.