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Anche se in Italia il discorso sulla partecipazione non nasce recentemente, basti pensare ad alcune esperienze dagli anni ’70 legate ai comitati di quartieri o alla nascita degli organi collegiali nella scuola (Bobbio, 2007b), tuttavia è solo da dieci o quindici anni a questa parte, che si sono attivate sperimentazioni partecipative o deliberative su varie materie relative alle politiche pubbliche. Rispetto ad altri paesi, in Italia mancavano, fino a qualche tempo fa, anche le competenze professionali e le metodologie adatte per portare avanti processi di tipo deliberativo (Podziba, 2006). Ora nella fase attuale ci troviamo in uno stadio di superamento degli approcci sperimentali e forse si potrebbe parlare di consolidamento e istituzionalizzazione di tali processi partecipativi, se non altro nei termini di una loro sistematizzazione, analisi e attenzione da parte delle istituzioni pubbliche e del mondo scientifico.

La stessa pubblica amministrazione al suo interno ha adottato alcuni provvedimenti che si sono mossi nella direzione di un’apertura dei rapporti con il cittadino: basti pensare all’accesso agli atti amministrativi, all’istituzione di uffici di relazioni con il pubblico, al fiorire delle consulte comunali, ecc., per non parlare della riforma del titolo V della Costituzione approvata nel 2001, che offre spazio alla cittadinanza attiva (Sancassiani, 2005). Se il richiamo alla partecipazione è presente anche a livello legislativo, soprattutto locale, purtroppo nella maggior parte dei casi non si prevedono azioni per mettere in pratica e realizzare tale partecipazione (Bifulco, de Leonardis, 2005). Inoltre, come abbiamo visto, esiste una distinzione tra le forme partecipative

tout court

e quelle deliberative vere e proprie. E la stessa prassi amministrativa risulta, nei fatti, essere tutt’altro che dalla parte del cittadino, aperta a forme di deliberazione (Pellizzoni, 2005), anche se non mancano, come abbiamo sottolineato, numerose e anche significative esperienze in proposito (Morgan, 2005, Bobbio, 2004; Bobbio, 2007b).

Attualmente questi processi si stanno comunque sviluppando sia al nord che al sud del paese (Bobbio, 2007b), anche se per poterne giudicare davvero la

qualità occorrerebbe andare a verificare per ogni singola esperienza condizioni, modalità e valenze124. Mentre centralmente, prevale l’idea del tutto opposta di una democrazia maggioritaria e decisionista secondo cui, chi ottiene la maggioranza alle elezioni ha il diritto - dovere di prendere le decisioni, senza sentirsi in obbligo di confrontarsi con altri, a livello locale o anche micro-locale, si assiste a un fiorire di pratiche di tipo inclusivo. Da questo punto di vista spicca, dunque, la contrapposizione tra ideologia maggioritaria e pratiche consensuali (Bobbio, 2003), che riflette d’altra parte la stessa distinzione, come si è accennato, tra dimensione nazionale e livello locale, in cui tali processi trovano la loro collocazione 125. Su scala locale poggerebbero dunque speranze, potenzialità e promesse di cambiamento, mentre a livello nazionale prevarrebbe la mancanza di un confronto diretto sui temi e una spettacolarizzazione mediatica della politica sempre più pressante (Crouch, 2003).

Se per le modalità e per le metodologie si guarda all’estero126, il ricorso delle pubbliche amministrazioni all’adozione di queste pratiche, è strettamente collegato alle vicende italiane e ha a che fare con la consapevolezza dell’insufficienza degli strumenti della democrazia rappresentativa, con la presenza di una società civile che reagisce di fronte a scelte considerate ingiuste e scarsamente legittimate, con la crisi dei partiti e della rappresentanza politica e, infine, con la convinzione che alcune politiche pubbliche, più di altre, necessitino dell’apporto dei cittadini destinatari degli interventi (Bobbio, 2007b).

Negli ultimi anni, pur non mancando esperienze che di partecipativo hanno solo l’aspetto formale e retorico, si sono andate affermando anche esperienze serie che hanno provato a coinvolgere i cittadini in forma singola o associata, in maniera non banale. Certo è che i processi di questo tipo si scontrano con le caratteristiche fondanti della situazione italiana, e risentono del modo in cui i

124 Si rimanda a tal proposito all’indagine condotta da Bobbio per il Dipartimento della Funzione Pubblica

uscita nel 2007 che prende in considerazione diversi casi italiani di pratiche partecipative e che segue lo studio condotto sempre da Bobbio nel 2004 che faceva il primo punto sulla situazione italiana.

125 Come osserva Bobbio (2007b) le esperienze partecipative si stanno muovendo dallo spazio micro -

locale al locale e quindi ci sono buoni motivi per ritenere che vi sia con gli anni un costante allargamento della dimensione.

problemi si configurano e sono riconosciuti all’interno del quadro istituzionale e culturale in cui le politiche prendono forma (Bifulco, 2008).

I principali punti deboli del contesto istituzionale italiano, come abbiamo sottolineato anhe nel capitolo 2, sono attribuibili alla frammentazione accentuata e persistente della struttura politico-amministrativa all’interno di un quadro regolativo spesso in ritardo soprattutto per alcune politiche pubbliche (ad esempio sociali) e a una situazione di scarsa

stateness

/statualità, ovvero a una dimensione statuale regolativa debole. L’Italia si trova nella condizione paradossale di avere, allo stesso tempo, sia poco che troppo stato, con una conseguente debole legittimazione dell’autorità statale e rischi di permeabilità dell’amministrazione pubblica agli interessi privati. Di fronte, infatti, ad un forte legame tra livello centrale e dimensione locale (per quanto riguarda sia il controllo dei processi decisionali che l’influenza della leva finanziaria), si rileva un forte spezzettamento periferico dell’organizzazione dello Stato (Cassese, 1998).

In più rispetto alle condizioni sopra descritte, si aggiunge una tradizionale relazione unilaterale e di superiorità della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini (Bifulco, 2008). A fronte di questa situazione il rischio maggiore, in cui queste esperienze possono incorrere in Italia, è proprio quello di essere condotte, in modo classico, sulla base dello strumento della negoziazione distributiva che si basa, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, su logiche di tipo spartitorio/predatorio. Da questo punto di vista il principale problema nel nostro paese (Ranci, 2005) sembra essere la possibile ed eventuale deriva particolaristica o clientelare di tali arene, che è connessa poi a quel modello di programmazione negoziale, di cui si diceva sopra. L’incertezza delle regole, dei diritti, delle risorse, la debole legittimazione pubblico-statuale possono rappresentare, infatti, dei punti deboli, che rischiano di fare nascere, attraverso la messa in atto di tali pratiche partecipative, una situazione di ulteriore divisione, disparità e particolarismo. Tale scenario potrebbe peggiorare se si considera la scarsa presenza in termini numerici dei partecipanti: come abbiamo rilevato tali pratiche comportano molto impegno, in

termini di tempo, disponibilità e risorse personali. In più in Italia non sembra che chi partecipa sia il cittadino qualunque, ma spesso quello “competente”, un addetto ai lavori, che appartiene ad associazioni, comitati ecc., un individuo attivo127 (Bobbio, 2007b) (e di qui poi il problema dell’inclusività). Naturalmente il rovescio positivo della medaglia è che a fronte di tale incertezza si constata una maggiore flessibilità e possibilità di attuare nuove vie dell’azione pubblica e della democrazia (Bifulco, 2008). Occorre solo verificare la direzione assunta da queste ultime: se si tratti cioè di esperienze che propendono verso una commercializzazione della cittadinanza e un ulteriore allontanamento dei cittadini dall’amministrazione o piuttosto verso un suo rafforzamento e ampliamento in termini democratici. O ancora di esperienze fragili che poggiano sull’iniziativa personale di leader politici che le promuovono o piuttosto di processi più robusti che si consolidano nel tempo, diventando pratiche di buona amministrazione e di innovazione. Anche sul piano politico la tendenza che emerge in Italia sembra, comunque, quella di una debolezza della partecipazione, che rimane in posizione arretrata rispetto ai dibattiti pubblici e anche agli stessi programmi elettorali, cosa che comincia a cambiare, ad esempio, in altri paesi come la Gran Bretagna, la Francia ecc. (Bobbio, 2007b).