• Non ci sono risultati.

Nell’

excursus

tracciato nei capitoli dedicati all’analisi teorica abbiamo considerato le organizzazioni come artefatti umani che si comportano più in base al dato per scontato, alle

routine

in uso, ricorrendo a situazioni già note e a soluzioni già sperimentate in passato. Inoltre l’attenzione verso miti razionalizzati dell’ambiente, visti come consoni e adatti, con il loro bagaglio di convinzioni e pratiche condivise, legittimano le organizzazioni stesse rispetto al loro comportamento, al di là dell’effettiva efficacia delle pratiche e delle azioni adottate. Le organizzazioni, proprio per la loro scelta di perseguire tali miti, verrebbero considerate moderne, razionali, appropriate. Il caso della partecipazione come mito razionale al quale le organizzazioni si adeguano per trovare una legittimazione a livello sociale è solo uno dei possibili esempi.

Cambiano anche, come abbiamo sottolineato nel capitolo 2, le forme di azione pubblica e dei sistemi di regolazione. Dal modello di stampo burocratico si passa ad un modello di pubblica amministrazione policentrico, caratterizzato

da una pluralità di attori e interazioni e da modalità di tipo negoziale che sostituiscono via via quelle di stampo gerarchico, autoritativo. Si parla di regimi di

governance

per indicare nuove forme di regolazione basate sulla rete, sulla diffusione di responsabilità e sull’integrazione degli interessi fondati su contesti istituzionali in grado di stabilire le coordinate e i confini di processi e di pratiche di tipo pubblico. Il rischio è però quello di non superare i panorami della frammentazione e dell’incertezza che la stessa

governance

schiude o di aspirare anziché a modelli di rete orientati a logiche comunitarie a modelli fondati su logiche di mercato. In questo contesto anche la pubblica amministrazione si evolve e da posizioni di comando e controllo assume (o dovrebbe assumere), accanto a un mutamento nell’ambito della gestione ed erogazione diretta dei servizi, un ruolo volto al sostegno, alla valorizzazione e al supporto dei potenziali sociali di azione e auto-organizzazione di gruppi, associazioni e cittadini. Ruolo che non è di semplice coordinamento della molteplicità, ma che ha a che fare con attività di “regia”, di direzione dei processi a bassa integrazione, di costruzione delle strutture reticolari fondate su una responsabilità chiara e condivisa, di definizione e di raggiungimento di fini collettivi. Ruolo che riguarda, in poche parole, la capacità di orientare il comportamento degli attori, di arbitrare le diverse reti e di legittimare determinate scelte rivolte al bene comune (Lorrain, 1997). Il ricorso a logiche deliberative, soprattutto in certe politiche pubbliche, si fa allora più massiccio e denota alla base una fiducia nella costruzione di forme dialogiche di razionalità e di allargamento della platea degli interessati, cittadini e comunità locali130. In ogni caso la tendenza che si segnala è quella che vede aumentare il numero di interazioni per qualsiasi decisione pubblica (Bobbio, 2007) e le arene costituiscono, da questo punto di vista, una risposta alla profonda crisi istituzionale, della politica e del

policy making

.

Come abbiamo visto già a partire dagli anni ’90 anche nel nostro paese stiamo assistendo a un massiccio uso di pratiche di stampo partecipativo che

130 Naturalmente come trattato nel capitolo 2 non si devono dimenticare o trascurare i rischi legati alla

rappresentanza e alla scarsa legittimazione che alcune compagini potrebbero assumere, così come è importante tenere distinto le retoriche e le pratiche della governance.

coinvolgono arene, materie e attori in maniera differenziata a seconda della situazione e della cornice regolativa in cui trovano spazio. Un utilizzo solo formale o al contrario anche sostanziale, che si connota per la natura e il carattere pubblico di tali processi, spesso ne distingue le differenze interne e ne apre le potenzialità anche in termini di innovazione sociale, organizzativa e istituzionale della pubblica amministrazione. Non basta adottare processi partecipativi perché questi in effetti si dimostrino tali. Può succedere, infatti, che le organizzazioni si approprino di tali miti, attraverso l’uso di codici e linguaggi istituzionalizzati per pensare di essere al riparo da critiche e discussioni. Anche nei casi in cui, alla prova dei fatti, l’uso di tali forme non risulta essere altro che un artificio retorico utilizzato consapevolmente dalle sfere dirigenziali e politiche soprattutto, o quel che è peggio, adottato a partire da un concetto vuoto, ma in maniera del tutto inconsapevole. Negli enti locali si discute di partecipazione, ma spesso si tratta solo di azioni e di

step

iniziali ed elementari che non restituiscono il pieno significato del concetto, nemmeno nella sua messa in pratica. Quando si parla di partecipazione reale, infatti, i processi sono molto lenti e complessi, e le ricadute reali in termini di innovazione sociale sono spesso invisibili nel breve periodo. Per raccogliere i risultati di tali processi occorre tempo e un’elevata responsabilità e consapevolezza, non solo da parte della pubblica amministrazione, ma anche degli stessi soggetti che vi prendono parte, siano essi cittadini o associazioni o in generale

stakeholders

. In ogni caso il cambiamento, anche laddove si verifica, non è qualcosa di costitutivo, intrinseco, ma dipende dalle percezioni dei soggetti. E’ per questo motivo che assumono importanza le circostanze, i discorsi e i contesti quotidiani in cui le regole vengono percepite (Powell, DiMaggio, 1991). Le istituzioni sono cioè socialmente costruite e si riproducono in base alla

routine

, alle interazioni interne e alle pressioni dell’ambiente: ecco perché in tale quadro assumono importanza la dimensione intersoggettiva dell’azione, le mappe cognitive, le matrici comuni di significato e di legittimità dell’azione, i modi di pensare e di fare, gli ordini simbolici, le pratiche concrete dell’organizzazione e le relazioni con l’ambiente a partire dai soggetti

(Lanzalaco, 1995; Bifulco, 1997). Quando i soggetti non si attengono e non si conformano alle regole, alle classificazioni condivise, alle

routine

, ecco allora che si attua il cambiamento, inteso come mancata replicazione di logiche consolidate, come lento adattamento che consente all’istituzione di autoriprodursi, perché in ultima istanza sono i soggetti a mettere in scena (

to

enact

), ad attivare le istituzioni (Weick, 1997).

Per indagare allora le caratteristiche legate al processo partecipativo e all’amministrare, al suo cambiamento o al contrario alla sua persistenza, alle dinamiche, agli interessi in gioco, ai conflitti tra gli attori, alle pratiche consolidate, al dato per scontato dei processi, alle mappe cognitive degli attori, agli schemi culturali ci è parso opportuno adottare una metodologia qualitativa ricorrendo all’utilizzo dell’osservazione partecipante, di interviste semi- strutturate a supporto della stessa osservazione e dell’analisi di un’ampia documentazione relativa alla struttura organizzativa dei servizi coinvolti della pubblica amministrazione, ai programmi politici e alle politiche culturali, al disegno relativo alla riorganizzazione degli istituti culturali della città, agli strumenti messi in atto per sostenere le politiche culturali del Comune, ecc. (vedi tab. 3).

La scelta di una metodologia qualitativa che prevede, come appena sottolineato, diversi strumenti di raccolta dei dati ben si confà all’oggetto del nostro studio che è il dispositivo di partecipazione e i processi organizzativi ad esso collegati insieme alle potenziali trasformazioni dell’agire pubblico e della stessa organizzazione pubblica. Non bisogna, infatti, dimenticare che i dispositivi adottati lungi dall’essere considerati strumenti neutri, condizionano gli esiti dell’azione amministrativa, così come la stessa dimensione dell’organizzare. Al centro della nostra ricerca sul campo è stato posto, infatti, l’articolato processo di tipo inclusivo che ha coinvolto, a livello locale, un centinaio di associazioni e imprese culturali della città di Forlì per circa due anni (gennaio 2005 – novembre 2006) e che ha portato, nel febbraio del 2007, all’istituzione della Consulta di partecipazione denominata Tavolo della Cultura.

Il

focus

su cui ci concentreremo rispetto al dispositivo partecipativo è quello delle sue caratteristiche e della sua natura, legate al

setting

deliberativo ovvero al disegno elaborato, progettato e attuato e alla cornice regolativa su cui esso si fonda. Sarà, inoltre, analizzata la natura dello stesso agire pubblico e della organizzazione legata ai servizi culturali, anche in termini di esiti e ricadute, prodotti dallo stesso processo inclusivo.

Obiettivo generale sarà, infatti, quello di andare a verificare se nella pratica i dispositivi partecipativi messi in atto dalla pubblica amministrazione possano rappresentare nuove modalità di regolazione pubblica, nuove forme di scelta collettiva, nuovi strumenti di innovazione della stessa architettura amministrativa, dell’azione e delle politiche pubbliche. E per fare questo in particolare l’obiettivo specifico della nostra indagine sarà quello di verificare le caratteristiche analitiche e la natura (pubblica o meno) del processo partecipativo adottato dal Comune di Forlì e le sue ricadute in termini di innovazione/cambiamento della pubblica amministrazione soprattutto in ambito culturale131. Per analizzare la natura di tale percorso e capire se si tratti di pratiche intese come meccanismi puramente retorici e formali, caratterizzati da opacità, ambiguità e a rischio di particolarismo o al contrario di pratiche orientate alla

publicness,

come abbiamo ben esplicitato nel terzo capitolo, si analizzeranno, come anticipato, diversi elementi che hanno a che fare con il

setting

deliberativo e con la cornice regolativa ad esso sottesa. Ci riferiamo in particolare alle finalità di fondo di tale processo, alla tipologia dei soggetti e al grado di inclusività, al grado di rappresentanza, all’oggetto della partecipazione, agli spazi e ai luoghi della partecipazione, alle metodologie utilizzate, alle dinamiche che si sono sviluppate all’interno dell’arena, al ruolo della pubblica amministrazione e della società civile coinvolta.

Nello specifico per analizzare la natura e le proprietà di tale dispositivo si farà ricorso anche al modello teorico proposto da Bifulco e de Leonardis

131

Si analizzeranno in particolare le ricadute di tale percorso sulle politiche culturali, sull’organizzazione interna dei Servizi culturali, ma anche sull’istituzione comunale in generale e sulle relazioni tra pubblica amministrazione e l’ambiente esterno.

(2005)132 che individua alcuni criteri che esprimono e qualificano ciò che è pubblico, al di là del soggetto erogatore e della materia trattata. Quattro sono le articolazioni a cui si farà riferimento per focalizzare l’attenzione sulle modalità attraverso le quali il percorso partecipativo considerato attui processi di messa in visibilità, di generalizzazione, di riconoscimento di beni in comune e di generazione di istituzioni. Tale modello permetterà di misurare la capacità di fare emergere e portare alla visibilità argomenti e questioni sociali come quello della cultura relegati alla sfera privata, consentendo sia una maggiore conoscenza e definizione di tali tematiche che la nascita di un pubblico con una propria opinione, interessi e valori generalizzabili. In secondo luogo si metterà in evidenza la capacità di tale processo di fare risalire in generalità le questioni trattate legate allo sviluppo culturale della città ovvero di renderle o meno di interesse collettivo attraverso una discussione e un dibattito fondato o meno su linguaggi e vocabolari che trattano il problema come bene pubblico, in comune, che richiamano l’universalità delle problematiche e l’interesse generale o al contrario lobbistico e di parte. Il terzo criterio legato al riconoscimento di beni in comune, permetterà di verificare quanto il tema della cultura sia tematizzato come bene comune, appartenente alla collettività e come esso venga di conseguenza trattato come tale, attraverso la cura, la conservazione, la tutela e attraverso l’accesso e la fruibilità. Infine la dimensione dell’

institution

building

permetterà di analizzare come tale processo abbia condotto alla generazione di terzietà ovvero di istituzioni intese come cornici normative che stabiliscono le regole dell’interazione tra i soggetti collettivi contrapponendosi alla sfera del privato che non necessita di tali sistemi di regolazione. Si verificherà, cioè, quanto il processo messo in atto dalla pubblica amministrazione abbia portato alla costituzione di uno strumento duraturo, permanente che contribuisce al mutamento dell’azione pubblica in campo culturale o al contrario quanto risulti effimero e passeggero, una pratica dalla sostanza e dai contorni meramente vuoti e strumentali e orientati alla cattura del consenso dell’opinione pubblica o a tenere sotto controllo tensioni e conflitti.

Naturalmente nell’analizzare tale processo si terranno conto anche dei diversi gradi e livelli di

publicness

che possono connotarlo, senza per forza collocarci su posizioni estreme ed escludenti.

Non si tratta, però, solo di indagare il processo partecipativo messo in atto ma piuttosto, come ben sottolineato in più parti, di verificare quanto esso possa coinvolgere la stessa pubblica amministrazione se non in dinamiche di mutamento e di innovazione, almeno in azioni maggiormente caratterizzate ad un modello di responsabilità amministrativa diretta, processuale e orientata all’ascolto. Occorre allora analizzare anche quali siano le condizioni interne alla pubblica amministrazione e ai servizi alla cultura in grado di sostenere e promuovere scenari e relazioni partecipative nell’ambito delle politiche culturali, nella convinzione che soltanto un’organizzazione che si basa, essa stessa, sulla condivisione, sulla trasparenza, sull’informazione e che abbia una natura pubblica, sia in grado di adottare tali pratiche quotidianamente, di attivare relazioni esterne e interne nell’esprimere il suo ruolo di “

pilotage

”, nell’ambito di un servizio che rimane comunque pubblico. Ecco allora che il modello prima considerato potrebbe essere agevolmente applicato133 anche in un’analisi della pubblica amministrazione, per cogliere i principali ostacoli e le criticità o al contrario le aperture e gli orientamenti positivi verso l’adozione di tali dispositivi partecipativi. Grazie alla coordinata della “messa in visibilità” si evidenzieranno, infatti, i meccanismi che sottostanno ai processi decisionali interni, alle scelte che possono apparire opache, poco trasparenti o al contrario visibili e chiare, analizzando il livello di democraticità che nelle pratiche concrete si manifesta. Applicare la coordinata della “generalizzazione” significa, in questo ambito, analizzare quanto all’interno della pubblica amministrazione vi sia la consapevolezza della natura pubblica del servizio, della responsabilità, del significato profondo della dimensione pubblica (Donolo, 2006) attraverso l’analisi dei comportamenti e delle pratiche. La terza coordinata ha a che fare con il riconoscimento della cultura come “bene comune” che in nessun modo può essere trattato come bene privato, come questione personale attraverso la

conduzione di relazioni, rapporti tra amministrazione e cittadini di tipo privatistico o la gestione privatistica del bene cultura, lontano dal confronto, dai cittadini e dalla discussione pubblica. Il quarto criterio che è relativo alla capacità di costruire una dimensione regolativa e di istituire organismi nuovi e permanenti ci è utile per indagare, infine, il ruolo intermediario che la pubblica amministrazione è chiamata ad assumere e la sua capacità di accettare in modo aperto e flessibile i cambiamenti in termini di politiche e azioni pubbliche.

Infine poiché, come anticipato, é difficile pensare che si possano mettere in pratica processi realmente partecipativi che coinvolgano i soggetti della società civile su temi così delicati come quelli delle politiche culturali e costruire relazioni durature se non vi è democraticità all’interno della stessa pubblica amministrazione e viceversa che questo dispositivo, seppur messo in pratica, possa incidere, modificandoli sui rapporti e i modi di considerare l’organizzazione e il servizio pubblico, saranno indagate anche le seguenti questioni attinenti al ruolo svolto dal Comune di Forlì e in particolare dall’Assessorato alla Cultura e Università ovvero:

 la volontà e la capacità di attuare processi di tipo partecipativo che coinvolgano gli stessi addetti della pubblica amministrazione nelle pratiche decisionali;

 la volontà di superare la frammentazione delle scelte e delle azioni amministrative con l’adozione di pratiche che si muovono nel solco della sussidiarietà e del coinvolgimento di una pluralità di attori, in un’ottica di

governance

comunitaria;

 la volontà di tenere un profilo alto della partecipazione e una visione prospettica del dibattito in funzione dello sviluppo culturale della città e del territorio;

 la volontà di tradurre la molteplicità dei punti di vista, le proposte, le decisioni assunte durante il processo partecipativo in definizioni e scelte amministrative134.