Come abbiamo considerato nei paragrafi precedenti cambiano le forme di azione pubblica e di regolazione e si va verso modelli in cui ad un centro unico si sostituisce una miriade di altri centri o di periferie (D’Albergo, 2002), se si preferisce, abitati da una varietà di attori, rapporti e interazioni che tracciano i contorni di una grande rete la cui modalità relazionale è quella negoziale e/o deliberativa. Se il passaggio dal
government
allagovernance
sposta l’accento verso il basso (Battistelli, 2002) la domanda che ci si pone è di quale tipo di “basso” si tratti: quello legato a interessi locali legittimi orientati alla massimizzazione dell’utilità o a visioni sociali orientate ad uno spirito solidaristico ed espressivo. Per rispondere a tale quesito bisogna risalire ai modi e alle intensità di delega delle funzioni di governo e lo faremo a partire dalla distinzione che propone D’Albergo a proposito dei tre periodi che i modelli di regolazione dell’azione pubblica hanno attraversato.L’autore propone, infatti, tre fasi idealtipiche che si caratterizzano per essere rappresentative anche dei modelli culturali sui quali ciascuna fase si fonda: la prima appare caratterizzata da una centralizzazione istituzionale e da relazioni gerarchiche. Tale modello di
government
si fonda, infatti, su procedure amministrative standardizzate considerate valide indipendentemente dai risultati e legittimate dalla presenza di un’autorità formale. Il rapporto fra la parte politica e la parte amministrativa, tra chi decide e chi implementa è funzionalmente separato e gerarchico. Dal punto di vista dell’assetto e degli strumenti istituzionali si rileva una distribuzione gerarchica delle competenze e la progressiva riduzione di discrezionalità e autonomia decisionale nelle posizioni più basse della piramide istituzionale organizzativa. Vigono controlli autoritativi e legalistici con sanzioni giuridicamente formalizzate. Le alternative a questo modello digovernment
si trovano nei due modelli successivi che declinano lagovernance
secondo due diverse visioni: il mercato e la comunità.La seconda fase si basa sul decentramento istituzionale e la sussidiarietà fondata sul confronto e sulla convergenza fra le utilità degli attori: questo
modello presume dunque al fondo una logica che si regge sulla coincidenza delle utilità dei singoli attori e solo successivamente sui soggetti collettivi. La responsabilità in questo caso coinciderebbe con gli interessi mentre le relazioni interistituzionali e interorganizzative sarebbero fondate sulla
partnership
negoziale e su un rapporto paritario tra chi decide e chi implementa. Per quanto riguarda l’assetto e gli strumenti istituzionali siamo in presenza di una regolazione di tipo
bottom-up
che coinvolge nei processi decisionali glistakeholders,
ricorrendo a forme di contrattualizzazione di breve durata per contenere costi e a forme di valutazione dei risultati dei processi. Tale modello, infatti, si basa da un lato sull’esternalizzazione di funzioni pubbliche, privatizzazioni, mercati interni e controlli e dall’altro su attribuzioni di autonomia e strumenti manageriali alla dirigenza che viene ad acquisire, almeno sulla carta, doti diproblem
solving
e diplomatico-negoziali.La terza fase è, infine, caratterizzata dal modello di
governance
anch’esso, come il secondo, di tipo reticolare (Perulli, 2000) fondato, però, su una condivisione dei valori da parte degli attori della rete a partire da unamission
che viene condivisa. In questo modello siamo in presenza di contesti che da un lato favoriscono e incentivano comportamenti che si basano sull’interazione e il coordinamento e dall’altro sulla formazione di linguaggi, codici e conoscenze comuni. Il capitale sociale che viene valorizzato e promosso attraverso le politiche facilita l’affermarsi di stili negoziali, partecipativi e cooperativi. Nella stessa pubblica amministrazione la divisione così netta tra parte tecnica e parte politica viene tenuta insieme attraverso la ricerca continua di una integrazione tra decisione, esecuzione e condivisione delle funzioni di guida. Ciò attraverso un coinvolgimento sia dei destinatari degli interventi che di coloro che, nel processo di programmazione degli obiettivi e dei piani, si occupano dell’implementazione dei servizi. Nel perseguire il rapporto pubblico/privato si punta inoltre al mantenimento di una relazione il più possibile paritaria fra i soggetti dell’interazione. Per quanto riguarda l’assetto e gli strumenti istituzionali vi è una esternalizzazione e un coinvolgimento di attori non statali basato sulla reciprocità, su regole e procedure di interazione formalizzate per
affrontare situazioni di conflitto, su sistemi di autovalutazione e monitoraggio. Sul versante interno vengono promosse, invece, azioni rivolte agli attori di
front
office
per potenziare le loro capacità e competenze mentre viene incentivato illavoro di gruppo e si apprezzano doti di argomentazione e persuasione nella dirigenza.
I rischi a cui questi modelli vanno incontro sono diversi tra di loro. A parte il primo basato sul
government
le cui problematiche sono state ampiamente trattate nel capitolo precedente, nellagovernance
delle reti orientata al mercato segnaliamo che i principali svantaggi sono quelli legati alla difficoltà delle istituzioni rappresentative di avere un ruolo importante di guida, all’indebolirsi dell’attenzione verso gli interessi delle fasce più marginali a favore di interessi consolidati privati, alle difficoltà di prevenire azioni difree-
riding
, alla scarsa trasparenza nei processi informali a causa anchedell’ampliarsi della responsabilità tra le maglie di queste complesse strutture reticolari, all’incerta efficacia a fronte dei costi di metodologie di razionalizzazione
ex post
delle decisioni e di valutazione dei risultati e infine un rischio eccessivo di normazione e un aumento abnorme dell’offerta flessibile di strumenti istituzionali.I principali rischi in cui incorre, invece, la
governance
delle reti orientata alla fiducia sono quelli dello stallo decisionale dovuto alla frammentazione dei poteri da un lato e al pericolo dell’opportunismo di chi partecipa dall’altro, delle difficoltà di predeterminare l’andamento dei processi di implementazione e di legittimare l’intervento di un’autorità superiore per sbloccare l’eventuale situazione di stasi. Altro grande rischio è che nei contesti maggiormente disgregati a scarso capitale sociale si verifichino situazioni di indebolimento o indifferenza verso i beni comuni, con la conseguenza di un aumento della forbice delle disuguaglianze territoriali sostenute da un diverso peso delle risorse comunitarie. Perché funzionino bene, inoltre, queste reti necessitano anche dileader
dotati non solo di qualità strumentali ma capaci anche di coinvolgere e di valorizzare gli attori locali e le azioni. Elevati costi di transazione della partecipazione alle azioni per ciascun attore e difficoltà diimplementare con successo questi processi su scala nazionale e non solo locale, concludono l’insieme dei principali svantaggi che si rilevano.
I due modelli post burocratici qui sinteticamente delineati, configurati entrambi come sistemi reticolari, si distinguono in base al loro differente orientamento culturale: il primo fondato sull’idea del mercato e dunque sugli interessi privati, mentre il secondo orientato alla comunità e dunque basato sul valore della fiducia.
Il mutamento culturale dei modelli di regolazione naturalmente è profondamente influenzato da fattori strutturali, politici ed economici oltre che dalle specifiche situazioni locali sia in termini territoriali (livello nazionale e regionale) che in termini di
policy
ovvero di specificità delle politiche settoriali.Così, ad esempio, le politiche neoliberiste orientate al mercato e convinte sostenitrici della capacità di autoregolazione dello stesso sono contrarie a qualsiasi intervento regolativo e distributivo della politica: il loro obiettivo è infatti liberare il mercato da tutti vincoli che ne limitano le capacità di sviluppo. Tali politiche orientate al mercato vengono spesso accompagnate da forme di
governance
e strumenti che privilegiano partenarati pubblico-privati, tavoli di co-decisione, diverse tipologie di reti che coinvolgono attori privati, pratiche negoziali promosse dalle istituzioni, pianificazioni strategiche delle città. Sul fronte delle istituzioni pubbliche ilnew pubblic management
47, nel suo modello originario anglosassone e nella sua traslazione continentale, costituisce la corrispondente strategia di riforma amministrativa (Fedele, 1998) che a onore del vero non è stata adottata soltanto dai paesi che portano avanti una politica conservatrice, ma anche da quelli di centro-sinistra. La politica, infatti, se ha influenzato molto il passaggio dalgovernment
alla seconda fase digovernance
orientata al mercato, ha avuto meno peso nell’influenzare la trasposizione internazionale di tale modello. Negli anni ’90 con l’adozione da parte di altri paesi (Regno Unito di Blair e Usa di Clinton) della cosiddetta “terza via” si vira verso il modello di
governance
comunitario. Il modello amministrativo burocratico chiuso, o fondato sul negoziato con gli interessi, viene sostituito o
affiancato da modelli più aperti, meno gerarchici nella formulazione e attuazione delle scelte pubbliche. In Europa le arene neocorporative di concertazione triangolare vengono sostituite da sistemi e processi di azione pubblica a cui partecipano oltre che soggetti istituzionali di più livelli, anche un’ampia gamma di soggetti non istituzionali. Le relazioni tra governi locali, nazionali e trasnazionali si reggono su equilibri nuovi e instabili: la tendenza è quella di un ribilanciamento territoriale dei poteri politici e delle loro azioni, oltre che delle relazioni tra politica e società (D’Albergo, 2006). Si affermano regimi di
governance
multicentrici e trasnazionali che indeboliscono la capacità regolativa e allocativa dello Stato (Mayntz, 2002), mettendo in comune l’autorità, attraverso diversi intrecci di potere, tra attori politici, sociali e governi statali, ma anche attori trasnazionali come le multinazionali e organizzazioni intergovernative (Weiss, 2005). Coinvolgere la società civile è ritenuto, infatti, utile per legittimare socialmente e politicamente decisioni e decisori, oltre che per aumentare l’efficacia delle politiche. Emerge dunque una ricerca di consenso sociale nei confronti dei cambiamenti strutturali di tipo economico e di altre riforme chiave. Le stesse città, come vedremo, mettono in pratica strategie diversificate per confrontarsi con le sfide della globalizzazione introducendo nelle politiche e nei regimi digovernance
connessioni fra locale e globale più dirette che nel passato (Le Galés, 2006).Dal punto di vista delle realizzazioni sul campo occorre, però, fare attenzione e distinguere i principi che ispirano le due visioni opposte del "governare": una che mira all’aggregazione degli attori, incentrata sulla negoziazione fra soggetti interessati che competono fra loro; l'altra che ha, invece, come obiettivo l’integrazione, incardinata sulle istituzioni e sulla loro capacità di far emergere attori, identità e capacità politiche - dei cittadini in primo luogo - attorno a un sistema di significati sociali, di valori e norme condivisi (March e Olsen, 1997).
Ritornando al percorso tracciato da D’Albergo ricordiamo che non si tratta di un percorso evolutivo e lineare con un inizio, una direzione e una fine ma piuttosto è da intendere come una strada irta di avvallamenti, dossi e
imprevisti e che soprattutto genera sovrapposizioni e compresenze di spinte innovative e standard tradizionali. E’ per ciò che nella realtà si producono modelli spuri di regolazione e strutturazione dell’azione pubblica che mescolano e ricompongono in maniera ibrida i tre modelli idealtipici sopra descritti. Così principi di mercato e/o di comunità possono affermarsi e attecchire su terreni di tipo burocratico, il che confermerebbe la loro natura di tendenze non irreversibili e univoche (Hood, 1998). Le esperienze concrete di regolazione si basano spesso su un mix tra prescrizioni fondate su autonomia e mercato/comunità facendo emergere così tutti gli svantaggi e vantaggi del caso specifico che difficilmente potrà essere applicato in altri contesti che non presentino le medesime caratteristiche. E’ il caso delle programmazioni negoziate in cui nonostante prevalga una logica di tipo partecipativo basata sulla
partnership
e sulla concertazione, si riconoscono anche comportamenti di tipo utilitaristico da parte di soggetti economici che prendono parte al processo (De Rita, 1998) e comportamenti che vanno alla ricerca di consenso espressi dalle istituzioni pubbliche locali. Mercato e comunità, utilitarismo e fiducia dunque si mescolano generando tensioni e ambiguità che devono essere monitorate soprattutto nella fasi istituenti dei processi di creazione di arene e spazi deliberativi. Tali tensioni non costituiscono però elementi necessariamente disfunzionali: potrebbero, infatti, rivelarsi delle opportunità per mettere in campo e sperimentare l’abilità degli attori nella creazione di forme ibride che valorizzino e sperimentino gli errori sul campo e sfruttino capacità di apprendimento al di là dei modelli ingessati, prescrittivi e unilaterali proposti dalle retoriche del momento (D’Albergo, 2002).Mentre il prossimo capitolo sarà dedicato più nello specifico al tema dell’innovazione nella pubblica amministrazione e dell’inclusività e dei processi deliberativi come esempio di quel modello di
governance
comunitaria fondata sulla fiducia e su forme dialogiche di razionalità che D’Albergo ben descrive, nel prossimo paragrafo analizzeremo l’applicazione in campo amministrativo delnew public management
come strumento di riforma, nel solco di un regime dipubblica amministrazione italiana, anche a partire da questo modello di modernizzazione.