Innovare la pubblica amministrazione attraverso una grande riforma che possa restituirle efficienza e toglierle quella patina ingessata di immobilismo in cui versa ormai da decenni appare, agli occhi di molti, l’unica soluzione possibile. L’unica strada percorribile che aleggia come un “mito” nella retorica quotidiana legata ai temi del cambiamento amministrativo. Si tratta di schemi già conosciuti, di
routine
che si ripetono ormai da decenni e che tuttavia non hanno perso il loro smalto, anche se risultano alla prova dei fatti oramai privi di reale contenuto e concretezza. E’ quanto si potrebbe affermare per il modello stesso dell’organizzazione moderna intesa come struttura formale e razionale:è noto, infatti, che il mito organizzativo della razionalità ha sempre contribuito a considerare certi modelli di azione come legittimi, credibili e normali (Morgan, 1991; Meyer e Rowan, 1977).
I diversi tentativi di riforma che si sono succeduti nei vari decenni, cominciano a mettere in evidenza il circolo vizioso che mette in corto circuito anche i presupposti del cambiamento, le definizioni stesse del problema e delle sue soluzioni. Si parla così di immagini stereotipate della pubblica amministrazione, di ideologia della riforma (Dente, 1989), di riproposizione di questioni e schemi fissi di ragionamento sulla pubblica amministrazione (Sepe, 1995). March e Olsen (1992) addirittura, sostengono che la pubblica amministrazione sia l’oggetto classico per eccellenza della retorica. In sostanza per questi autori la pubblica amministrazione sarebbe al centro di comunicazioni opache, bloccate, ripetitive e ritualizzate in cui il vero oggetto non è tanto il cambiamento della natura organizzativa e istituzionale, quanto un mero discorso relativo al potere e al conflitto degli interessi. Per stessa ammissione anche della cultura giuridica e legislativa, si indebolisce così l’idea “mitica” della grande riforma calata dall’alto, per lasciare maggiore spazio e cura agli aspetti legati all’implementazione, all’applicazione delle politiche, al processo di “messa in opera” (Dente, 1989; Freddi, 1989).
Anche in Italia, come abbiamo visto nel secondo capitolo, si pone grande attenzione a questioni legate alla funzionalità, all’efficienza attraverso l’inserimento e l’adozione di misure e strumenti che tentino di intervenire sull’aspetto economico, di potenziare il controllo e la gerarchia, di migliorare la coerenza (Bifulco, de Leonardis, 1997). I problemi e le soluzioni sono spesso inquadrate all’interno di un linguaggio e una cultura giuridica che via via, con gli anni, si è trasformata in vocabolario economico, per poi adottare i canoni del lessico aziendalista/manageriale65. La pubblica amministrazione si configura o come un apparato di norme in cui prevale un approccio orientato all’esecutività o come un’impresa che perde, inevitabilmente, il suo carattere
65 Vedi capitolo 2, tab. 1 in cui attraverso i diversi modelli amministrativi si sono ricostruite le retoriche
principale di produzione di beni pubblici. La riforma viene comunque vissuta come una punizione nei confronti soprattutto di dipendenti e politici e dei loro privilegi (D’Albergo, 1995). Il capro espiatorio per tutti i mali che l’affliggono diventa lo stereotipo del burocrate e della burocrazia inefficiente, inerte, incapace di soddisfare le richieste dei cittadini e costosa.
Così le riforme si concentrano sugli aspetti quantitativi - riduzione di costi, funzioni, ecc. - senza soffermarsi sugli elementi costitutivi, di sostanza, legati alla pubblica amministrazione intesa sia come istituzione che come organizzazione. Si privatizzano servizi e settori, ad esempio, senza diagnosi adeguate che tengano conto della struttura organizzativa, della sua valenza culturale, del fatto che la pubblica amministrazione è gestita e popolata da persone (e non solo da risorse), ma anzi pensando a come rendere efficiente un’organizzazione-macchina, paragonando il contesto pubblico al mondo imprenditoriale, all’interno di un’ottica razional-strumentale e di una logica mezzi – fini66.
La diretta conseguenza di questo modo di ragionare porta a considerare l’amministrazione come qualcosa di ridondante, pedante, superfluo. Ecco allora le misure (valide per ogni settore al di là delle premesse e delle singole condizioni) di esternalizzazione, di privatizzazione, di ridimensionamento che relegano l’istituzione pubblica ad un ruolo di regolazione, controllo, certificazione. Si assottiglia, si indebolisce, fino a dileguarsi in certi ambiti, il rapporto con la società, mentre i cittadini perdono ogni legame sia di mercato che di cittadinanza con i fornitori. Anche il servizio pubblico diventa postdemocratico: il governo rimane responsabile davanti ai cittadini solo per la politica generale, non per la sua attuazione nei dettagli (Crouch, 2003). Nel frattempo, pur imitando il mondo imprenditoriale con l’unico obiettivo di snellire, tagliare costi e risparmiare spesa pubblica, si dimenticano quelle componenti legate al servizio quali la relazione, la qualità, la flessibilità e la
66 Non si vuole con questo fare di tutta l’erba un fascio non considerando anche le buone intuizioni e i
risultati acquisiti dall’introduzione di tali strumenti, ma semplicemente mettere in risalto come un’ottica puramente strumentale e volta a soddisfare determinati requisiti di tipo meramente economico e razionale non può portare ai risultati di riforma e rinnovamento auspicati.
cooperazione che, al contrario sono tenute in grande considerazione dalle imprese private (Bifulco, de Leonardis, 1997) e si consolida, istituzionalizzandolo un modello di amministrazione basato ancora una volta sull’autorità e sui principi tradizionali della burocrazia classica: specializzazione, prevedibilità e coerenza. In sostanza il risultato è quello che, anziché acquisire maggiore efficienza ed efficacia, doti attribuite in maniera automatica e scontata al settore privato, in realtà si punta a sostenere, incentivare e potenziare tutto uno strumentario che assomiglia più alle vecchie e consunte formule burocratiche che allo sfavillante mondo dell’impresa (Dente, 1989).
Così come ci fa notare la Czarniawska (1995), il ricorso al concetto di efficienza, più che una misura concreta volta a creare la differenza rispetto a modelli amministrativi inefficaci, si ridurrebbe o comunque si connoterebbe fortemente come intervento, sebbene anche molto concreto e pratico67, in realtà ad elevata valenza simbolica, ritualistica, cerimoniale68. Mentre i cittadini perdono la loro effettiva possibilità di tradurre le loro richieste in azioni politiche e si va dissolvendo l’opportunità per loro di poter replicare e discutere sulla qualità di servizi e prestazioni (Crouch, 2003).
In questo contesto in cui vengono adottate misure, senza preoccuparsi delle singole specificità, oltre che delle modalità con cui le norme di riforma vengono applicate, le istituzioni si attrezzano per mettere in atto tutta una serie di difese di tipo organizzativo. Al di là delle intenzioni per cui certi strumenti potevano essere stati creati69 essi si svuotano di contenuto, neutralizzando così le loro finalità originarie e incorporandosi nello stampo organizzativo esistente, attraverso la creazione di pratiche cerimoniali che nella sostanza dunque non ottengono gli effetti sperati (Rebora, 1987, 1991)70.
67 Come ad esempio tutte le attività relative al bilancio e alla contabilizzazione.
68 Gli stessi Meyer e Rowan (1977) evidenziano le culture, le pratiche, le routine quotidiane, le mappe
cognitive e le opacità che stanno dietro l’attività del “fare il bilancio” nelle amministrazioni pubbliche che seppur diverse rispetto al passato, tuttavia non risultano più efficienti.
69 Si pensi ad esempio a tutte le attività legate alla valutazione del risultato e non in base alla conformità
alla regola, alla coerenza procedurale.
70 Naturalmente non tutto viene applicato in questo modo e ciò che molto influisce anche su queste
tecniche è sicuramente l’approccio che viene adottato, la finalità e la modalità con cui vengono promosse all’interno della p.a. Rebora G., (1987), La produttività degli enti pubblici: problema di misurazione o
Per ovviare a questi inconvenienti che non fanno altro che rafforzare l’idea, per combattere la quale sono nati, occorre partire dal livello organizzativo concreto della pubblica amministrazione, così come ci ricordano March e Olsen (1992), nel momento in cui si punta non tanto a qualche operazione di snellimento
tout court
o dimake-up
, ma a un’azione volta a cambiare la cultura amministrativa, i significati, le norme, le identità. Appellandosi esclusivamente all’autorità formale e al potere politico non si raggiunge, infatti, il sostegno e l’adesione al cambiamento sia degli addetti ai lavori che dei cittadini diretti destinatari degli interventi.L’amministrazione, come si diceva nei capitoli precedenti, va considerata come un insieme di processi e al centro dell’analisi si pone l’organizzare e l’amministrare. Solo così facendo è possibile oltrepassare il paradigma burocratico per concentrarsi sulla materia di cui è fatta la pubblica amministrazione: modalità di interazione su problemi e soluzioni, processi comunicativi, scelte, culture e pratiche concrete. Anche la pubblica amministrazione è un artefatto e si alimenta degli schemi cognitivi, delle teorie in uso, dei costrutti valoriali e simbolici che stanno alla base, fondano le azioni quotidiane della pubblica amministrazione. Secondo Weick (1977, 1993) la pubblica amministrazione non è, infatti, un oggetto inerte ma, al contrario, costruisce attivamente (
enactment
) se stessa e il proprio ambiente con il quale interagisce: si connota cioè per essere un processo di costruzione intersoggettiva.Considerata allora come tale, la pubblica amministrazione per essere analizzata e studiata necessita di un’attenzione diversa, di un obiettivo puntato in modo specifico sulla relazione che si crea, sul rapporto che si instaura quotidianamente tra essa stessa e i suoi addetti e tra essa e la società, i cittadini. Secondo un’ottica istituzionalista sarebbero inoltre tutte le mancanze, le incongruenze tra principi organizzativi diversi, le ambiguità, il lasco, l’opaco, i margini di conflitto nell’interpretazione della norma, a inceppare i meccanismi
problema di management?, in Il nuovo governo locale, n°3. Rebora G. (1991), La qualità dei servizi pubblici, in Azienda Pubblica, n°1.
di oggettivazione e reificazione intrinseci alle istituzioni, a mantenere vivo e problematico il rapporto, la relazione tra obiettivi e valori e la relativa discussione pubblica. In questa ottica diventa allora cruciale il rapporto tra cittadini e amministrazione, nel momento in cui tale relazione genera comportamenti e significati: è proprio da questo punto di vista che si osserva la qualità delle amministrazioni intese come istituzioni pubbliche che producono intelligenza collettiva dei problemi e delle soluzioni (de Leonardis, 1997). Se cambia il prodotto della pubblica amministrazione che non è più il “semplice” servizio o bene erogato, ma la relazione che si attiva, il processo appunto dell’amministrare, l’interazione tra cittadino e amministrazione diventa costitutiva del processo stesso. Sono infatti proprio le tensioni, i conflitti, le insoddisfazioni, le incongruenze, le incertezze che scaturiscono da queste interazioni ad indurre gli attori pubblici a ripensare ai modi amministrativi, a metterli in discussione, a imparare e apprendere da questi e a dare vita a nuovi corsi amministrativi. In molti casi la questione riguarderà maggiormente il trattamento, il mantenimento e la cura dell’intelligenza delle relazioni, più che la ricerca dell’efficienza
tout court
di dispositivi tecnici e procedurali (de Leonardis, 1997).Un modo per prendere in considerazione questa interazione, questa relazione tra pubblica amministrazione e cittadini e tra amministrazione e propri addetti, ci sembra quello di riflettere sulla nascita e lo sviluppo di sperimentazioni ed esperienze di tipo partecipativo, quelle stesse che un po’ in tutto Europa, e non solo, si stanno attuando a vari livelli. Considerarle a partire dal contesto politico e sociale in cui si attuano, cogliendone caratteristiche e tratti rilevanti in connessione con il nostro tema principale che è quello del cambiamento organizzativo e istituzionale della pubblica amministrazione.
Sottolineando i riflessi di queste pratiche sull’organizzazione concreta della pubblica amministrazione, dal momento in cui la riforma della pubblica amministrazione viene concepita anche come ”autoriforma”, ovvero il cambiamento viene inteso come un qualcosa che deve coinvolgere
direttamente tutto il personale ai vari livelli, le dimensioni organizzative e operative tangibili, le culture e le pratiche (de Leonardis, 1997).