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Questa riconcettualizzazione della burocrazia attraverso la dimensione processuale, intersoggettiva e generativa ci può essere utile dunque come punto di partenza per “riscoprire” le istituzioni (March, Olsen, 1992; Bifulco, 1997). Per comprenderle nel loro merito, nelle loro logiche specifiche e nella loro vita reale, per capirne le linee di evoluzione, di mutamento, quello ricercato e auspicato, o al contrario involontario e dalle conseguenze negative (Donolo, 1997). L’approccio da adottare deve essere ad ampio spettro per evitare panacee e semplificazioni: per modificare le istituzioni deve essere chiaro, infatti, che non tutto può dipendere da dibattiti legislativi, misure normative, discussioni politiche, atti amministrativi. Le istituzioni cambiano se muta

la relazione tra cittadini e istituzioni

e se le stesse risultano all’altezza del loro compito principale che dovrebbe essere quello di indurre, incentivare e sostenere questa riqualificazione dei rapporti. E inoltre cambiano se si modifica la

relazione tra gli addetti alle istituzioni e i loro compiti e la vita delle istituzioni

(Donolo, 1997, p. 7). In sostanza se si creano nuove basi per un miglioramento qualitativo dei rapporti sia all’interno della pubblica amministrazione che verso l’esterno, se attecchiscono culture e pratiche inedite in grado di generare come conseguenza nuovi modi di concepire i problemi, di definirli, di rielaborarli culturalmente. In fondo come ben ci ricorda Donolo (1997, p.8) “

in democrazia

le istituzioni siamo noi, un noi collettivo, nel quale oggi purtroppo facciamo

fatica a riconoscerci

”. Ci si ricorda delle istituzioni solo quando non funzionano, quando si parla di ingovernabilità, di crisi sociale, di incertezza del diritto, quando ci si accorge che quelle esistenti sono carenti, insoddisfacenti rispetto alle richieste, qualitative e quantitative, di beni pubblici necessari per realizzare

i propri programmi di vita. Le conseguenze di un tale atteggiamento sono da un lato i conflitti, le delusioni quotidiane, la mancanza di fiducia che si insinua nel rapporto con l’amministrazione, nelle interazioni tra cittadini e istituzioni. Dall’altro le inefficienze che si abbattono anche sulla vita economica e sociale, sullo scadimento della qualità della vita, sull’aumento dell’incertezza del futuro (Donolo, 1994, 1995).

Tutto ciò porta a delegittimare le istituzioni stesse a riprova del fallimento della politica, della sua capacità riformatrice, ma anche di una scarsa e cattiva cultura istituzionale in cui si assiste ad un vero e proprio oblio delle istituzioni, della loro natura costitutiva, della loro funzione e dei loro obiettivi. Amnesia istituzionale che come rileva Donolo (1997) dipende da una concezione economicistica dell’individuo, dalla logica razional-strumentale prevalente che considera le istituzioni solo in un’ottica strategica, utilitaristica, come ostacolo o al contrario risorsa appropriabile. Dimenticandosi che le istituzioni sono momenti normativi, comunicativi e costitutivi dell’attore e della stessa azione.

Come abbiamo già descritto nel secondo capitolo di questa tesi, questa situazione si è tradotta in una ripresa del pensiero di tipo liberistico a partire dagli anni ’80 con la richiesta di “meno stato e più mercato”. Il paradosso attuale, però, è che mentre si chiede più mercato, nessuno ama la concorrenza e mentre si chiede più impresa nessuno ama le sue scelte di esternalizzazione e le conseguenze negative. Così come tutti denunciano l’inefficienza della pubblica amministrazione, ma tutti godono di un qualche privilegio relativo a qualche nicchia protetta (Donolo, 1997).

In un universo postdemocratico (Crouch, 2003), altamente tecnologizzato e mediatizzato (Donolo, 1997), dominato da una democrazia telematica, virtuale, dove la tendenza è quella di una politica ridotta a dibattiti televisivi e a un’adesione per sondaggio da parte dei cittadini, tutto appare strumentale, calcolabile, monetizzabile. Più prevale questa ottica postdemocratica dove il confronto elettorale diventa uno spettacolo controllato da cultori della comunicazione strategica, più il cittadino diventa passivo, indifferente, noncurante e reagisce soltanto ai segnali che gli vengono lanciati (Crouch,

2003). La discussione pubblica verte esclusivamente su alcune questioni selezionate, la politica diventa un affare per pochi eletti, una questione di

problem solving

strettamente connessa a priorità di tipo finanziario e

trasnazionali (Pizzorno, 2001; Borghi, 2006). Così cominciano a scarseggiare la cultura democratica, il dibattito civile e politico, la comunicazione e la relazione tra istituzioni e cittadini si trasforma, impoverendosi e dequalificandosi (Donolo, 1997; Borghi, 2006).

In questo scenario politico e sociale assistiamo a movimenti che in apparenza risultano contraddittori: se da un lato le società si stanno muovendo verso il polo postdemocratico (Mastropaolo, 2001; Crouch, 2003), dall’altro si riscontra una rinascita di interesse nei confronti della vita pubblica e la ricerca di una maggiore inclusività nei processi e nei meccanismi decisionali (Pellizzoni, 2005; Regonini, 2005; Borghi, 2006). Ciò si verifica sia a livello teorico, nel dibattito scientifico, che a livello pratico, soprattutto sul piano locale, con sperimentazioni di tipo partecipativo che nascono da esigenze e richieste espresse dai cittadini, dalla società civile e dalla stessa pubblica amministrazione71.

Se diverse sono le esperienze che si diffondono un po’ ovunque (Bobbio, 2007b), bisogna comunque fare attenzione per non attribuire capacità di innovazione sociale laddove queste non esistono e per discernere tra le diverse pratiche partecipative distinguendo finalità, modalità, contesto e risultati differenti raggiunti. Molti sono, inoltre, i modi di intendere la partecipazione da cui derivano sia ottiche e obiettivi dissimili fra loro che dispositivi concreti che davvero possono concentrarsi su aspetti irrilevanti72 del processo partecipativo e perdere di vista quelle che dovrebbero essere le finalità, le dimensioni più

71 A questo proposito Sabel (2001) chiama questa serie di iniziative di livello preminentemente locale volte

a sperimentare nuovi tipi di rapporto tra cittadini e istituzioni “sperimentalismo democratico”. Al suo interno comprende diverse e variegate esperienze che hanno come obiettivo finale quello di riattivare l’interesse per la partecipazione dei cittadini e della società civile all’elaborazione e al trattamento di problemi collettivi.

72 Come ad esempio concentrarsi soltanto sul momento decisionale e non sulla preoccupazione di costruire

quelle basi sociali su cui si fonda l’interesse personale all’uso pubblico delle proprie competenze e della propria capacità di giudizio (vedi Borghi, 2008) ma la lista potrebbe essere lunga. Si rimanda per un’analisi dei punti critici al paragrafo 3.6.

vere in grado o meno di dare vita a processi di riconfigurazione e di riflessione della pubblica amministrazione.

Ai nostri occhi, infatti, appaiono interessanti e degne di approfondimento quelle esperienze che tentano di ricreare o di dare vita a spazi, progetti e opportunità che abbiano l’obiettivo di rivitalizzare, dare nuova linfa e intensificare la democrazia. Democrazia intesa come condizione che permetta ai cittadini, dal punto di vista materiale e simbolico, di essere attivi e di poter partecipare attraverso il dialogo, la discussione, la creazione di propri organismi autonomi alla definizione e alla soluzione di problemi collettivi e priorità della vita pubblica (Crouch, 2003; Borghi, 2006). Solamente queste esperienze, dal nostro punto di vista, potrebbero rappresentare momenti significativi di innovazione sociale della pubblica amministrazione. Ovvero costituire le basi per nuovi modi di relazione tra Stato e società civile, nuovi rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini che consentano una gestione pubblica più democratica (nel senso appena descritto), senza per questo sminuire o minimizzare il ruolo pubblico delle istituzioni (Nussbaumer, Moulaert, 2007) anzi, dando un contributo finalizzato alla loro “riscoperta” in contrapposizione ad una visione strettamente razionale e strumentale delle organizzazioni (March, Olsen, 1992).

Detto in altri termini si tratta del tema della sfera pubblica che é strettamente interrelato con le questioni connesse alle pratiche partecipative.

La cautela nell’analizzare queste esperienze non è mai abbastanza e ci sentiamo di procedere dunque con prudenza cominciando a distinguere innanzitutto tra le varie esperienze che rientrano tutte e a pieno titolo ma, con caratteristiche o sfumature molto diverse tra loro, nel vasto insieme delle pratiche partecipative, inclusive e deliberative.

Successivamente procederemo con l’identificare suggerimenti, criteri, indicatori la cui presenza in questi processi potrà rilevare se si tratti di pratiche concrete e reali di partecipazione, semmai non proprio lineari e semplici, ma comunque finalizzate al raggiungimento di principi di bene comune, utilità pubblica e buon governo.